mercoledì 30 settembre 2009

Dario Franceschini

Riteniamo utile inviarvi il "Discorso ai Volontari", primo di dieci interventi che Dario FRANCESCHINI rivolge alla società italiana in vista delle primarie del 25 ottobre per la scelta del segretario nazionale del Partito
Democratico.

Discorso ai Volontari

Milano, 28 settembre 2009


 

Abbiamo detto tante volte che vogliamo costruire un partito nuovo e aperto.

Un partito che corrisponda, non solo nella rappresentanza, ma nella sua essenza e nel suo modo di essere, alla società italiana.

Allora è giusto ripartire da qui.

Dall'incontro con le persone, con quei pezzi d'Italia a cui vogliamo parlare e a cui vogliamo dare voce. Perché il Pd che costruiamo sia davvero il loro partito.

Comincio questo viaggio dalla Stazione Centrale di Milano.

Comincio incontrando voi, il mondo della solidarietà, della cooperazione sociale, del volontariato, del terzo settore, del non profit, dell'associazionismo che rappresenta il tessuto connettivo più robusto e vitale del nostro paese.

Si tratta di una realtà che vive lontana dai riflettori. Che lavora quotidianamente nelle pieghe più nascoste della società. Che si occupa e si prende cura di ciò che spesso il potere pubblico trascura.

Che mette le mani e il cuore nella sofferenza e nel dolore di quel prossimo che altrimenti sprofonderebbe nella solitudine.

Perché voi siete lì dove c'è la vita.

Penso a quelle centinaia di volontari che fin dalle prime ore sono giunti in Abruzzo.

A chi è accorso fra le macerie, a chi si è occupato delle mense, a chi ha cercato di mettere in salvo le opere d'arte, a chi ha cercato di far sentire meno soli gli aquilani, con piccoli e grandi gesti, con tanta umanità.

Ho conosciuto molte esperienze del vostro mondo.

Ho ascoltato molte storie di straordinario spessore umano. Storie di silenzioso coraggio. Perché ci vuole coraggio per guardare in faccia la povertà, la sofferenza, il dolore. Talvolta la disperazione.

Ci vuole coraggio a restare lì dove ci sono soltanto malattia, emarginazione, disagio sociale.

Quando ho visitato un carcere, quando sono stato in un centro per malati terminali, quando mi hanno invitato in una comunità di ragazzi tossicodipendenti, lì ho trovato i volontari.

I loro volti, la loro forza, la loro speranza.

Ci sono parole che nell'impatto con la modernità sembrano aver perso il loro significato.

E' difficile oggi parlare di solidarietà, di bene comune, di giustizia, di uguaglianza.

Almeno così appare guardando la superficie di questa modernità, segnata da modelli culturali costruiti sull'esaltazione di un individualismo che diventa egoismo.

Di una libertà che non vale niente se non è finalizzata alla ricchezza, al consumo, al successo personale.

Un successo che si costruisce sull'annientamento dell'altro. Spesso con ogni mezzo.

Questo dominio di modelli competitivi fino alla disumanità nelle relazioni personali, ma anche in quelle sociali, economiche, nazionali ed internazionali, a troppi appare una strada senza ritorno.

Ma non è così.

E' proprio il tempo della crisi che stiamo attraversando a dirci che un'alternativa è necessaria e possibile.

Ed è possibile perché esistete persone che non si rassegnano, che cercano un'altra strada, come il mondo del volontariato e del terzo settore.

Questo giacimento prezioso di umanità che non si è arresa e che in questi anni ha continuato a lavorare, a costruire comunità, a produrre quel valore che è la coesione sociale.

E' una storia che viene da lontano e che si alimenta di tante sorgenti diverse.

E' la storia dell'associarsi dei cittadini, che ha dato fondamento alle nostre comunità e costruito le prime dimensioni dello spazio pubblico e della nostra democrazia.

Dalle congregazioni religiose, alle società operaie di mutuo soccorso, alle cooperative, agli oratori, all'associazionismo diffuso che ha interpretato i sommovimenti sociali degli anni 70 e 80.

Una storia che deve avere un futuro di crescita e espansione.

Per questo è giunto il momento di dire qualcosa di più.

Il volontariato, il terzo settore, il non profit non sono coloro che debbono rammendare gli strappi prodotti dalle inadempienze, dalle insufficienze della politica.

Le istituzioni non possono semplicemente utilizzare lo spirito di servizio e il valore della gratuità che questo vostro mondo esprime.

Ci sono nell'agenda parlamentare questioni molto delicate, sulle quali si misurerà la sincerità di chi tra noi, a parole, plaude alla vostra realtà ed al valore sociale che esprime, ma poi nell'azione concreta se ne dimentica.

Ci sono nodi da sciogliere, sul piano legislativo, che non possiamo continuare a rinviare.


 

E' necessaria una riforma organica della legislazione del terzo settore, oggi troppo frastagliata, e il Parlamento deve poter vivere una nuova stagione costituente per il non profit. Per definirne i contorni, per coprirne gli spazi vuoti, per darne una visione coerente e compiuta.


 

E' sintomatico che il codice civile non preveda nessuna forma di impresa al di fuori di quella di profitto e che l'associazionismo diffuso dei cittadini che caratterizza la società italiana sia definito in negativo, come associazionismo non riconosciuto e non per i suoi meriti partecipativi.


 

Ma c'è una priorità assoluta: il 5 per mille, quello strumento grazie al quale tante vostre realtà vivono.

Il 5 per mille va stabilizzato subito, perché è uno straordinaria leva di sussidiarietà fiscale, un moltiplicatore di coesione sociale.

Basta con la transitorietà.

Non può essere una norma da contrattare anno per anno in finanziaria. Non è una gentile elargizione della politica, ma un diritto dei cittadini.

Un modo per avvicinare tra loro cittadini, stato e società civile organizzata.

Ci sono in parlamento molte proposte e noi siamo pronti a votarle. Il governo ci dica quale è la copertura finanziaria e non perdiamo altro tempo, approviamolo subito con un iter accelerato.

Ma al 5 per mille si collega una riflessione più generale e più delicata che riguarda il rapporto tra la vostra realtà e le istituzioni di governo.

Intanto occorre dire che c'è un inaccettabile ritardo. Lo stato deve ancora assegnare alle associazioni il 5 per mille che i cittadini hanno scelto di destinare nel 2007.

E questa situazione sta provocando gravissime difficoltà a molte associazioni ed enti che su quei fondi e su quelle risorse avevano fatto affidamento.

Non solo.

C'è come una diffidenza inspiegabile nei confronti del terzo settore, che si traduce in atteggiamenti punitivi quando si parla di trattamento fiscale.

So che c'è un tavolo aperto con l'Agenzia delle Entrate, dopo la pubblicazione di un testo vessatorio e soffocante nei confronti del non profit, che aumenta in maniera sproporzionata il carico burocratico sulle associazioni.

E che prefigura un accertamento fiscale a tappeto su tutte le organizzazioni del terzo settore.

Mi auguro che si trovi una soluzione ragionevole, in grado di garantire, come giusto, trasparenza e regole certe.

Certo, colpisce questo governo che, mentre con il condono, lo scudo fiscale, premia i furbi contemporaneamente vorrebbe mettere sotto torchio le associazioni della solidarietà.

Lo dico al ministro Tremonti: se cercate gli evasori nel terzo settore avete sbagliato indirizzo. Se la vostra lotta all'evasione fiscale è questa avete sbagliato tutto.

Cercate i veri evasori e lasciate in pace chi dovreste soltanto aiutare.

Poi c'è un altro punto importante che deve essere al centro dell'azione politica e legislativa: il servizio civile.

Ci sono stati tagli drastici e incertezze: se si va avanti così nel 2011 quella che è una eccellenza italiana, considerata un modello dagli altri Paesi Europei, rischia di chiudere.

E' assurdo, perché il servizio civile è una straordinaria palestra di cittadinanza, una occasione di crescita altamente formativa per i ragazzi e le ragazze che la vivono.

I giovani imparano a spendersi per il prossimo, a essere responsabili e partecipi della vita comunitaria, a voler bene all'Italia.

Le radici di questa esperienza si rintracciano nella migliore storia del nostro Paese: è la storia iniziata con quelle migliaia di ragazzi che accorsero in una Firenze ferita, devastata dalla furia delle acque, per aiutare la popolazione e salvare i tesori della città.

Quegli Angeli del fango che noi ancora bambini guardavamo dalla tv in bianco e nero, invidiando quei pochi anni in più che avevano consentito a loro e non a noi di essere là, sporchi e felici, ad aiutare gli altri.

E' la storia del lungo cammino per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, un cammino fatto di scelte coraggiose, di processi, di incomprensioni.

Della testimonianza scomoda del dirompente "l'obbedienza non è più una virtù" di don Milani ai ragazzi che finivano in carcere perché rifiutavano le armi.

E' la storia del movimento pacifista e non violento in Italia da Aldo Capitini a Tom Benetollo.

Ecco perché bisogna investire e credere nel servizio civile, che va rafforzato normativamente e finanziariamente.

Come si vede l'elenco delle cose da fare ma anche delle inadempienze della politica, delle promesse deluse, è lungo. E lo sapete meglio di me, perché lo vivete ogni giorno.

Mi chiedo quali siano le ragioni di questa strisciante ostilità. Di questa sorda incomunicabilità.

L'insensibilità di un ministro o di un governo possono fare molti danni. E li stanno facendo.

Tuttavia c'è qualcosa di più profondo.

C'è un deficit culturale che riguarda tutta la politica e rispetto al quale anche la sinistra deve saper fare autocritica.

Per troppo tempo, infatti, il rapporto tra le istituzioni politiche con le realtà non profit, a livello nazionale così come a quello locale, è stato di tipo contrattualistico: compriamo i vostri servizi, ma non vi riconosciamo altro ruolo oltre quello di fornitori o semplici esecutori.

E questo, molte volte, in nome di un malinteso senso dell'autonomia.

Certo, il tema dell'autonomia dei corpi intermedi, delle forze sociali, delle aggregazioni che nascono dal basso e operano nelle nostre comunità è un punto qualificante della nostra cultura democratica.

Questo valore sta scolpito nella Costituzione.

Ma l'autonomia non è, e non può essere, irrilevanza politica.

Eppure non partiamo da zero. Un tratto di strada, il primo, lo abbiamo fatto.

E, lasciatemi dire, lo abbiamo fatto insieme.


 

Quando ero sottosegretario alle riforme ho lavorato assieme a molti di voi per riscrivere quell'articolo 118 della Costituzione
che impegna le istituzioni a favorire "L'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base dei principi di sussidiarietà".


 

Sono orgoglioso di aver contribuito al riconoscimento costituzionale del diritto di essere cittadini attivi, a quella che credo sia stata una grande conquista.


 

Far conoscere, condividere e soprattutto applicare questa norma è la sfida che abbiamo davanti.


 

Se ci riusciremo sarà una rivoluzione.


Ma anche qui, serve più coraggio.


 

Il coraggio di uscire da quello schema logoro e inadeguato che per troppo tempo ha semplificato tutto nel conflitto tra società e stato.

Più società e meno stato è uno slogan consumato, che non serve più a niente.

E che ci porta, anzi, fuori strada.

Diciamo, piuttosto, più società e più stato.

Abbiamo assistito in questi anni, impotenti, ad una deriva che ha demolito e fatto a pezzi l'idea stessa dello stato.

La destra berlusconiana, non tutta la destra, lo ha rappresentato come un nemico.

Come un'entità ostile che ti complica la vita e che ti deruba attraverso le tasse, che ti imprigiona nella burocrazia.

Questa operazione culturale, finalizzata alla difesa di interessi privati ben individuabili, ha avuto successo perché si è giocata sull'illusione che l'unica libertà possibile fosse fuori dallo spazio pubblico.

Perché questo è accaduto?

Perché lo stato, e più in generale tutto ciò che è pubblico, è apparso inefficiente, improduttivo. Perché i suoi apparati sono lenti, obsoleti. Spesso sovradimensionati.

E soprattutto perché lo spazio del potere pubblico è stato progressivamente occupato dalla politica. Dai partiti.

Guardiamo a ciò che accade nella Sanità, che è il simbolo di questa degenerazione.

Perché la sanità pubblica deve essere in mano ai partiti? Non le grandi scelte strategiche, perché quelle sono responsabilità politica, ma la nomina degli amministratori delle aziende sanitarie. Che a loro volta nominano i primari. E spesso non in base al merito ma in base alla fedeltà e all'appartenenza.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

E non è che l'intervento del privato in una situazione del genere serva a migliorare da solo le cose. Basti guardare alla gestione delle convenzioni. A quanti sprechi spesso si producono. A quanta corruzione sopravvive.

Se vogliamo cambiare davvero, abbandoniamo la falsa contrapposizione pubblico-privato e mettiamo mano ad una nuova idea di pubblico, ad una nuova organizzazione istituzionale, alla quale concorrano e della quale si sentano parte tutte le forze vitali della società.

A cominciare dalle organizzazioni della cittadinanza e della solidarietà.

Quando parliamo di un nuovo welfare, universalistico e in grado di garantire livelli essenziali delle prestazioni per tutti i cittadini, italiani o immigrati, costruiamolo con il concorso attivo del terzo settore che è più prossimo ai bisogni veri delle persone e delle comunità.

Quando parliamo di una sanità disintossicata dall'invadenza partitocratica, costruiamo ad un modello dove gli utenti, i cittadini, le loro associazioni, abbiano un ruolo attivo nella gestione dei servizi, nelle scelte strategiche e nel controllo.

Quando parliamo della riforma dei servizi pubblici locali non affidiamoci solo al culto della liberalizzazione ad ogni costo come soluzione ad ogni problema. I risultati positivi di un'azienda che eroga servizi pubblici essenziali non possono essere basati solo sugli utili che distribuisce ma devono essere valutati sulla qualità dei sevizi e sulla loro accessibilità a tutti. E allora perché non costruire in questi campo un coinvolgimento pieno degli utenti?

Acqua, luce gas, igiene ambientale sono il contenuto concreto di quei diritti di cittadinanza che contraddistinguono la modernità. E di questi diritti i cittadini non sono clienti.

Coinvolgere i cittadini e le loro associazioni il più possibile nella gestione della cosa pubblica significa non solo garantire trasparenza e controllo, ma significa soprattutto risvegliare un senso di cittadinanza attiva. Significa scuotere una società passiva, che rischia di essere sempre più composta di telespettatori e consumatori, con iniezioni di responsabilità e coinvolgimento.

Ma perché tutto ciò sia possibile è necessario liberare spazi ad un nuovo protagonismo del civile.

La politica dei partiti deve fare un passo indietro da luoghi occupati da troppo tempo. Oggi abusivamente.

Se ieri una sovraesposizione dei partiti poteva essere giustificata dalla necessità di ricostruire una democrazia fragile, dando forza e rappresentatività a istituzioni deboli, oggi l'Italia è diversa.

I partiti non sono più gli unici soggetti dotati di capacità di rappresentanza. Certamente non sono i più forti, né, purtroppo, i più autorevoli.

Invece, sono emersi altri soggetti, altre espressioni ed articolazioni della vita democratica.

Soggetti che cercano un loro protagonismo, anche istituzionale.

Credo che il tema che dovremmo porre al centro di una riflessione coraggiosa e innovativa sia proprio quello di come ricostruire una grande alleanza sociale per la ristrutturazione di un'idea diversa di stato e di interesse pubblico.

Ripeto: questo non vuol dire in nessun modo negare l'autonomia del sociale.

Al contrario. La strada di una vera sussidiarietà è fatta di nuova partecipazione.

Di cittadinanza attiva e responsabile.

Di una nuova cultura dei diritti e dei doveri che non considera più la persona soltanto per ciò che riesce a produrre o a consumare.

Di apertura alle iniziative e alla capacità propositiva di movimenti e associazioni.

Occorre cambiare il profilo di molte istituzioni di rilievo pubblico prevedendo il coinvolgimento delle autonomie sociali in molti settori strategici.

Penso in particolare alla Rai.

La mia proposta è che nel consiglio d'amministrazione della televisione pubblica sia rappresentata la voce del sociale. Perché trovi spazio nella programmazione anche quell'Italia positiva, che agisce in silenzio, che è piena di valori e testimonianze straordinarie e che non trova spazio in un palinsesto piegato alle sole logiche della audience e del mercato pubblicitario.


 

Per una nuova politica non si tratta dunque di sostituire una nomenclatura vecchia con una nuova ma si tratta di cambiare davvero.

Cambiare la politica per cambiare l'Italia. Investendo su quelle risorse personali e associative che hanno tenuto vivi valori positivi sotto la crosta di una società impregnata di egoismi, paure e indifferenza.

Cambiare il rapporto tra cittadini, potere e comunità: questa è l'alternativa ad un sistema in crisi.

Non si tratta solo di regole.

Molto spesso la politica si riempie la bocca di valori.

Ma i valori si vivono, non si predicano.

Nel volontariato abbiamo esempi bellissimi di cosa vuol dire vivere i valori, anche quando è scomodo. Anche quando è pericoloso. Anche quando questa testimonianza può essere pagata con la vita.

Penso a quella straordinaria esperienza di solidarietà attiva che è la nostra cooperazione internazionale.

Penso a quei nostri volontari che in tutto il mondo dimostrano con la loro vita che è un altro mondo è possibile. Che la pace è possibile. Che la giustizia è possibile. Che la lotta alla fame è possibile.

E noi, grazie ai tagli del governo, siamo diventati l'ultimo paese europeo nella classifica per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo.

Eppure le politiche di cooperazione non sono solo un dovere morale ma anche una precisa scelta strategica. Per poter gestire con i paesi in via di sviluppo temi decisivi di interesse comune: l'immigrazione, la tutela ambientale, l'uso delle risorse naturali o la gestione dei conflitti.

Lasciar morire la cooperazione è un gravissimo errore che indebolisce la nostra politica estera e la nostra credibilità internazionale.

E invece bisognerebbe investire con risorse e creatività, aiutando ogni strumento nuovo, penso al microcredito e alla finanza solidale.

E l'ultima cosa la voglio dire su quei volontari che operano sulla frontiera più difficile: quella dove gli scenari sono di guerra. Come in Afghanistan.

Siamo orgogliosi della partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali. Di ciò che fanno i nostri militari per la pace, pagando talvolta con la vita.

Ma quelle missioni avrebbero un profilo diverso se, accanto ai militari, non ci fossero le donne e gli uomini della cooperazione civile.

Sta prendendo corpo la tendenza a centralizzare la responsabilità delle missioni internazionali nelle mani dei comandi militari o alle dipendenze della Difesa, togliendo autonomia alla cooperazione civile.

Questa scelta può essere talvolta giustificata da ragioni di sicurezza. Ma se diventasse una scelta politica sarebbe un gravissimo errore, che indebolirebbe il nostro intervento.

Usciamo da vecchi retaggi ideologici. Abbandoniamo antiche, reciproche diffidenze. Sostenere le missioni militari non significa essere contro la pace.

Rivendicare l'autonomia della cooperazione civile non significa essere antimilitaristi.

Ma se un intervento vuole essere davvero umanitario, vale di più una carezza ad un bambino di dieci bombe intelligenti. E questo lo sanno anche i nostri soldati.

Ecco.

Ci sono modi diversi di costruire il bene comune che è il bene di tutti, nessuno escluso.

Il modo in cui lo fanno le volontarie e i volontari esprime qualcosa di più e di diverso.

Qualcosa che sfida l'opprimente dittatura del pensiero unico.

Qualcosa che rovescia le leggi di questo tempo dominato dall'imperativo del profitto. Dall'obbligo dell'apparire per essere. Dalla necessità di strillare anche quando non si ha nulla da dire. Dalla competizione tra diseguali.

I volontari agiscono nel silenzio. Fanno e non dicono.

Danno senso a quella parola antica e attualissima che è servizio.

Dimostrano ogni giorno cosa sia la gratuità e quale straordinario valore abbia.

Perché non tutto si compra o si vende.

Perché non tutto è mercato.

Il premio Nobel Joseph Stiglitz teorizza che il tradizionale parametro del Pil è inadeguato a misurare lo stato di salute di un Paese. Lo aveva scritto Bob Kennedy più di quarant'anni fa.

Stiglitz dice che ci sono altri tre parametri che devono essere usati per misurare il Pil: tempo, ambiente e felicità.

Perché ci riguarda la qualità dell'aria che respiriamo, del cibo che mangiamo.

Perché è inutile guadagnare più degli altri se poi ci si ammala di asma bronchiale, si rimane imbottigliati nelle code, se non abbiamo mai scambiato due parole con i nostri vicini e ci sentiamo soli.

Il vostro contributo alla felicità forse non è facile da misurare, ma c'è e fa la differenza della qualità della vita.

Ho conosciuto un ragazzo che aveva scelto di trascorrere le sue vacanze come volontario in una missione in Africa. Gli ho chiesto il perché. Mi ha risposto: per egoismo. Per la mia felicità, perché ho avuto molto di più di quello che ho dato.

Abbiamo molto da imparare dal mondo del volontariato.

Non vi siete arresi, non avete rinunciato a un'idea diversa del mondo, delle comunità, delle persone. Della democrazia.

Non avete smesso di coltivare sogni e pensieri lunghi.

Di guardare lontano.

Oggi la politica travolta dal disincanto e dal cinismo sembra aver rinunciato all'aspirazione a un mondo migliore.

Come se fosse una ingenuità, una cosa di cui sorridere.

Se fossimo più ingenui e più innocenti forse saremmo anche più coraggiosi.

E questo è il mio sogno: un Partito democratico coraggioso e libero.

Che non dimentica nemmeno per un minuto di essere nato per cambiare tutto.

E che vuole cominciare a cambiare tutto.

Adesso.


 

Documento sull’Ambiente

L'Ambientalismo del fare   

 
 

La Lombardia deve saper indicare la via maestra per coniugare e saldare indissolubilmente ambiente ed impresa a partire dalla ricerca tecnologica e dallo sviluppo delle energie rinnovabili.

La nostra regione può e deve diventare il punto di riferimento, a livello nazionale ed europeo, di politiche ispirate al modello di "green economy" che gli Stati Uniti in primis hanno posto al centro del proprio programma di governo.

L'ambientalismo del fare, dunque, deve superare le politiche dei no preconcetti e spesso ingiustificati che, per molti anni, hanno rappresentato un freno alla crescita del movimento ambientalista.

1) La qualità dell'aria ed una mobilità pubblica efficiente sono un diritto inalienabile per i cittadini e lo sono ancora di più per le categorie più deboli e meno rappresentate: i bambini e gli anziani.

2) La difesa del territorio
è un nostro preciso dovere e il consumo indiscriminato del suolo è un fenomeno che rischia di assumere proporzioni gigantesche, avendo già da tempo superato il limite della sostenibilità. Le politiche urbanistiche devono mettere al centro la qualità del vivere e non la quantità edificabile. 
3) Il recupero del patrimonio edilizio, favorendo l'accesso alla casa a prezzi equi, puntando su una riqualificazione urbanistica dei centri abitati ed al recupero dell'efficienza energetica
a cominciare dagli edifici pubblici, in questo modo sarà possibile ridurre significativamente il fabbisogno energetico del paese,.

4) L'efficienza energetica e l'uso di energie rinnovabili sono un binomio vincente che deve essere al centro di campagne politiche e di informazione promosse dal Partito Democratico.

E' dalla Lombardia, dalla nostra regione, che deve partire il messaggio che più importante: l'ambiente deve diventare il motore di una ripresa dell'economia per uscire da una crisi che diventa più pesante là dove ci si trovi di fronte a prodotti maturi ed a cicli di produzione ormai vecchi ed obsoleti.

A poco più di 100km da Milano, la Fiat ha dimostrato come, scegliendo la strada della innovazione, si può arrivare all'obiettivo (impensabile solo qualche anno fa) di presentarsi negli Stati Uniti come leader del settore; molte aziende, nella nostra regione, hanno seguito lo stesso percorso e sono, ad oggi, all'avanguardia.

Queste sono le strade da imboccare se si vuole guardare al futuro, evitando scorciatoie  pericolose ed inaccettabili come il ritorno al nucleare di vecchia concezione: il Partito Democratico deve, molto più di quanto abbia fatto sino ad oggi, sapersi rapportare con il nostro territorio come  interlocutore autorevole e credibile, deve saper promuovere quindi il vero concetto di ambiente, l'ambientalismo del fare.  

informazioni bus per Roma - sabato 3 ottobre

Carissimi,
ecco le informazioni per la trasferta di Roma di sabato 3 ottobre.

Ritrovo alle ore 6.30 parcheggio di Famagosta (MM2)
Partenza da Roma nel punto in cui parcheggia il pullman alle ore 21, arrivo previsto a Milano intorno alle 5.30 di domenica 4 ottobre.
A parziale copertura dei costi, chiediamo un'offerta libera di minimo 30 euro a persona.

L'offerta libera sarà raccolta sabato mattina sul pullman da un referente del Pd, di cui vi comunicherò in seguito il nome.

Per prenotare il posto, vi chiedo gentilmente di rispondermi a questo indirizzo specificando nome, cognome, numero di telefono dei partecipanti entro le ore 14 di mercoledì 30 settembre.

Grazie,
Paola

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Paola Giudiceandrea
Ufficio di segreteria - Coordinamento cittadino PD Milano
mobile 3408263233


martedì 29 settembre 2009

PRESIDIO PER LA LIBERTA' DI INFORMAZIONE E DI STAMPA

GIOVEDI' 1 OTTOBRE ALLE 18.00 A MILANO

In vista della manifestazione nazionale del 3 ottobre a Roma per la libertà di informazione e di stampa, il Partito Democratico della Lombardia, con i tre candidati alla Segreteria, Maurizio Martina, Emanuele Fiano, Vittorio Angiolini, organizza un presidio a Milano.
L'iniziativa è aperta alle altre forze politiche.
 
Appuntamento giovedì 1 ottobre 2009 alle ore 18.00 ai Giardini pubblici di Via Palestro a Milano, accanto alla statua dedicata a Indro Montanelli (angolo via Palestro - via Manin).
 
Parteciperanno, tra gli altri, Bice e Carla Biagi.
 

Per coloro che fossero interessati a partecipare alla manifestazione di Roma, il Pd di Milano è disponibile a organizzare uno o più pullman, qualora le adesioni raccolte fossero sufficienti. Preghiamo quindi i coordinatori di circolo di verificare nei propri circoli le eventuali disponibilità.
Per organizzare al meglio la trasferta, le adesioni di partecipazione, comprensive di un recapito telefonico, dovranno pervenire al seguente indirizzo:
paola.giudiceandrea@pdmilano.org
 

domenica 27 settembre 2009

Vi inoltro la sintesi del programma con cui Bersani si candida alla Segreteria del Pd.

Spero possa interessarvi. Saluti

Il portavoce

Giordano Mazzurana

Ecco la sintesi del Programma di Bersani

INTRODUZIONE

Il Partito Democratico è la più grande intuizione degli ultimi venti anni. Noi crediamo nel progetto cresciuto sulle radici dell'Ulivo. Desideriamo alimentarlo con le passioni e le intelligenze di donne e uomini pronti a rinnovare la politica italiana. Ciò che abbiamo realizzato nei primi venti mesi è al di sotto del progetto che intendevamo perseguire. Ciò che il Pd aveva di meglio da dire agli italiani non lo ha ancora detto. Il non ancora del Pd indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che milioni di italiani non hanno avuto, la forza capace di unire Sud e Nord e di portare l'Italia nel XXI secolo, l'energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza italiana ed europea. il Pd è nato per rendere possibile il cambiamento nell'Italia di oggi, per rendere convincente la proposta di governo. Vogliamo rivolgerci ai nostri aderenti e agli elettori, a coloro che abbiamo smarrito per strada e a coloro che sono impegnati ad attuare il progetto. Vogliamo che il PD sappia convincere evincere.

Tutto ciò è nelle nostre possibilità, è a carico della nostra responsabilità ed è l'obiettivo di questa mozione.

Siamo tutti fondatori. Nessuno può dire io sono il Pd e gli altri non ne sono parte. Ecco l'essenza del Pd: amalgamare e unire persone diverse, incrociare percorsi che vengono da lontano con la freschezza di chi si è appena messo in cammino, intendersi parlando anche lingue differenti.

E per prima cosa dobbiamo porci una domanda: perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo voti, invece di allargare i consensi in tutte le direzioni? È successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico, mentre avrebbe richiesto un paziente lavoro di radicamento rivolgendosi con concretezza ai ceti popolari, alle categorie produttive e ai veri innovatori. È successo perché invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica alla definizione di una riconoscibile identità politica. È successo soprattutto perché, dopo aver invocato la partecipazione popolare alle Primarie ed aver ottenuto la risposta formidabile di quasi quattro milioni di cittadini, non si è riusciti a costruire una organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli . Non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un'ispirazione originaria. Sono venuti dal non aver collocato il progetto su basi solide. Questo è il nodo che il Congresso deve sciogliere. Un Congresso, quindi, fondativo del nostro partito.

IL NUOVO MONDO

Democratici del XXI secolo L'Europa e i riformisti In Europa per l'Italia

Si chiude un ciclo della storia mondiale. Il vecchio mondo non c'è più e il nuovo non ha ancora un volto.

Chi avrebbe mai potuto immaginare soltanto qualche anno fa che un presidente degli Stati Uniti di origini africane avrebbe richiamato i doveri dell'Occidente e delle responsabilità dell'Africa proprio nel luogo da cui partivano le navi cariche di schiavi? Un atteggiamento più riflessivo verso i grandi squilibri del mondo va diffondendosi in aree culturali diverse, in soggetti politici e nelle chiese, come dimostra anche l'ultima enciclica papale. La crisi tuttavia dimostra che senza regole né controlli non esiste vero sviluppo. Si è dimostrata impraticabile la via di una crescita economica che non tenga conto dei limiti dell'ecosistema, costringendoci ora ad una impegnativa corsa alla riduzione delle emissioni per affrontare la crisi climatica.

La globalizzazione ha inciso sulla vita di ciascuno di noi, offrendo straordinarie opportunità e aprendo nuovi orizzonti alla conoscenza. Il ruolo della donna nella società misura ormai il livello della democrazia in tante parti del mondo, come si è visto anche nella recente rivolta democratica in Iran. Ma la globalizzazione ci ha portato anche le paure sotto casa e ci ha spinto ad una competizione senza limiti e a volte senza diritti. In ogni campo, ci mette di fronte a nuove impegnative questioni che impongono un ritorno alle radici dell'umanesimo. La crisi restituisce attualità alle idee di fondo del riformismo: non c'è crescita senza qualità sociale e giusta redistribuzione delle risorse; ci vuole cura dei beni collettivi e dell'ambiente; le politiche pubbliche devono regolare lo sviluppo e assicurarne la sostenibilità; la cooperazione internazionale è la via maestra per promuovere la pace. Perché l'Europa va in senso contrario? C'è una causa materiale, perché il grande compromesso sociale realizzato dal riformismo europeo è stato scosso dalla competizione globale che ha aggredito i diritti del lavoro. Ma c'è anche una responsabilità delle forze progressiste che hanno governato quasi tutti i paesi europei negli anni Novanta. Le forze progressiste del continente devono compiere oggi il passo che mancò allora: iscrivere all'ordine del giorno il rilancio dell'unità politica europea e il rafforzamento della sua legittimità democratica e istituzionale

L'Alleanza dei democratici e dei socialisti nel Parlamento europeo non è solo un felice approdo, ma un punto di partenza e un orizzonte per una ricerca comune, oltre i confini delle culture politiche del Novecento.

L'orizzonte europeo è la certezza dei riformisti italiani. Il nostro europeismo nasce dalla necessità di contribuire al governo democratico mondiale e, insieme, di promuovere la modernizzazione dell'Italia.

L'Unione Europea è la forma più avanzata di governo multilaterale e democratico della globalizzazione; il suo modello sociale è visto in tante parti del mondo come la migliore risposta alla crisi. L'Europa può oggi aiutarci a valorizzare merito e responsabilità, accelerare il ricambio generazionale, modernizzare le reti tecnologiche, promuovere la parità fra i sessi, migliorare le politiche ambientali e ampliare la sfera dei diritti.

UN PAESE CHE MERITA DI PIÙ

I tessuti connettivi del Paese sono sempre stati deboli. In assenza di profonde riforme rischiano ora di sfilacciarsi sotto la pressione della globalizzazione. E' a rischio la coesione del Paese.

Lavoro e cittadinanza

La prima, fondamentale frattura nasce dall'indebolimento del lavoro, in netto contrasto con la sua rilevanza nell'economia della conoscenza. Le conseguenze si sono sentite sui redditi dei lavoratori dipendenti, rimasti bloccati in termini reali, sulle donne trattate spesso come anello debole, e sui giovani che hanno subito una precarizzazione senza diritti.

Ci sono natura, storia e conoscenza nella crescita italiana

Curare l'ambiente in cui viviamo richiede un cambiamento di comportamenti, di priorità e di convenienze. Tutto ciò è anche occasione per nuovi investimenti e crescita economica. Una vera green economy è anche una green society, cioè in definitiva società della conoscenza: nuove produzioni e nuovi consumi, saperi e diffusione di tecnologie, formazione e buone pratiche. Per questo bisogna curare i preziosi giacimenti di ricerca scientifica e di produzioni culturali che contengono la principale ricchezza del Paese. E' una sfida impegnativa, resa ancora più urgente dalla crisi climatica e che vede in prima fila nel mondo le forze democratiche.

Fare le riforme

Una parte significativa del Paese prova a reagire alla crisi con i propri mezzi Sono lavoratori e professionisti, giovani e donne, innovatori e produttori che al Pd non chiedono urla e proteste, ma una proposta praticabile per il governo del Paese. Sono imprese che hanno bisogno di essere aiutate a superare la crisi e possono diventare protagoniste del nostro progetto. Sono ceti popolari che soffrono a causa di bisogni primari insoddisfatti e classi medie che avvertono il rischio di impoverimento. Occorre suscitare un progetto, un orizzonte di cambiamento.

Abbiamo fiducia nel nostro Paese

Il nostro è un Paese che fa fatica a cambiare. Noi ne siamo parte, sia nei pregi sia nei difetti, e abbiamo la responsabilità di aiutarlo a migliorare. Per questo abbiamo fiducia nell'Italia. Girare il Paese verso il futuro vuol dire puntare sulla nuova generazione che è in movimento Ai giovani è chiesto di raccogliere il testimone delle radici del movimento democratico: prendere le parti ed il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole e subordinato per costruire una società migliore per tutti.

DA DOVE RIPARTIRE

Ridurre le disuguaglianze,liberare il merito

Per diventare un Paese meno diseguale l'Italia deve dotarsi di una moderna rete di sicurezza sociale: riqualificare l'intervento pubblico e promuovere una nuova alleanza tra Stato, terzo settore e privati ispirata al principio di sussidiarietà, nella chiarezza delle responsabilità. Riformare il welfare vuol dire superare il dualismo del mercato del lavoro, che colpisce soprattutto i giovani, aprendo dei processi univoci di inserimento e di stabilità del lavoro; sostenere le famiglie e i loro redditi; introdurre un reddito minimo di inserimento; estendere la qualità del sistema sanitario e renderlo sostenibile; aiutare i non autosufficienti. Ma l'obiettivo principale della riforma del welfare consiste nell'innalzare la qualità dei servizi in modo da offrire alle donne una base sicura per affrontare i diversi momenti della vita, dal lavoro, alla maternità, all'istruzione alla cura delle relazioni. Chi non trova lavoro o ha perso il lavoro, dipendente o autonomo, deve poter contare su un sostegno universale al reddito e su efficaci servizi pubblici di formazione e reinserimento.. L'innalzamento flessibile e volontario dell'età pensionistica va favorito, ma al contempo è necessario estendere la contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione, di formazione o di esercizio di responsabilità famigliari per innalzare gli importi delle future pensioni. Queste politiche sono sostenibili con un nuovo patto di fedeltà fiscale. Per affermare una reale eguaglianza delle opportunità occorre una rivoluzione copernicana che ponga al centro il merito e la responsabilità. L'Italia ha bisogno di una nuova stagione di liberalizzazioni: meno barriere di accesso alle professioni, più concorrenza nei servizi, imprese maggiormente contendibili, autorità realmente indipendenti, class-action a difesa dei consumatori. Il Paese chiede molto alla scuola italiana. È chiamata ad aiutare la mobilità sociale, a mantenere unito il Sud e il Nord, a coltivare e praticare l'accoglienza degli immigrati, a rilanciare l'educazione permanente, a ripensare l'insegnamento tecnico per adeguarlo ai modi di produzione contemporanei. Scuola, università e ricerca sono la prima fonte di energia per il Paese.

Riformare lo Stato per mantenere unita l'Italia

Il principale problema italiano è se in futuro si potrà ancora parlare di Repubblica una e indivisibile. Molti, dapprima soltanto al Nord e ora anche al Sud, dichiarano apertamente

che è meglio fare da soli. Rinnovare il patto di unità nazionale è il compito storico-politico del Partito democratico, è l'anima del nostro progetto.

La modernizzazione del Paese è il linguaggio comune di una nuova reciprocità tra Nord e Sud: le riforme che si muovono in questa direzione rispondono alle domande del Nord ma, al contempo, mettono anche in movimento il Sud. Al Sud, la nostra ambizione è quella di pronunciare la parola "Mezzogiorno" in una prospettiva rinnovata. Gli investimenti devono essere garantiti, non rubati, né rapinati né dispersi. Sono necessari meccanismi automatici, non intermediati, per sostenere gli investimenti di impresa e premiare chi raggiunge determinati standard di servizi. C'è bisogno di perequazione delle infrastrutture e dei beni collettivi. Il Sud potrà svilupparsi davvero soltanto se messo in condizione di farlo con le proprie forze.. Riformare lo Stato quindi, è l'unica via per mantenere unita l'Italia.

Legalità è democrazia

C'è in Italia una crisi di legalità che erode le basi dell'organizzazione civile. La legalità deve garantire la sicurezza, la prevenzione e il contrasto di fenomeni criminali che ostacolano la convivenza civile e alimentano le paure.

Il centrodestra, infatti, agita il problema della sicurezza, ma aggrava ogni giorno la crisi di legalità con i condoni. Vogliamo progettare la sicurezza mettendo a fattor comune le diverse risorse istituzionali e sociali, forze di polizia, magistratura, enti territoriali, polizie locali, associazionismo civile e servizi alla persona, assicurando la qualità del lavoro svolto dagli operatori pubblici che hanno il dovere di tutelare la comunità.

Per realizzare le riforme abbiamo bisogno non soltanto dell'efficienza, ma anche del buon nome della pubblica amministrazione. Che si ottiene, attraverso meccanismi permanenti di riforma nelle molte e diverse strutture pubbliche, con strumenti efficaci di valutazione dei risultati e coraggiosi ripensamenti dell'organizzazione del lavoro, anche utilizzando l'occasione delle nuove tecnologie.

Laicità e valori condivisi per un'Italia più civile

Bisogna puntare sulle energie civili del Paese che si esprimono ogni giorno nell'impegno sociale, nella partecipazione politica, nel volontariato, nei piccoli gesti di amicizia della vita quotidiana ed emergono con forza nei grandi momenti della vita nazionale. Negli ultimi decenni il rapido sviluppo delle scienze, il movimento e l'incontro di persone, culture e stili di vita su scala planetaria, hanno investito l'umanità con nuovi interrogativi etici. Il principio di laicità è la nostra bussola, la via maestra di una convivenza plurale. La laicità si nutre di rispetto reciproco e di neutralità – che non significa indifferenza - della Repubblica di fronte alle diverse culture, convinzioni ideali, filosofiche, morali e religiose. È anche impegno per la loro salvaguardia, promozione del dialogo interculturale e interreligioso, mutuo apprendimento: purché, naturalmente, tutti accettino un comune spazio pubblico di confronto e incontro nel quale gli unici principi non negoziabili siano quelli della Costituzione italiana e della Carta dei diritti dell'Uomo.

Dialogo e accoglienza sono anche i principi che si devono seguire per l'integrazione degli immigrati. E' una buona legge sull'immigrazione quella che produce più legalità e più inclusione, non quella che preclude agli stranieri i percorsi regolari o li lascia ai margini della società.

Da soli si può fare poco

Il progetto che ci ispira non è compiuto: non è esaurita la questione dell'incontro tra culture ed esperienze politiche progressiste ancora oggi divise. Vogliamo essere chiari su questo punto: non c'è un Pd in cui confluire. C'è invece un vasto campo di forze di sinistra, riformiste, laiche e ambientaliste che ha cominciato ad unificarsi e alle quali è giusto guardare con attenzione, così come a tutte quelle forze di opposizione che incarnano valori importanti

La vocazione maggioritaria non significa rifiutare le alleanze, ma, al contrario, renderle possibili, perché costruite nella chiarezza, sulla base di vincoli programmatici. Non consiste nell'autosufficienza, ma nella capacità di ritrovare una funzione di rappresentanza popolare, e nell'impegno ad elaborare un progetto di governo che convinca il Paese. Non possiamo più confondere il bipolarismo, che è una conquista della nostra democrazia, con il bipartitismo, che non ha fondamento nella realtà storica, sociale e politica del Paese. Sul piano istituzionale noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato in alternativa a formule più o meno mascherate di presidenzialismo, una legge elettorale chiara e non stravolgente l'architrave costituzionale, da elaborare in collaborazione con chi crede ad un bipolarismo maturo che renda l'elettore determinante nella scelta degli eletti e del governo. Poiché noi crediamo nella struttura portante della nostra Costituzione intendiamo limitare le modifiche agli interventi essenziali per realizzare gli obiettivi indicati. E intendiamo anche risolvere il problema del conflitto di interessi che in tutti questi anni è andato aggravandosi, mettendo in pericolo la libertà di informazione, il rango civile del Paese e perfino l'immagine internazionale.

NOI, I DEMOCRATICI

L'identità plurale dei democratici nasce dalla sintesi delle culture fondative dell'Ulivo. Noi siamo un partito popolare perché ci rivolgiamo ad un vasto arco sociale, dai ceti meno abbienti, ai ceti produttivi, alle nuove generazioni, e perché decidiamo di essere presenti in ogni luogo con esperienze e linguaggi legati alla vita reale delle persone. Noi siamo un partito riformista perché crediamo che l'uomo possa cambiare le cose e che le cose possano essere migliorate.

Noi siamo un partito dell'uguaglianza secondo l'ispirazione del cattolicesimo democratico e della sinistra democratica e liberale

Noi siamo il partito delle donne e degli uomini perché crediamo che la differenza di genere sia una risorsa per la democrazia e per promuovere lo sviluppo umano.

Noi siamo un partito laico perché rispettiamo le fedi e le convinzioni morali di ciascuno. Siamo convinti che lo Stato sia la casa di tutti e che si debba garantire a tutti libertà di coscienza e di culto e che si debbano tener distinte le convinzioni religiose, filosofiche e morali dalle leggi che regolano i comportamenti di tutti.

Noi siamo il partito dei lavori e dei ceti produttivi. Vogliamo tornare nei luoghi in cui si fatica e si produce, ascoltare chi intraprende e chi rischia in proprio. Noi siamo il partito dei diritti civili perché crediamo nella dignità, nell'autonomia, nella libertà, nell'uguaglianza di tutte le persone; siamo contrari ad ogni forma di discriminazione e contrari ad uno Stato che tenda a sostituirsi alla libertà e alla responsabilità dell'individuo. Noi siamo un partito ambientalista perché siamo consapevoli che la Terra è una sola. Il rispetto per l'ambiente è il rispetto che dobbiamo alla nostra stessa casa. Noi siamo il partito dei territori e della sussidiarietà. Per noi non c'è un centro che decide e una periferia che obbedisce, ma un equilibrio virtuoso tra i diversi livelli decisionali, sia per quanto attiene alle istituzioni che per il Partito.

Noi siamo il partito dei giovani perché scommettiamo sul futuro del nostro Paese stando dalla parte di chi bussa alla porta e non di chi la tiene chiusa. Per restituire ai giovani il desiderio di cambiare il mondo.

Noi siamo il partito della conoscenza e dei saperi perché abbiamo fiducia nell'ingegno umano, crediamo che senza sapere non ci sia libertà, consideriamo prezioso il riconoscimento dei meriti dei giovani ricercatori.

Noi siamo il partito dei cittadini e del nuovo civismo perché crediamo nella libertà dell'individuo e nelle risorse di una comunità solidale. Ciò trae forza e senso da antiche radici, che oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni. Radici di emancipazione e di riscatto, di autorganizzazione, di solidarietà, di autonomia che furono premessa vivente delle grandi formazioni politiche popolari all'affacciarsi del secolo scorso. Si formò allora l'idea che prendendo le parti di chi lavora e produce e di chi è più debole e subordinato, sia possibile costruire una società migliore per tutti

NOI, IL PARTITO DEMOCRATICO

La questione che ci siamo posti nei mesi scorsi non è se essere un partito "vecchio" o un partito "nuovo", ma se essere davvero un partito: cioè una libera associazione di cittadini dotata di identità riconoscibile, organizzazione interna, radicamento sociale, luoghi di discussione e partecipazione, nonché di regole liberamente accettate e condivise. Non aver chiarito questi punti fondamentali ha indebolito il cammino iniziale del Pd. All'indomani delle primarie abbiamo deluso sia chi era legato a forme di militanza più tradizionali, sia chi si aspettava nuove forme di partecipazione politica e di coinvolgimento sociale. Abbiamo disperso un tesoro immenso.

Che cos'è un partito?

1. L'idea di partito ha a che fare con l'idea di democrazia. Rifiutiamo i modelli plebiscitari e riaffermiamo il valore dell'art. 49 della Costituzione. I partiti sono strumenti di partecipazione, di formazione civile, di impegno individuale e collettivo, di mediazione virtuosa tra società e istituzioni, di proposta e di indirizzo, di selezione democratica della classe dirigente.

2. Un partito è una comunità di donne e di uomini che vive di rispetto, amicizia, pari dignità e lealtà reciproci. Le iniziative popolari e le feste sono parte essenziale dell'attività di partito, così come la promozione di strumenti nuovi di comunicazione e socializzazione. La Rete non sostituisce, ma amplia le possibilità di comunicazione e di interazione ad ogni livello. 3. Un partito si organizza in circoli presenti in ogni comune o quartiere, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle comunità all'estero, ma può aprirsi davvero agli elettori solo se è radicato e riconosciuto nel Paese. Si apre alle energie più fresche della società tramite una forte organizzazione giovanile.

Cosa significa democratico?

1. Il Partito democratico è un partito di iscritti e di elettori che persegue la parità di genere nelle responsabilità politiche. La sovranità appartiene agli iscritti, che la condividono con gli elettori nelle occasioni regolate dallo statuto. Agli iscritti sono riconosciuti diritti fondamentali come la partecipazione alle decisioni ai vari livelli (anche attraverso referendum) e l'elezione degli organismi dirigenti. Il Pd coinvolge gli elettori, attraverso le primarie, per selezionare le candidature alle cariche elettive con particolare riferimento alle elezioni in cui non sia presente il voto di preferenza. Partecipa alle primarie di coalizione con un proprio rappresentante scelto da iscritti e organismi dirigenti. Le primarie per l'elezione del segretario nazionale richiedono nuove regole.

2. Il Partito democratico è un partito nazionale organizzato su base federale. I rimborsi per le elezioni regionali, le entrate del tesseramento e delle feste, i contributi degli amministratori, sono destinati ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali. Parte del finanziamento elettorale nazionale ed europeo va destinata a progetti di radicamento del partito nella società. Gli organismi dirigenti nazionali saranno formati per la metà da rappresentanti designati dai livelli regionali.

3. Gli organismi dirigenti ad ogni livello saranno composti in un numero Lo statuto garantisce i diritti dei singoli iscritti e delle minoranze. Gli organismi dirigenti hanno il dovere di ricercare attraverso l'aperto confronto delle opinioni la posizione comune da assumere nelle sedi politiche e istituzionali. Le deroghe rispetto alle posizioni comuni dovranno esprimersi sulla base di criteri valutati da un organo statutario.

Per tutte queste ragioni vogliamo costruire insieme un Paese da amare, un'Italia dove sia bello vivere, lavorare, crescere i propri figli. Con il Partito democratico.

Non sapendo se già l'avete ricevuta, vi giro la lettera che Dario Franceschini ha inviato a tutti.

Cordiali saluti.

Il portavoce

Giordano Mazzurana

Lettera agli iscritti di Dario Franceschini

Care iscritte, cari iscritti,

in questi giorni si sta votando in tutti i circoli d'Italia.

Mi rivolgo direttamente a voi perché conosco la vostra passione e il vostro
attaccamento al partito.  

In ogni Festa, in ogni assemblea, in ognuno dei mille circoli di tutte le
province italiane in cui sono andato da segretario, ho ascoltato le vostre
speranze e ho capito le delusioni per quello che si poteva fare meglio e non
è stato fatto.

Perché di certo abbiamo fatto errori ma ora dobbiamo rimboccarci le maniche
e correggerli, andando però avanti nella nuova storia comune che abbiamo
appena iniziato a vivere.

Il mio impegno è questo: non tornare indietro.

Non tornare indietro rispetto alla scelta di un partito radicato nel
territorio, con un Circolo in ogni comune e in ogni quartiere. Un partito
aperto, che unisce la straordinaria forza dei nostri iscritti e dei nostri
militanti alle energie di tanti elettori pronti a lavorare con loro per un
progetto in cui credono.

Non tornare indietro rispetto all'idea di un partito ricco di diversità come
tutti i grandi partiti nel mondo.  Abbiamo scelto noi di chiudere una lunga
stagione di divisioni per far nascere il Pd, la casa di tutti i
progressisti: laici, cattolici, di sinistra, ambientalisti, liberal,
socialisti.  E così deve restare il Pd: il partito in cui quelle diversità
sono la ricchezza che permette di costruire la sintesi e la linea comune.    

Per questo sono orgoglioso che a sostenere la mia candidatura vi sia tutta
questa varietà di storie.

Per questo sono orgoglioso che il Coordinatore della mia mozione
congressuale sia Piero Fassino.

Per questo mi si è aperto il cuore quando alla fine di agosto un vecchio
signore ha attraversato la folla che riempiva la piazza, mi ha abbracciato e
mi ha detto: "Sono l'ultimo segretario del Partito Comunista di Gallipoli ma
voterò per te, perché non mi interessa da dove vieni ma dove vuoi andare".


Questo è il Pd che abbiamo sognato e che ora dobbiamo costruire: un luogo in
cui ognuno ha portato l'orgoglio della propria storia precedente ma in cui
si sta insieme per il futuro che si vuole costruire, per l'idea di Italia
che abbiamo.

Come sapete, quando 6 mesi fa tutti mi hanno chiesto di fare il Segretario
del Pd, in un momento molto difficile, avevo detto che il mio lavoro sarebbe
finito in ottobre. Poi ho riflettuto molto su quelle parole di Berlusconi
appena sono stato eletto: "Ecco l'ottavo leader del centrosinistra. Tra un
po' ci sarà il nono"
. Ho masticato amaro quel giorno perché ho pensato che
purtroppo non aveva torto: in quindici anni di là c'è stato sempre lui, di
qua tutti i leader che si sono susseguiti sono stati più ostacolati dal
fuoco amico che da quello avversario.

Allora mi sono detto: questa volta a decidere se devo smettere o se dopo sei
mesi devo continuare a fare il Segretario del Pd, non saranno quattro o
cinque capi chiusi in una stanza ma saranno gli iscritti e gli elettori del
Pd.

Ecco, solo questo vi chiedo: quando voterete nei Circoli e poi alle Primarie
del 25 ottobre, tra noi candidati scegliete chi vi convince di più, chi
immaginate potrà fare meglio l'opposizione e preparare le future vittorie,  
ma scegliete liberi.    

E' troppo importante la scelta per seguire l'indicazione di qualcuno che
conta
o per restare legati alle antiche appartenenze.

Seguite solo la vostra coscienza, fate come quel vecchio segretario del Pci:
scegliete uno di noi, ma non per la storia da cui proviene ma per quella
futura che propone al partito e al Paese.

Se farete così, chiunque vinca avrà vinto tutto il Pd.


Dario Franceschini


          Segretario Nazionale del Partito Democratico 

Inoltro questa lettera di Maurizio Martina a tutti gli iscritti.
Grazie, un saluto

Il portavoce Giordano Mazzurana

Maurizio Martina invita al dibattito congressuale

Cara Democratica e caro Democratico,

ancora una volta il governo si dimostra incapace di fronteggiare adeguatamente la crisi e redige una manovra fiscale così leggera che non risolve nessun problema e soprattutto non mette a disposizione delle famiglie e del lavoro risorse sufficienti.

L'unica vera proposta è lo scudo fiscale. Oggi la filosofia di questo governo è chiara: premiare i furbi e bastonare gli onesti. L'estensione dello scudo ai reati tributari e alle violazioni contabili come il falso in bilancio è una vergogna. Che la Lega voti senza titubanze è imbarazzante. Dovrebbero spiegarlo a tutti quei lavoratori e cittadini onesti che anche al nord si sono rivolti a loro alle ultime elezioni.

Per questo è importante arrivare al prossimo appuntamento elettorale, quello delle Regionali, preparati e per questo è necessario che il partito sia organizzato anche nelle sue strutture locali e i congressi provinciali si svolgano al più presto senza essere ulteriormente rimandati.

Contro la Finanziaria e lo Scudo il PD è pronto a mobilitarsi subito. Come primo passo stiamo promuovendo in Lombardia una campagna con cartoline web da inviare ai cittadini, una campagna di manifesti e gazebo nelle piazze perché nel silenzio dei telegiornali tutti abbiano modo di sapere.

Ogni giorno nuovi fatti di cronaca denunciano la scarsa libertà di informazione in Italia, per questo il PD conferma il presidio sulla libertà di stampa. La data è fissata per giovedì 1 ottobre alle 18.00 nei Giardini pubblici di Via Palestro a Milano, accanto alla statua dedicata a Indro Montanelli (angolo via Palestro - via Manin). Saranno presenti anche Vittorio Angiolini ed Emanuele Fiano.

Vi invito anche a partecipare alla manifestazione nazionale di Roma del 3 ottobre.

Ma oggi voglio soprattutto ringraziare quanti stanno andando ai Congressi di Circolo e contribuiscono a dare a questa occasione il carattere di un dibattito appassionato e molto partecipato sui contenuti del PD e sul futuro dell'Italia.

Come dice Pierluigi Bersani siamo una comunità di protagonisti invitata a correggere gli errori del passato e a dire parole nuove al nostro Paese.

Vi invitiamo a un dibattito sereno per essere, al termine di questo percorso congressuale, un partito più unito e più forte di prima.

Un saluto,

Maurizio Martina

sabato 26 settembre 2009

Convocazione assemblea Iscritti


 


                                Agli Iscritti


 


 

Oggetto: Assemblea di Circolo per l'elezione del Segretario Nazionale


 


 

Il giorno 30 settembre 2009 alle ore 20,30 presso il circolo del Partito Democratico di Pessano con Bornago in via Negroni 4 è convocata l'Assemblea di Circolo con il seguente ordine del giorno:


 

-Presentazione delle mozioni dei candidati alla carica di Segretario Nazionale


 

-Inizio delle votazioni alle ore 21,30


 

E' UN APPUNTAMENTO A CUI OGNI ISCRITTA ED OGNI ISCRITTO NON PUO' MANCARE.

IL PARTITO NUOVO DIPENDE DA CIASCUNO DI NOI.


 


 

                                Il portavoce

                            Giordano Mazzurana


 


 


 

Pessano con Bornago, 24/9/2009

mercoledì 23 settembre 2009

"Testamento Biologico"

Si segnala, per opportuna conoscenza, l'intervento che l'on Lino Duilio ha fatto in Commissione Affari Sociali della Camera sul c.d. "Testamento Biologico"

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (c.d. "legge sul Testamento Biologico")

(On. Lino Duilio – Intervento in Discussione generale sul testo approvato dal Senato e sulle proposte presentate alla Camera - Commissione Affari Sociali, 22 settembre 2009)


 

Premessa

Onorevoli colleghi, in premessa vorrei esprimere un ringraziamento al relatore in Commissione, onorevole Di Virgilio, per la relazione di ampio respiro con la quale ha introdotto i lavori della Commissione, su un tema al quale credo nessuno possa avvicinarsi se non con "timore e tremore".

E' un ringraziamento non formale perché vi ho trovato, tra l'altro, una sincera tensione verso l'ascolto delle diverse posizioni, la giusta sottolineatura dell'assoluto valore della vita, il conseguente ribadimento del no ad ogni forma di eutanasia, il rigetto sia dell'abbandono che di ogni pratica di accanimento terapeutico, il richiamo del rischio di quello che ha definito "un eccesso di norma" in questo nostro tempo sociale, la fondamentale importanza delle cure palliative (sulle quali credo di poter dire che alla Camera abbiamo nei giorni scorsi fatto un iniziale, buon lavoro), il riferimento ad una Dichiarazione Anticipata di Trattamento (cosiddetta DAT) che sia espressione di autodeterminazione della persona ma con possibile "spiraglio" di revisione, ad evitare che si trasformi in una "presunzione fatale" sul proprio destino, "senza tener conto – come l'onorevole Di Virgilio ha affermato – dei mutamenti, delle trasformazioni, delle sorprese che la vita sa riservare ogni giorno".

Dopo aver ringraziato il relatore, vorrei anche ringraziare i colleghi che sono intervenuti sinora, dai quali ho imparato molte cose e che, tutti, hanno affrontato il tema in discussione con serietà e profonda tensione morale.

Non intendo, con questa premessa, spingermi oltre, fino ad arrivare ad esprimere un giudizio su alcune questioni aventi peraltro peculiare valore politico, questioni ancora più complesse che formano oggetto del testo licenziato dal Senato.

Prima di addentrarmi, peraltro, nel campo controverso delle questioni di merito vorrei, nel poco tempo che ho a disposizione, con onestà intellettuale, dichiarare le mie convinzioni (che - lo vorrei ricordare - non sono certezze) ed argomentare la mia posizione sull'attività di normazione (o di metanormazione, come sostiene taluno) che andiamo svolgendo.


 

Il valore della vita

Io ritengo che ciascuno di noi porti in Parlamento le proprie convinzioni, che risalgono a motivazioni e fondamenti diversi, di ordine religioso, morale, sociale e culturale. Sulla base di questo nostro essere espressione di convincimenti e valori di riferimento, e senza trascurare la dovuta consapevolezza di esercitare in questa sede un ruolo di rappresentanza che rinvia a cittadini elettori portatori di opzioni e valori differenti, in coscienza mi sento di esprimere una preliminare, personale convinzione sul valore della vita.

Io credo che il valore assoluto della vita costituisce oggi un principio unanimemente acquisito nella nostra società. Tale principio, però, mi pare risenta progressivamente della tendenza, tipica dell'epoca contemporanea e moderna, a perimetrare nell'esclusiva sfera materiale del corpo il suo connotato di valore. Con la conseguenza, inesorabile, di far nascere alcune contraddizioni e di vedere assurgere "la qualità" come unico criterio di misura del valore dell'esistenza umana. Dal che deriva, ulteriormente, che la decisione "finale" su di essa è frutto di un procedimento puramente "razionale" dell'individuo, in buona sostanza legato alla valutazione della condizione oggettiva e materiale in cui si trova il suo corpo ed al suo "diritto proprietario" di decidere su di esso.

La mia convinzione sul tema è un poco diversa.

E, se mi è consentito un riferimento letterario che spero non venga considerato una civetteria intellettuale, la riepilogherei nelle parole che Fedor Dostoevskij mette in bocca al protagonista del romanzo Delitto e Castigo, Raskolnikov. Il quale, fermatosi a parlare, in una trattoria malfamata, con Duklida "una giovane di circa trent'anni, butterata, tutta lividi, col labbro superiore gonfio", che evidentemente in quel posto vendeva per necessità il suo corpo, dice: "Dove ho letto, dove ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, dice o pensa che se gli toccasse vivere su un'alta cima, su una roccia, o su di uno spiazzo tanto stretto da poterci posare solamente i suoi due piedi - e intorno a lui ci fossero degli abissi, l'oscurità eterna, un'eterna solitudine e un'eterna tempesta - e dovesse rimaner così, in un arscin di spazio, per tutta la vita, per mille anni, in eterno - preferirebbe viver in quel modo che morire subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere come che sia, ma vivere!... Che verità! Che verità!, Signore! E' vile l'uomo!... Ed è vile chi per questo lo chiama vile" aggiunse dopo un momento".

Ecco, io la penso così, e penso questo anche a prescindere da riferimenti di fede o religiosi.

Penso che la vita ha significato in ogni suo istante vitale, e che ognuno di questi istanti abbia valore in sé, non predeterminabile.

Sono dunque perplesso anche sul fatto che possa darsi la possibilità di una decisione "in anticipo" sul momento ultimo della vita: mi chiedo, cioè, se possa avere un senso assumere "in anticipo" un impegno su una successiva decisione irreversibile, quando in quel momento successivo il naturale richiamo della vita potrebbe riservare una "sorpresa", per richiamare il termine del relatore, dapprima imprevedibile.


 

Implausibilità di una disciplina normativa

Con il conforto di queste convinzioni, ma interessato e sinceramente attento ai "pezzetti di verità" che ritengo esistano in ciascuna posizione, sono a sostenere l'opportunità che su un terreno per tanti versi così "sdrucciolevole" come quello di disciplinare per legge la materia del "fine vita" sarebbe meglio fermarsi e non fare nessuna legge o, al massimo, varare una norma essenziale su alcune questioni che richiamerò brevemente alla fine di questa mia riflessione.

Provo ad argomentare.

Innanzitutto, io credo che sancire il diritto a stabilire, tanto più per via formale, il momento della fine della propria esistenza significa, lo si ammetta o meno, teorizzare una sorta di "reductio ad unum" della vita, cioè a dire sostenere che essa diventa esclusivamente corpo, con lo spirito che scompare dall'orizzonte della umana riflessione. Annoto, incidentalmente, che parlo intenzionalmente di "spirito" mentre, secondo i miei principi, dovrei parlare di "anima". Ma so bene che in questa sede questo riferimento verrebbe letto come eccessivamente legato ad un fondamento cristiano che peraltro mi sento di testimoniare con profonda convinzione. Ma, per l'economia di questa discussione, mi basta riferirmi allo "spirito" o, se preferite, a quello che potrei definire "soffio vitale". Ebbene, escludendo evidentemente le situazioni di condizioni scientificamente diagnosticabili come vita vegetativa, può la vita essere ridotta al solo corpo? Può la ragione in nome della religione della libertà occultare ogni discorso su quell'imponderabile dimensione interiore che è lo spirito?

E cosa sappiamo noi dello spirito, cosa può sapere la scienza dello spirito, quando essa, attraverso la tecnica, si cimenta nella possibilità di un atto che, nella sua ambivalenza, può risolversi in un esercizio di onnipotenza, sia che prolunghi artificialmente l'esistenza umana sia, all'opposto, che di quella esistenza produca con efficacia la fine?

La nostra discussione su come disciplinare, ex lege, il momento finale della vita incorpora una dimensione proprietaria estremizzata del corpo, segnando una via ideologica alla questione, non casualmente analogica sul piano tecnico-giuridico, come il rimando di senso della semantica utilizzata per l'occasione non fatica a far intravedere (il riferimento, evidentemente, è all'utilizzo del termine "testamento" per definire - come per l'eredità - l'atto a cui affidare la volontà finale di ciascuno sulla propria vita).

Sulla linea di questa progressiva tendenza, nel dibattito sulla legge sul c.d. "testamento biologico" polemiche vivaci oppongono le posizioni di coloro che appartengono al partito "del diritto alla vita" rispetto a coloro che teorizzano il "diritto alla libera scelta". In particolare, gli appartenenti a questo "secondo partito" sostengono che deve essere approvata una legge secondo la quale ciascuno decide "per sé e da sé", in tal modo lasciando a ogni cittadino la libertà di comportarsi secondo il proprio orientamento.

Una tale impostazione verrebbe opposta ai cosiddetti fautori del "diritto alla vita", i quali avrebbero il torto di voler imporre a tutti la propria concezione etica, dimenticando che uno stato laico deve rispettare la libera opinione di tutti i suoi membri.

Anche su questo aspetto, nutro qualche perplessità. In quanto quella addotta mi sembra un'argomentazione debole, per molti versi superficiale se non ingannevole. Sostenere, infatti, quella tesi significa misconoscere che sostenere il diritto per tutti di fare ciò che si crede rappresenta una posizione speculare ed "ideologica" anch'essa. Rimettere, infatti, in ciascuno il fondamento del diritto di vivere o meno, affermare cioè il principio etico di autodeterminazione, è una posizione che porta anch'essa nel dibattito politico un punto di vista etico. Punto di vista certo rispettabile ma anch'esso "di parte", obiettivamente "costrittivo", nel caso venisse sancito per legge, nei riguardi di tutti coloro che sostengono il principio della intangibilità (o della sacralità) della vita.

La questione, molto intricata, è quella che il relatore ha ben riepilogato. Sostenendo che "è quindi necessario elaborare una legge che contempli il rispetto dell'esercizio della libertà del soggetto, come garantita dalla Costituzione, con la tutela della dignità di ogni uomo nonché del valore dell'inviolabilità della vita".

Orbene, il ricorso alla legge, quale strumento per disciplinare un momento così importante e così peculiare della vita qual è quello della sua fine, costituisce, io credo, la spia di una pretesa velleitaria, frutto di razionalismo ed illuminismo, oltre che indice di un pericolo, quello di consentire l'intrusione dello Stato in uno spazio che deve essere gelosamente custodito al privato.

Ricorrendo alla legge, la cultura c.d. "liberale" realizza – io penso - un paradosso, quello di consegnare, attraverso la pretesa della norma "generale" e "astratta", la libertà e la responsabilità dell'individuo al suo antagonista di sempre, che è proprio lo Stato. Tutto questo in un tempo nel quale si assiste, per altro verso, proprio alla crisi della legge "generale" ed "astratta", con la proliferazione di differenze che reclamano una disciplina sempre più "concreta" e "particolare", diversa da situazione a situazione.

Ma al di là di questa critica, io sono convinto che alla legge non si possa chiedere di dare delle risposte a delle questioni "ultime", si può chiederle forse, al massimo, di dare risposte a quelle "penultime". E sono convinto, come anche altri ritengono, che la democrazia è stata organizzata per trovare soluzioni a questioni abbastanza simili, rispetto alle quali la legge "astratta" rappresentava e può rappresentare una buona approssimazione delle soluzioni necessarie.

Andare oltre è, come dicevo, velleitario e non garantisce, oltretutto, nemmeno che non esplodano più problemi di quanti, con la legge, non si pensi di chiuderne.


 

Le ragioni del terzo partito, quello della zona grigia

Come sarà apparso oramai chiaro, io mi ritrovo ancora nelle ragioni del c.d. "terzo partito", fatto da coloro (purtroppo minoritari) che teorizzano la necessità di una "zona grigia" - affidata alla autoregolazione sociale - in materia di disciplina del fine vita.

Questa posizione parte dalla convinzione che una legge sulla fine della vita diventa il tentativo di imporre, in modo astratto se non ideologico, i canoni della ragione o della fede in un campo dove l'esperienza umana si fa inevitabilmente solitaria ed incomunicabile, con ciascuna di esse che diventa unica e particolare, diversa dall'altra, impossibile da "incasellare" in una fattispecie generale, codificata per tutti.

In quel momento può intervenire solo la pietas, la trama di affetti e di relazioni umane che circondano il malato, l'amore riconosciuto dell'altro, la paziente dedizione del medico curante, insomma una "comunità amante", che accompagna la persona nel suo ultimo viaggio. Oltretutto, noi sappiamo che il soggetto, quando può determinarsi liberamente, ha diritto a rifiutare le cure. Si pone dunque un problema di uguaglianza con situazioni nelle quali il soggetto non sia più in gradi di agire liberamente. Ma a me pare chiaro che si tratti di condizioni diseguali e quindi non assimilabili da un punto di vista giuridico. Ne dovrebbe derivare, anche sotto questo profilo, l'inopportunità di irrigidire in una formula normativa la molteplice varietà del reale. Si tratterebbe della grevità della politica piuttosto che della plasticità del diritto.

E' la persona che soffre, insieme e dentro quella comunità, a decidere nella discrezione e nella tenerezza di quei momenti su come procedere e, se necessario, cosa decidere. E quando ci fosse (stata) una precedente, esplicita dichiarazione di intenti sul da fare, "allora per ora", è sempre nella discrezione e nella pietas di quella comunità che se ne terrà conto e saranno prese le decisioni più sagge.

Nella essenzializzazione di un eventuale atto normativo, quando proprio lo si volesse predisporre, il compito dello Stato potrebbe ridursi ad una duplice funzione: quella di apprestare le migliori condizioni, strutturali, di assistenza domiciliare e di cure palliative, per favorire il più sereno e meno doloroso decorso della malattia; quella di garantire la necessaria trasparenza del percorso terapeutico finale, prevedendo l'obbligo di evidenze formali che affranchino dal rischio di possibili abusi.

Ma si tratta, come si vede, di ben altro rispetto a quanto "bolle in pentola" dopo approvazione del testo del Senato ed in presenza delle tante proposte di legge depositate alla Camera ed abbinate alla discussione.

Se proprio una legge la si vorrà far nascere, nel mentre confermo tutte le mie riserve e le mie perplessità sull'opportunità di questa attività di normazione, confido almeno che, grazie all'attività emendativa, emerga una legge la più equilibrata possibile.

Grazie.