domenica 22 novembre 2009

IN 10 PAROLE
Sfidare la destra sui valori

IL LIBRO SARA' PRESENTATO ALLA SALA DEGLI AFFRESCHI IN VIA VIVAIO (SEDE DELL'AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE) 

LUNEDI' 23/11/2009 ALLE ORE 18.30.

ALLA PRESENTAZIONE SARANNO PRESENTI

IL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA FERRUCCIO DE BORTOLI E

IL SENATORE TIZIANO TREU.


Le donne, i volontari, gli educatori, i nuovi italiani, i talenti, i lavoratori, i nonni, gli imprenditori, i ragazzi del sud, i liberi.

Dario Franceschini abbraccia gli aspetti della nostra vita sociale, politica, economica in dieci discorsi agli italiani su dieci temi chiave per il futuro del nostro paese. 

Ne esce l'idea di un riformismo che ha il coraggio di sfidare la destra non rincorrendola, non limitandosi a proporre soltanto correttivi ai modelli sociali che ha imposto, ma mettendo in campo una gerarchia di valori alternativa e proiettata sul futuro.

Ricostruire un'identità.

Questo deve essere il primo impegno del Partito Democratico per passare dall'essere forza di sola opposizione a forza progressista di governo ma soprattutto per traghettare l'Italia oltre l'era berlusconiana dell'attacco alle istituzioni, del conflitto d'interessi, delle leggi ad personam, affrontando le sfide del cambiamento senza paura.

Dario Franceschini è nato a Ferrara il 19 ottobre 1958. Per Bompiani ha pubblicato due romanzi, nel 2006 Nelle vene quell'acqua d'argento e, nel 2007, La follia improvvisa di Ignazio Rando. E' sposato e ha due figlie. Avvocato e parlamentare, dal febbraio all'ottobre del 2009 è stato Segretario nazionale del Partito Democratico.
 

Collana: Grandi PasSaggi Bompiani
Pag. 208,  € 15,00

sabato 21 novembre 2009

PARTECIPATE E DIFFONDETE !

DICIAMO NO ALLA LEGGE SALVA-BERLUSCONI.
FACCIAMOLO PARTECIPANDO ALLA MANIFESTAZIONE CON PRESIDIO PREVISTA
SABATO 21 NOVEMBRE ALLE ORE 15.30 in piazza San Babila.
PARTECIPATE E DIFFONDETE !



Pierfrancesco Majorino
Capogruppo PD Comune di Milano.



Gruppo consiliare
PARTITO DEMOCRATICO
Galleria Ciro Fontana 3
20121 Milano
tel. 02-884.54800 - 54801 - 54802 - 54793 - 54742 - 50238 -  50304 - 50481
fax. 02-884.54805 – 50239

venerdì 20 novembre 2009

evviva i bravi cristiani(?) leghisti

"A Natale via i clandestini" nel Bresciano si festeggia così

di Sandro De Riccardis

in "la Repubblica" del 18 novembre 2009


 

A Coccaglio la caccia ai clandestini si fa in nome del Natale.

L'amministrazione di destra – sindaco e tre assessori leghisti, altri tre Pdl – ha inaugurato nel piccolo comune bresciano l'operazione "White Christmas", come il titolo della canzone di Bing Crosby, usato per ripulire la cittadina dagli extracomunitari.

Un nome scelto proprio perché l'operazione scade il 25 dicembre.

E perché, spiega l'ideatore dell'operazione, l'assessore leghista alla Sicurezza Claudio Abiendi «per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità».

È così che fino al 25 dicembre, a Coccaglio, poco meno di settemila abitanti, mille e 500 stranieri, i vigili vanno casa per casa a suonare il campanello di circa 400 extracomunitari.

Quelli che hanno il permesso di soggiorno scaduto da sei mesi e che devono aver avviato le pratiche per il rinnovo.

«Se non dimostrano di averlo fatto - dice il sindaco Franco Claretti - la loro residenza viene revocata d'ufficio».

L'idea dell'operazione intitolata al Natale nasce dopo l'approvazione del decreto sicurezza che dà poteri più incisivi al sindaco, che poi chiede ai suoi funzionari di verificare i dati dell'Anagrafe sugli stranieri.

Nel paese, in dieci anni, gli extracomunitari sono passati dai 177 del 1998 ai 1562 del 2008, diventando più di un quinto della popolazione.

Con marocchini, albanesi e cittadini della ex Jugoslavia tra i più presenti.

«Da noi non c'è criminalità - tiene a precisare Claretti – vogliamo soltanto iniziare a fare pulizia».

A Coccaglio fino a giugno e per 36 anni ha governato la sinistra.

«È solo propaganda - dice l'ex sindaco Luigi Lotta, centrosinistra –

Io ho lasciato un paese unito, senza problemi d'integrazione.

L'unico caso di cronaca degli ultimi anni, un accoltellamento tra kosovari, nemmeno residenti da noi, c'è stato sotto la nuova amministrazione».

L'idea di accostare la caccia agli irregolari al Natale, ha provocato le proteste di un pezzo di città.

«Io sono credente, ho frequentato il collegio dai Salesiani.

Questa gente dov'era domenica scorsa? Io a Brescia dal Papa», replica Abiendi, che si definisce «tra i fondatori della Lega Nord, nel 1992».

Poi enumera i risultati dell'operazione "Bianco Natale": «Dal 25 ottobre abbiamo fatto 150 ispezioni.

Gli irregolari sono circa il 50% dei controllati».

E ora al modello Coccaglio guardano anche i sindaci leghisti dei comuni vicini, due (Castelcovati e Castrezzato) l'hanno già copiato.

Lo scorso 24 ottobre, alla prima convention di sindaci leghisti, a Milano, la "White Chistmas" ha avuto l'appoggio convinto dello stato maggiore del partito.

«Il ministro Maroni è un uomo pratico – dice ora Claretti - ci ha dato dei consigli per attuare il provvedimento senza incorrere nei soliti ricorsi ai giudici».

Sul riferimento al Natale, il sindaco accetta le critiche.

«Forse è stato infelice. Ma l'operazione scadrà proprio quel giorno lì».


 

(Ma non erano quelli che volevano mantenere in classe appeso il crocifisso? Meditate, gente, meditate.)

giovedì 19 novembre 2009

COMUNE DI PESSANO CON BORNAGO

PROVINCIA DI MILANO


 

AVVISO DI CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE


 

IL SINDACO


 

Visto l'art. 40 del Testo Unico delle leggi sull'Ordinamento degli Enti Locali del 18.08.2000, n. 267

RENDE NOTO


 

che alle ore 20.30 del giorno martedì 24 Novembre 2009 si riunirà in seduta ORDINARIA il

Consiglio Comunale presso la sala consigliare sita al 1° piano dell'edificio "la Filanda (ex-Else)" - Piazza della Resistenza per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO


 

1. Insediamento Consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze.

2. Approvazione Piano per il diritto allo studio. Anno scolastico 2009/2010.

3. Variazione di Assestamento generale al Bilancio di Previsione 2009.

4. Modifica agli articoli 4 e 7 della bozza di convenzione approvata con deliberazione del C.C. n.

33/2008.

5. Ricognizione delle società partecipate dell'Ente. Autorizzazione al mantenimento delle attuali

partecipazioni ai sensi dell'art. 3, comma 28 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007.

6. Mozione presentata in data 16/11/2009 dal capogruppo Marchesi Angelo E. del gruppo di minoranza Lega Nord – Padania avente per oggetto: "Crocifissi nelle aule scolastiche".


 

Pessano con Bornago, 18 novembre 2009

IL SINDACO

Caridi Giuseppe

lunedì 9 novembre 2009

IL DISCORSO DI BERSANI: APPASSIONATO, ALTO, IMPEGNATIVO. IN SINTESI DEMOCRATICO.

DISCORSO DI PIERLUIGI BERSANI , ASSEMBLEA NAZIONALE ROMA 7/11/09
Care democratiche e cari democratici, cari amici e cari compagni,
prima di ogni altra cosa voglio che da questa nostra Assemblea venga un saluto affettuoso al
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e un ringraziamento per la personalità, la forza e
l’equilibrio con cui sta esercitando il Suo altissimo ruolo di garanzia.
Un saluto voglio rivolgere anche a nome vostro a Romano Prodi.
Lo sentiamo qui con noi nelle radici profonde della nostra grande avventura e conosciamo l’affetto
e l’attenzione con cui segue le vicende del nostro e del suo Partito.
Un ringraziamento anche a tutti quelli che ci hanno portato fin qui in una vicenda complessa,
difficile, ma esaltante.
In particolare un ringraziamento a Dario Franceschini che mi ha preceduto in questo ruolo e che
si è confrontato lealmente con me e con Ignazio Marino in nome delle migliori prospettive del
Partito.
Nei temi che ricorrono in questa relazione c’è ovviamente molto di mio, ma anche non poco di loro
perché mentre ci confrontavamo ho cercato sempre di ascoltarli.
Infine un ringraziamento e un saluto cordiale ai Rappresentanti delle quaranta Ambasciate che
sono presenti oggi e che testimoniano con la loro presenza il rilievo del nostro appuntamento.
Ho detto più volte che non credo al Partito di un uomo solo ma ad un collettivo di protagonisti.
So bene che la formazione di un collettivo deve avere forme nuove e contemporanee; ma
rinunciarvi, per un partito popolare, non sarebbe andare avanti, sarebbe regredire.
Dunque mi rivolgo a voi non come ci si rivolge ad una folla ma come ci si rivolge al largo gruppo
dirigente del nostro Partito corresponsabile con me di questa nostra straordinaria avventura.
Vi propongo subito e con chiarezza i nostri essenziali compiti: costruire il Partito, preparare
l’alternativa.
Sono compiti che richiedono un lavoro importante per durata e per profondità.
Inutile cercare scorciatoie o immaginare strade senza inciampi.
Cerchiamo piuttosto di darci solidità, di darci una tranquilla certezza di noi stessi e obiettivi chiari.
La forza c’è e la si è vista in questi mesi.
La sera delle primarie ho detto che dentro la vittoria di tutti c’era anche la mia vittoria.
PD ZONA ADDA MARTESANA
È stata davvero una vittoria di tutti. Più di 400.000 (466.573 pari al 56% aventi diritto) iscritti hanno
partecipato ai congressi di circolo, più di 3 milioni (3.102.709) di cittadini hanno votato alle
primarie.
Una spinta enorme, un incoraggiamento enorme!
Quante cose possiamo capire meglio dopo questa vicenda!
Cose che riguardano noi e cose che riguardano l’Italia.
Cose che riguardano noi innanzitutto.
Ad esempio la evidente sintonia fra iscritti e cittadini elettori ci dice, al di là della contingenza, una
cosa molto profonda, che purtroppo abbiamo avuto in dubbio fin qui e che ora possiamo fissare
con certezza.
È possibile immaginare un grande Partito in cui organizzazione ed apertura alla società si tengono,
non sono in tensione od in alterità ma possono rafforzarsi reciprocamente.
È un assunto determinante per indicarci la strada.
Ma più ancora da questo nostro percorso è venuta una parola nuova all’Italia, una parola che non
dobbiamo lasciare spegnere, una parola sulla questione democratica aperta nel Paese, sulle
possibili prospettive della nostra democrazia.
Ancor più dopo queste settimane, noi siamo orgogliosi di sentirci costruttori di un Partito.
Orgogliosi, perché costruendo un Partito realizziamo la nostra Costituzione che parla di Partiti e
non di popoli.
Costruendo un Partito in un modo nuovo e con larghi meccanismi di consapevole partecipazione
noi diciamo con i fatti che esiste un’altra modernità alternativa alla deformazione populista e
plebiscitaria del nostro quadro politico e costituzionale.
Una novità che può venire dall’innovazione dei partiti secondo regole che siamo pronti a discutere
in applicazione dell’articolo 49 della Costituzione.
Una novità che può venire dal rafforzamento e dalla riforma del sistema parlamentare.
Una novità che può venire da una legge elettorale che riconsegni ai cittadini la scelta dei
parlamentari.
Un mese fa, alla nostra Convenzione ho descritto come in molti Paesi del mondo emerga una
caduta di efficacia e quindi di credibilità della democrazia rappresentativa per la natura dei
problemi e dei poteri che si muovono oggi nel mondo, problemi e poteri difficili da afferrare e da
riportare al controllo dei cittadini rappresentati.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Ho cercato di dire come nella particolare situazione italiana tutto questo possa scivolare in
deformazioni e semplificazioni regressive della rappresentanza col rischio di rimpicciolire il nostro
Paese nel contesto delle grandi democrazie mondiali, ne impedirebbe la modernizzazione, lo
lascerebbe ostaggio delle sue arretratezze.
Ho anche detto, e lo ripeto qui, che questo rischio non può essere affrontato con una impostazione
difensiva o nobilmente conservatrice.
Ci chiamiamo Democratici perché poniamo al Paese il problema di una democrazia efficiente. Ci
chiamiamo Riformisti perché vogliamo le riforme.
Noi rifiutiamo in radice l’idea che il consenso venga prima delle regole, che la partecipazione
democratica significhi eleggere un capo, che la società civile sia ridotta a tifoseria.
Riconosciamo, nel contesto delle grandi democrazie del mondo, la pari dignità di modelli
parlamentari e di modelli presidenziali bilanciati.
Ma rivendichiamo per il nostro Paese in ragione della nostra grande tradizione costituzionale e in
ragione delle concrete nostre condizioni sociali, culturali e storiche, un modello parlamentare
rinnovato, rafforzato e reso efficiente.
E quindi avanziamo una nostra idea di riforma. Un idea di riforma che non affidiamo al cosiddetto
dialogo, parola malata ed ambigua, ma al confronto trasparente nelle sedi proprie e cioè nel
Parlamento.
Proponiamo di partire da quattro punti.
Superamento del bicameralismo perfetto, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari,
rafforzamento delle funzioni reciproche di Governo e Parlamento.
Attuazione dell’articolo 49 della Costituzione con una coerente e moderna legislazione sui partiti.
Nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i Parlamentari, attraverso un confronto
con le forze politiche cominciando da quelle dell’opposizione senza escludere una legge di
iniziativa popolare.
Nuove norme sui costi della politica fissando parametri che ci mettano stabilmente e chiaramente
nella media comparata dei principali Paesi europei.
Queste sono le nostre priorità sul fronte istituzionale e costituzionale. Altre ne segnalerò più avanti
sul fronte economico e sociale.
Non pretendiamo di imporre queste priorità ma non accetteremmo che l’agenda delle riforme ci
fosse semplicemente dettata da altri.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Voglio dire una parola chiara anche sul tema della giustizia, sul quale insiste una confusa
pressione da parte di Governo e maggioranza, paradossalmente in assenza di proposte leggibili.
Se parliamo del servizio-giustizia noi non pensiamo che le cose vadano bene così.
Al netto delle immancabili eccezioni, la giustizia è un servizio inefficiente e negato a gran parte dei
cittadini.
Nella crisi economica attuale, ad esempio, le recenti norme sulla giustizia civile appaiono palliativi
di fronte ad un sistema in cui le relazioni economiche non hanno un vero presidio e chi esige un
proprio diritto è spesso nell’abbandono e non raramente nella disperazione.
Vogliamo discutere, nella crisi, di norme urgenti e radicali sulla giustizia civile; vogliamo parlare di
ragionevole durata del processo? Vogliamo partire da qui e affrontare, a partire da qui i problemi
che hanno rilievo anche nella dimensione costituzionale?
Siamo d’accordo.
Ma non possiamo non vedere l’enorme difficoltà di un confronto totalmente e unicamente centrato
sull’equilibrio dei poteri e soprattutto invaso dall’insuperabile interferenza di questioni che si
riferiscono alle situazioni personali del Presidente del Consiglio, e segnato dall’aggressività e dalla
volontà di rivincita scagliate contro il sistema giudiziario e la Magistratura.
Sono sentimenti ed intenzioni che oggettivamente inquinano la discussione.
È in grado la maggioranza di liberare il tavolo da queste ipoteche? Questa è la domanda, ed è una
domanda ineludibile. Obiettivamente ineludibile.
In questa lunga campagna congressuale ho cercato di mettere al centro un tema che ripropongo
qui.
Fra questione democratica e questione sociale c’è un nesso inscindibile.
Dobbiamo sapere che nella divisione e nella incomunicabilità di queste due questioni c’è la nostra
sconfitta.
Nella loro consapevole connessione c’è la prospettiva vincente dell’alternativa. Parliamone al
concreto.
Le condizioni reali dell’economia e della società non hanno un reale rilievo nella discussione
pubblica e nel confronto politico.
Ciò avviene perché il sistema è deformato non solo dal lato dell’informazione e della
comunicazione ma nei suoi aspetti strutturali cioè nella formazione delle decisioni.
La narrazione fatta di cieli azzurri e di nuvole passeggere che ci ha costretti all’immobilità e
PD ZONA ADDA MARTESANA
all’impotenza davanti alla realtà dei problemi non avrebbe potuto aver luogo se la formazione delle
decisioni e delle leggi non fosse stata imbrigliata da un meccanismo che consente la nomina dei
Parlamentari, che consente la valanga di voti di fiducia e di decreti omnibus, e che induce alla
passività non solo la società politica ma, inevitabilmente, anche quella civile.
Come nel gioco delle tre carte il luogo e il tempo per discutere i problemi reali sono sempre altri.
Il vuoto viene coperto da divagazioni addirittura paradossali su cui si adagia il conformismo.
Abbiamo discusso per alcuni giorni di posto fisso mentre decine di migliaia di precari il posto fisso
lo stavano trovando a casa loro!
Tutto questo alza un muro pericoloso fra dimensione sociale e realtà istituzionale e politica.
Riscopriamo che senza dialettica politica e parlamentare non c’è dialettica sociale, non c’è la
possibilità di inquadrare una gerarchia di problemi davvero riconoscibile dai cittadini.
Parliamo dunque con linguaggio di verità di questa crisi.
La crisi non è psicologica, non è una nuvola passeggera, non l’abbiamo alle spalle: nessuno di noi
vuol fare il pessimista o il catastrofista.
Pretendiamo semplicemente che si riconosca che abbiamo un problema serio, un problema che
non si risolve da sé, un problema che altri non risolveranno per noi.
Pretendiamo, dopo diciassette mesi, che il Governo si rivolga al Parlamento e al Paese con una
analisi realistica e con proposte e intenzioni che mostrino finalmente la consapevolezza della
situazione internazionale e nazionale.
La situazione internazionale, innanzitutto.
Abbiamo alle spalle la crisi finanziaria? A guardare profitti e bonus delle grandi banche del mondo
si direbbe di sì.
Ma ciò deriva da fiumi gratuiti di denaro che arrivano dalle Banche Centrali e che vanno su azioni e
titoli piuttosto che sull’economia reale mentre i default delle famiglie possono ancora crescere,
mentre le difficoltà delle imprese aumentano, mentre il livello di capitalizzazione della Banche resta
inadeguato.
Ciò sospinge a una tendenza di fondo.
Le banche non si prendono rischi nuovi verso l’economia reale: intanto, niente di veramente
sostanziale si è mosso per la riforma dei mercati finanziari e c’è un rischio reale di tornare a poco a
poco dove si era prima.
Quanto all’economia reale, la domanda mondiale è bassa, i paesi esportatori in particolare
soffrono, c’è una sovraccapacità produttiva difficile da assorbire.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Il sostegno pubblico alla domanda che avviene nei più grandi Paesi del mondo è una ricetta
necessaria che tuttavia mette sul futuro non solo l’ipoteca del debito ma anche il rischio di
riproporre gli stessi modelli squilibrati nelle relazioni economiche mondiali che sono stati la vera
origine della crisi.
Solo negli Stati Uniti e nel Giappone si affaccia l’idea peraltro ancora incerta di correzioni del
modello di crescita.
Altrove non se ne vede traccia.
Si tratta di correzioni che dovrebbero essere il vero nuovo orizzonte delle politiche progressiste nel
mondo sul quale avviare un confronto internazionale che ancora non si vede.
Per come si muovono le cose nella dimensione mondiale non possiamo pensare che gli altri
risolvano i nostri problemi. Noi abbiamo alle spalle lunghi anni di minor crescita a causa di
condizioni che, se non corretta, agiranno ancora facendoci uscire più lentamente di altri dalla crisi.
Tutto ci dice che nell’inerzia tornare per noi alle condizioni del 2007 sarà una strada lunga.
Bisogna che non sia troppo lunga.
Se permettiamo cioè che l’impatto della recessione sia troppo duro sull’apparato produttivo ne
avremo danni difficili da rimediare.
Se lasciamo che la recessione indebolisca ancora la nostra già incerta attitudine ad un salto
tecnologico del sistema produttivo ne avremo danni difficili da rimediare.
La sostanza è che rischiamo un ridimensionamento strutturale delle nostre attività e quindi
difficoltà serie nel dare prospettive di lavoro alle nuove generazioni.
Per questo invochiamo una risposta nazionale ad uno sforzo che solleciti nel Paese il contributo
anche di chi non sta vivendo la crisi, per fronteggiare con più determinazione i rischi che si
affacciano.
Non ci si presenti per favore, con una finanziaria fatta di segnali irrilevanti.
Ci servono misure vere.
È ora di recuperare il tempo perduto e di affrontare una nuova agenda sia dal lato dell’emergenza,
sia dal lato delle riforme.
Parliamo dunque di emergenza.
Molte piccole e medie imprese non hanno fiato sufficiente per una crisi lunga. Il loro fiato si chiama
liquidità.
PD ZONA ADDA MARTESANA
La liquidità è fatta di pagamenti, di pagamenti della Pubblica Amministrazione, di carico fiscale, di
accesso al credito e di costo del credito.
Si devono scegliere dentro a questo mix soluzioni più concrete e forti di quelle viste fin qui. Non
vado nei particolari. Siamo pronti a dire la nostra.
Anche la capitalizzazione delle imprese può servire a dar fiato purché non sia affidata a
meccanismi barocchi ed estranei al senso comune della nostra imprenditoria.
Ancora sull’emergenza. Gli ammortizzatori. Non è vero che tutto funziona. C’è un problema di
massimali, c’è un problema di prolungamento della cassa ordinaria, c’è un problema di erogazione
della cassa in deroga, c’è una larga scopertura del precariato.
Molte famiglie di lavoratori sono in gravi difficoltà, alcune sono nel dramma.
E ancora: per rianimare i consumi bisogna cominciare a portare risorse ai reddito medio-bassi
impoveriti (salari, stipendi, pensioni) e a chi è sotto la soglia di povertà.
Per stimolare minimamente l’economia ci vuole un grande piano di immediate piccole opere da
affidare ai Comuni e un potenziamento degli interventi per il risparmio e l’efficienza energetica.
Tutto questo costa. Costa peraltro poco di più di quella sciagurata manovra di inizio legislatura che
tra abolizione totale dell’Ici, cancellazione della tracciabilità nei pagamenti, straordinari e Alitalia ci
fece sprecare più di dieci miliardi mentre la crisi era già lì. Sappiamo bene che per affrontare sia
l’emergenza che le riforme bisogna garantire l’equilibrio dei conti.
Lo si può ottenere solo in tre modi:
Abbandonare i tagli lineari e mettere le mani nei meccanismi che generano la spesa pubblica a
cominciare dai grandi comparti e dall’acquisto di beni e servizi imponendo a tutti i livelli, centrali,
regionali e locali e a tutti i centri di spesa le migliori pratiche e riorganizzando su questa base la
Pubblica Amministrazione;
Incrementando la fedeltà fiscale non solo con tecniche deterrenti ma con meccanismi che
introducano in modo fisiologico una riduzione dell’evasione e del nero e spostando altresì il carico
fiscale dal lavoro alla rendita, a cominciare da quella finanziaria;
Migliorare i tassi di crescita con riforme capaci di attivare le forze di mercato.
Sono operazioni a volte scomode, davanti alle quali è facile che tremi la mano.
Ma non si può pretendere che le rose del Governo siano senza spine.
Davanti ad un’assunzione di responsabilità esplicita, concreta e visibile da parte del Governo noi
non ci sottrarremmo a qualcuna di quelle spine.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Ma se continuiamo a sentirci dire che il problema non c’è o che si può aggiustare con palliativi per
noi diventa davvero difficile discutere.
Uno strumento formidabile per fronteggiare la crisi è il sistema delle autonomie, nel momento in cui
più forte potrebbe essere il suo coinvolgimento sia sul versante degli investimenti, sia sul versante
sociale - a partire dalla risposta alle nuove povertà e a questioni acute come quelle
dell’immigrazione - noi assistiamo ad un tradimento vero e proprio dei Comuni che non sanno né
come fare i bilanci né come muovere le risorse che hanno.
Propongo dunque come prima iniziativa di mobilitazione del Partito una assemblea di mille
Amministratori del PD aperta ad Amministratori di ogni orientamento per denunciare il federalismo
delle chiacchiere ed affermare quello dei fatti : non si pensi, a cominciare dalla Lega, di poter
raccontare qualsiasi favola con noi che stiamo zitti!
Parliamo adesso di riforme: preparare l’alternativa vuol dire riprendere l’orizzonte di riforme
economiche e sociali e proporre una nostra agenda.
Il record di dieci anni di governo di cui Berlusconi si vanta ci ha dato propaganda prossima a mille
e riforme prossime a zero.
Come nell’emergenza, così nelle riforme, noi partiamo dal lavoro.
Il lavoro è il problema numero 1 del Paese, il lavoro deve essere il primo impegno del nostro
Partito.
Lavoro e impresa. Quando dico lavoro intendo dire lavoro e impresa a cominciare dalla piccola e
media impresa.
Chiarisco subito che noi avremo un nostro punto di vista e una nostra posizione autonoma in
questo campo, così come su tutto l’arco delle riforme, come si conviene ad un grande Partito
popolare che riconosce e difende l’autonomia delle forze sociali, sindacali e di impresa e sollecita
un confronto con loro a partire però da una sua idea di società e senza essere a rimorchio di
nessuno.
Al concreto noi mettiamo al centro una politica dei redditi contro l’impoverimento dei redditi da
lavoro compresa l’esigenza di garantire soglie minime di reddito, di salario e di pensione;
l’allestimento di un percorso largamente unificato e progressivamente garantito per l’ingresso al
lavoro dei giovani; la necessità di uno sguardo di prospettiva sull’impianto del sistema
pensionistico alla luce dei suoi effetti sulle nuove generazioni; una rivisitazione della legislazione
sull’immigrazione e sulla cittadinanza.
Poniamo altresì il tema di una ripersa delle politiche industriali e di ricerca che per noi si riferiscono
agli orizzonti indicati dal progetto Industria 2015 e un ri-orientamento di investimenti e consumi
nella chiave dell’economia verde.
L’economia verde dovrà essere da qui in poi un motore della crescita, nel campo industriale,
PD ZONA ADDA MARTESANA
dell’edilizia, dei trasporti e delle energie rinnovabili.
Abbiamo proposte precise da discutere e chiediamo che non ci si distragga col tentativo illusorio di
afferrare qui e ora in Italia un nucleare di terza generazione.
Vogliamo essere il Partito dell’ammodernamento del Welfare, capace di presidiare con una vera
cultura di governo - che comprende anche per intenderci la sostenibilità finanziaria - quei beni che
non intendiamo affidare al mercato e per i quali pretendiamo un approccio universalistico: salute,
istruzione, sicurezza.
La nostra valutazione è questa. In questi sistemi assistiamo prevalentemente ad una riduzione e a
un degrado dell’offerta, realizzati con violenti tagli lineari e con la predisposizione di battage
ideologici, dal grembiule, alle ronde, ai fannulloni e con un approccio ai temi della Pubblica
Amministrazione non in chiave di riorganizzazione ma in chiave di richiamo all’ordine.
I risultati li vediamo nell’impoverimento dell’organizzazione scolastica e formativa che si scarica su
studenti, famiglie, insegnanti e nella condizione di disagio estremo in cui lavorano gli operatori
della sicurezza.
Decreti e voti di fiducia in tutte queste materie non hanno portato soluzioni, hanno portato
problemi.
Chiediamo che sia possibile finalmente una discussione nel merito, a cominciare ad esempio dalle
nuove norme sull’Università, nelle quali riconosciamo alcune delle nostre indicazioni e che siamo
quindi interessati a discutere, con il solo vincolo di una riconsiderazione dei tagli indiscriminati che
si sono abbattuti su Università e Ricerca.
Il Partito che presidia e ammoderna le grandi tutele sociali e i meccanismi di inclusione e di
integrazione è anche il Partito che combatte per l’apertura e la regolazione dei mercati, che si
oppone a meccanismi monopolistici, corporativi e di posizione dominante e a meccanismi confusi
che agganciano il pubblico agli interessi del privato così come avverrebbe con le norme che si
affacciano sui servizi pubblici locali.
È il Partito, come ho detto più volte, che sta con chi bussa alla porta e non con chi la tiene chiusa e
che pretende che il cittadino consumatore e utente sia rispettato, che considera l’equità del carico
fiscale un obiettivo di civiltà e ritiene i condoni una vergogna e una iattura.
Un programma di apertura e civilizzazione del mercato ha davanti a sé in Italia un terreno
vastissimo di iniziativa ed alcune priorità: quella che riguarda ad esempio la possibile riproduzione
di posizioni dominanti nei diversi ambiti in cui si articola oggi l’informazione e la comunicazione.
È un Partito il nostro, che sospinge l’evoluzione dei diritti civili e che ha nei suoi cromosomi gli
articoli 2 e 3 della Costituzione che non ammettono distinzione alcuna nei diritti inviolabili delle
persone; un Partito che non accetta una posizione discriminata delle donne nell’economia, nella
società, nelle Istituzioni.
PD ZONA ADDA MARTESANA
A questo proposito una forza politica che compone un’Assemblea come questa e con questa
presenza femminile non può accettare che l’Italia sia al quattordicesimo posto in Europa e al
cinquantunesimo nel modo per rappresentanza delle donne nelle Assemblee elettive, per tacere
della loro presenza (o assenza) nei Consigli di Amministrazione.
Io credo che qui, nei centri decisionali, ci sia il cuore della discriminazione che deve essere
affrontata con interventi normativi su un sistema transitorio di quote che il Partito Democratico
deve avanzare sollecitando un movimento di opinione.
Infine, ma non per ultimo, noi vogliamo essere il Partito dell’unità del Paese nel suo assetto
autonomistico e federale e poniamo la questione drammatica e acuta del Mezzogiorno nella sua
sintesi fra situazione economica e occupazionale, rinnovamento politico, civile, amministrativo e
affermazione della legalità.
Non possiamo certo ridurre questo tema ad una discussione pro o contro la Banca del Sud.
Ospiteremo in un luogo aperto di Partito intellettuali, coscienze critiche e nuove energie per
proporre un progetto nuovo di legalità e di crescita che attacchi la pletora dell’intermediazione
polit.ca e amministrativa, che valorizzi le reciprocità fra nord e sud, che sia palestra vera per la
formazione di nuove classi dirigenti.
Al di là di questi essenziali e doverosi cenni non voglio qui fare un discorso programmatico.
Voglio solo fissare un punto: non potremo costruire davvero una alternativa vincente senza
suscitare la fiducia nella possibilità di una stagione di riforme e di avanzamenti civili e sociali. Né
questa dimensione riformista può affermarsi, tanto meno nei luoghi più dinamici della nostra
società, senza che il Paese si percepisca in una dimensione meno ripiegata e più vasta, e cioè
innanzitutto nella dimensione europea.
Questo mi pare essere il più profondo lascito e la più sicura indicazione che vengono
dall’esperienza dell’Ulivo e della leadership di Romano Prodi.
Essere in Europa: sia nel porci all’altezza delle migliori esperienze europee senza farcene
sopravanzare come sta largamente avvenendo, sia nell’affermare il nostro Paese come soggetto
trainante dell’integrazione; un ruolo questo che con i Governi della destra ci è totalmente sfuggito
di mano e che dobbiamo assolutamente riprendere.
Il 1° dicembre entrerà in vigore il Trattato di Lisbona. Le cose cambiano. Siamo contenti e
orgogliosi che si discuta, pur in un percorso incerto e complesso, della candidatura in un ruolo di
altissima responsabilità di una personalità italiana e cioè di Massimo D’Alema.
È una novità importante il fatto che questa candidatura sia emersa non nella classica forma
intergovernativa ma come indicazione politica delle forze progressiste europee e che questa
proposta abbia avuto un aperto apprezzamento dalla quasi totalità delle forze politiche italiane.
Vogliamo affrontare le novità che vengono dal nuovo Trattato nel solco dell’indicazione del
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Presidente Giorgio Napolitano, che ha detto così: 'Se non ci si libera dalle pastoie dell’Europa
intergovernativa non c’è futuro per l’integrazione e se l’integrazione ristagna o regredisce non c’è
futuro per l’Europa, e quindi per noi stessi nel mondo'.
Credo non si possa dire meglio. Vogliamo quindi, al concreto, che il nostro Paese sia alla testa dei
processi di cooperazione rafforzata che il nuovo Trattato consente.
Vogliamo che nei luoghi della responsabilità multilaterale, dal G 20 al Fondo Monetario
Internazionale, i Paesi europei non vadano in ordine sparso.
Vogliamo che dopo l’Euro si coordino finalmente le politiche di bilancio e che nella crisi l’Europa
parli ai cittadini con proprie iniziative di investimento, con l’univocità delle politiche di salvataggio di
banche e imprese e delle politiche industriali, e con un impulso forte all’integrazione del mercato
interno.
E vogliamo che l’Europa torni a darsi un orizzonte politico, quell’orizzonte che le destre europee
hanno svilito e che le forze progressiste non riescono ancora ad interpretare.
Sono trascorsi venti anni dalle rivoluzioni del 1989 nell’Europa centrale ed orientale che posero
fine al socialismo dispotico e segnarono un fondamentale spartiacque storico.
La fine del comunismo in Europa apparve come un evento epocale che concludeva
definitivamente il ventesimo secolo con dieci anni di anticipo sulla cronologia.
Ci fu in quegli anni chi sostenne che alla guerra fredda stesse per succedere lo "scontro tra civiltà"
che il destino del mondo fosse l’incomponibilità dei conflitti tra culture diverse o chi ritenne che si
fosse giunti alla "fine della storia", interpretando la caduta del muro di Berlino come l’evento
culminante della storia universale.
Si è venuto delineando in questi anni un mondo che non coincide con nessuna di quelle previsioni.
Un mondo che ha conosciuto mutamenti profondi, una straordinaria rivoluzione scientificotecnologica
in particolare nel campo delle comunicazioni; un mondo in cui hanno fatto irruzione
sulla scena paesi come l’India e la Cina; che ha conosciuto processi di democratizzazione, ma
anche nuove fratture come quella intervenuta tra occidente e mondo islamico.
Un mondo che non ha ritrovato ancora un nuovo equilibrio.
Viviamo, a vent’anni dal crollo del muro, una stagione ricca di enormi potenzialità ma anche
gravida di contraddizioni e di pericoli in un mondo attraversato da una rete sempre più fitta di
legami di interdipendenza basati sugli scambi economici e sui mezzi di comunicazione ma segnato
insieme da un deficit enorme di regolazione dei fatti globali e da guerre, terrorismo e violenza.
L’Europa deve nutrire l’ambizione di contribuire alla costruzione del nuovo ordine mondiale di cui si
avverte l’urgente necessità.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Solo un'Europa unita può assolvere a un tale compito. Quale Paese europeo potrebbe davvero
affrontarlo da solo?
L’America di Barack Obama offre all’Europa la possibilità di rafforzare le relazioni transatlantiche.
I due pilastri dell’Occidente possono collaborare in un quadro più aperto e multilaterale per
promuovere meglio regole di governo del sistema economico e finanziario, per promuovere la
sicurezza e la pace, per contrastare il riscaldamento del pianeta.
Alcune delle ferite aperte nel mondo ci coinvolgono più da vicino e più direttamente.
In particolare gli sviluppi della vicenda afghana appaiono estremamente preoccupanti.
Siamo persuasi che un fallimento degli sforzi della Comunità internazionale di stabilizzare
l’Afghanistan avrebbe conseguenze molto gravi nell’intera regione.
Il Partito Democratico esprime un forte e convinto apprezzamento per i militari italiani che nel
contesto di una missione promossa dalle Nazioni Unite operano in Afghanistan con dedizione e
professionalità pagando anche un alto tributo in termini di vite umane.
Avvertiamo tuttavia l’esigenza di una riflessione sulla tormentata vicenda afghana.
Occorre dirsi la verità: senza conquistarsi il sostegno attivo della popolazione afghana agli obiettivi
di pacificazione del Paese perseguiti dalla Comunità internazionale il rischio che la stabilizzazione
non proceda è enorme.
La posta in gioco per l’occidente in quella regione è alta ma la si può vincere solo producendo
miglioramenti nella condizione di vita dei cittadini afghani.
Ecco perché occorre realizzare la revisione strategica di cui parla da mesi il Presidente degli Stati
Uniti.
È auspicabile inoltre un ruolo più attivo dell’Europa su tutte le questioni riguardanti il processo di
pace in Medio Oriente che resta in uno stallo preoccupante e pericoloso. Un ruolo che verrebbe
certamente visto molto favorevolmente nella regione e non solo dai Palestinesi.
Non aggiungo altro.
Il Partito Democratico ha sempre auspicato che sulle scelte di politica estera vi fosse convergenza
tra le grandi forze che rappresentano il popolo italiano nel Parlamento della Repubblica.
Oggi avvertiamo la necessità di lavorare perché l’Italia sfugga ad un destino di marginalizzazione
sulla scena internazionale.
Il rischio di un’Italia ininfluente l’abbiamo visto aleggiare in questi mesi.
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Lo diciamo unicamente preoccupati del buon nome dell’Italia: ad esempio non fanno bene al
nostro Paese posizioni oltranziste sull’immigrazione.
Il problema è enorme e siamo convinti che l’Unione Europea debba fare di più ma il nostro Paese
non può sottrarsi al dovere di fornire asilo e protezione a chi ne ha diritto e necessità né riteniamo
che l’Italia possa scegliere le posizioni più arretrate e miopi sul tema della cittadinanza.
In conclusione l partito democratico lavorerà, oggi dall’opposizione, domani dal governo perché
l’Italia resti fedele all’ispirazione europeista, consolidi sulla base di un rapporto dignitoso e paritario
l’alleanza con gli Stati Uniti, mantenga il profilo di una nazione aperta alle esigenze dei paesi più
vulnerabili, si impegni perché avanzi un governo vero dei processi globali.
Dobbiamo costruire il Partito che abbiamo promesso ai cittadini che ci guardano, ai militanti che ci
sostengono, ai milioni di persone che ci hanno sollecitati ad andare avanti e ad avere una fiducia
sicura nel nostro grande progetto.
Teniamo dunque fermi i punti di fondo.
Nessuna nostalgia dive imprigionarci o trattenerci; dobbiamo sentire invece la responsabilità del
nuovo da costruire.
Saremo un Partito che, nel bipolarismo, si rivolgerà a tutta l’area del centrosinistra, senza trattini o
distinzioni di ruoli e senza pretese di esclusività e con la legittima ambizione di crescere e di farci
più forti.
Una volta scelto il grande campo del centrosinistra, non facciamo torto alla nostra intelligenza
descrivendo la nostra politica come una coperta da tirare un po’ più al centro o un po’ più a sinistra
o inchiodandoci a schemi politici o a parole passate come fossero le figurine Panini di un
campionato di quindici anni fa.
In una società complessa, in cui non puoi chiedere troppo alle antiche categorie politiche né
tantomeno piegare la politica alla sociologia, quel che vale è il progetto, quel che vale è l’idea di
Paese che si rivolge in particolare a quei ceti popolari dove la destra vince, quando vince.
Nella capacità attrattiva di un progetto ci sono tante cose che prese ad una ad una definiremmo di
centro o di sinistra ma che nell’insieme dicono invece i valori fondamentali che hai, il Paese che
vuoi e come intendi comporre gli interessi.
Al di fuori di questa ambizione non sei né più di centro né più di sinistra: sei semplicemente un
Partito piccolo che si condanna ai suoi confini.
E non c’è contraddizione alcuna fra il nostro rifiuto a ritagliarci un angolo del campo e il
riconoscimento che non siamo soli nel campo.
Noi portiamo a tutta l’area del centrosinistra una nostra offerta politica ed un nostro profilo che ho
definito sociale, civico e liberale; un profilo che dica una parola nuova nel concerto delle forze
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progressiste europee tutte impegnate in una ricerca alla quale vogliamo contribuire con una nostra
specificità e con lo stimolo ad andare oltre antichi orizzonti secondo una linea che abbiamo già
cominciato concretamente e positivamente ad applicare nel Gruppo Parlamentare Europeo.
Non trasmetteremo alla nuova generazione dei Democratici il seguito di antiche storie ma piuttosto
un’appartenenza moderna, univoca e sicura.
Per questa sintesi abbiamo a disposizione materiali straordinari antichi e nuovi: il popolarismo, la
sinistra di governo e del lavoro, il cattolicesimo sociale democratico e liberale, le tradizioni civiche,
la nuova sensibilità ambientale.
Abbiamo alle spalle il respiro di secolari movimenti di emancipazione, di radicate culture
resistenziali e costituzionali e le vitalità di espressione della società civile che negli ultimi decenni
ha accumulato protagonismi e una nuova politicità.
Il nostro problema vero è che nessuno rimanga fermo su quello che ha già saputo o che ha già
vissuto e che ognuno faccia un passo e dia una disponibilità generosa al cambiamento.
Avremo un Partito plurale, non c’è dubbio. Ma non nel senso di attribuire ad ognuno una stanza
della casa comune.
Ogni sensibilità che liberamente vorrà esprimersi dovrà comunque riconoscersi nelle fondamenta e
nei muri portanti di questa casa comune.
Tutto questo non avverrà in astratto o in un giorno solo ma nel concreto delle battaglie, delle
posizioni politiche e delle strutture reali con cui conformeremo il nostro Partito.
Popolare e del territorio, abbiamo detto; innanzitutto affermando con questo che noi selezioniamo
dal territorio le nuove classi dirigenti, che consolidiamo la vita dei circoli portando lì le risorse
necessarie, che ci proponiamo un radicamento nei luoghi di studio e di lavoro.
Qui c’è un problema. Nel nostro percorso abbiamo svolto più di 7.100 Congressi di circolo. Solo 70
di questi riguardano i luoghi di lavoro e solo 10 luoghi di studio.
Propongo quindi di lanciare una iniziativa che discuteremo con i Segretari regionali per fondare nei
prossimi mesi 500 nuovi Circoli nei luoghi di studio e di lavoro.
Impegniamoci altresì da subito a costruire una struttura centrale che oggi non abbiamo a servizio
delle attività del Partito nei diversi ambiti dell’iniziativa politica.
C’è ancora molto da fare per costruire il nostro Partito. In questi due anni si è determinata una
costituzione materiale della nostra organizzazione che va corretta e migliorata.
Convocherò immediatamente la Direzione che oggi eleggeremo per discutere, prima ancora degli
organigrammi, dello stato del Partito e di come concepire un suo rafforzamento strutturale.
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Già oggi procederemo peraltro ai sensi dello Statuto oltre alla nomina della Direzione a quella del
Presidente, del Vice Segretario e del Tesoriere.
Ribadisco qui quel che ho sempre detto nella nostra lunga campagna congressuale.
Penso ad un Partito nel quale c’è bisogno di tutti e nel quale tutti devono collaborare a promuovere
una nuova classe dirigente.
Per questo intendo collocare nei luoghi esecutivi esponenti di una nuova generazione già
sperimentata e creare attorno a loro la presenza attiva di personalità politiche che possano
proteggere il cambiamento mettendo a frutto i vasti sistemi di relazione che possiamo mobilitare.
Tutto questo con uno sguardo plurale e mai fazioso nella attribuzione di ruoli e di responsabilità.
C’è un punto ulteriore che voglio già oggi indicare per la nostra discussione.
Se gli aspetti di confronto e di selezione competitiva in cui ci siamo ampiamente esercitati in questi
anni (e che andranno preservati con qualche necessario aggiustamento) non verranno messi in
equilibrio con meccanismi centripeti e coesivi propri di ogni associazione, noi rischieremo fenomeni
di anarchismo e di feudalizzazione.
Penso che la Commissione già nominata dalla Convenzione per la rivisitazione dello Statuto dovrà
occuparsi di questo; di come meglio bilanciare, ad esempio, l’ampia dialettica, l’assoluta libertà di
espressione, il valore del pluralismo con l’esigenza di preservare l’autorevolezza e l’univocità delle
posizioni del Partito.
Quando si parla di questo, il pensiero va subito ai temi etici di frontiera. Ma il problema non è
questo.
Sto parlando invece di una fisiologia che riguarda diffusamente la vita del Partito e che più
facilmente impatta nei diversi luoghi del Paese con questioni relative al tracciato di una strada o a
un termovalorizzatore o a una nomina piuttosto che a problemi di frontiera.
Se siamo forza di governo, e lo siamo; se siamo il Partito di una democrazia partecipata ed
efficiente, e lo siamo, dobbiamo essere all’altezza di noi stessi e risultare lineari e affidabili agli
occhi dei cittadini che si aspettano risposte e posizioni chiare sui problemi della loro vita comune.
Esistono poi anche i temi di frontiera, che possono interpellare la coscienza in modo insuperabile.
Non sarà certo difficile trovare gli strumenti che riconoscano questo ambito, percepito peraltro nel
senso comune.
In realtà sulle questioni etiche e antropologiche il punto principale sta nella dimensione culturale e
politica e nella capacità nostra di mettere a frutto nella discussione, nel confronto e nell’impegno lo
straordinario bagaglio culturale che ci ispira, fatto di umanesimi forti, laici e di ispirazione religiosa.
Umanesimi forti che non dobbiamo annacquare, che sono una forza enorme per noi e che
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dovranno aiutarci ad arrivare fino al punto in cui deve esercitarsi l’autonoma responsabilità della
politica che ha un compito ineludibile: quello di rispondere con delle decisioni, per quanto
transitorie e fallibili, alle esigenze del bene comune.
È al lavoro anche una Commissione nominata dalla Convenzione per perfezionare il Codice Etico
del Partito Democratico.
Voglio qui sottolineare la centralità della questione. Per gli obiettivi che abbiamo, noi non possiamo
fare a meno della dignità e del buon nome della politica e dell’amministrazione pubblica.
Quando questi si appannano, la destra ci lucra e noi paghiamo il prezzo.
Dobbiamo dunque porci il problema generale di un rafforzamento della tensione civica ed etica, a
cominciare da noi stessi.
È una questione che non può essere semplificata parametrandola, come spesso si fa, sui
provvedimenti giudiziari.
Quel parametro, che certo ha un grande rilievo, può tuttavia essere troppo o troppo poco; non ci
libera dalle nostre responsabilità.
Un Partito non è una autorità morale ma deve sentirsi tuttavia in qualche modo garante di quella
dignità nell’esercizio di funzioni pubbliche che la Costituzione richiede.
Una dignità che non può non comprendere comportamenti privati coerenti con la credibilità e il
rispetto che un impegno pubblico pretende.
Dobbiamo chiederci come mai pur avendo indicato le migliori intenzioni nelle nostre carte
fondamentali, in questi due anni non sia stato possibile sanzionare nei diversi luoghi del Paese
comportamenti non coerenti con i principi che abbiamo enunciato.
Chiedo quindi che la Commissione Etica avanzi proposte non solo di principio ma tali da
comprendere strumenti operativi efficaci per dissociare il Partito e il suo buon nome dalle
deviazioni di singoli.
Ho detto all’inizio: costruire il Partito, promuovere l’alternativa. Noi siamo il Partito dell’alternativa;
preferisco dire così perché l’idea di alternativa contiene sicuramente il concetto di opposizione ma
non sempre il concetto di opposizione contiene quello di alternativa.
Vediamo bene sia la forza che oggi Berlusconi esprime, sia d’altra parte, l’impossibilità di
disegnare un orizzonte credibile per il Paese e per la sua stessa maggioranza politica.
Dal lato nostro non ci sfuggono certo l’articolazione e la disomogeneità delle forze di opposizione.
Ma le cose non si muoveranno se non ci muoveremo noi. Quello che conta adesso, soprattutto, è il
nostro posizionamento.
PD ZONA ADDA MARTESANA
Noi ci rivolgiamo con apertura ampia e generosa a tutte le forze di opposizione, riconoscendone la
specificità e lavoreremo perché si accorcino le distanze fra noi.
Chiediamo agli altri di fare altrettanto; chiediamo che nessuno si sottragga alla responsabilità di
offrire agli italiani una alternativa.
È un percorso non breve e certamente non sarà senza inciampi e contraddizioni.
Ma tutti adesso sanno che possono discutere con noi in un clima costruttivo e di reciproco rispetto.
Questo vale per le forze che sono in Parlamento (L’Italia dei Valori, l’Unione di Centro, i Radicali)
sia con forze che non sono in Parlamento (Sinistra e Libertà, Verdi, formazioni civiche, formazioni
di origine socialista e repubblicana).
Sui temi della democrazia abbiamo aperto un canale di comunicazione e di confronto anche con
formazioni con cui non abbiamo prospettive di alleanza come Rifondazione Comunista.
Con questo sguardo ampio e ben consapevoli di tutte le necessarie articolazioni opereremo per
avvicinare le posizioni sui temi istituzionali ed elettorali e su quelli economici e sociali.
Con questo stesso sguardo ampio opereremo in vista delle elezioni regionali ed amministrative;
con l’obiettivo cioè nel rispetto della dimensione federale, di allestire coalizioni democratiche e di
progresso che possano scegliere e promuovere le candidature migliori, anche avvalendosi dei
percorsi di partecipazione.
Care Democratiche, cari Democratici, cari Amici, cari Compagni,
ho concluso.
Lo dicevo all’inizio e spero di essere stato compreso.
Mi sono rivolto a voi come ci si rivolge ad un largo gruppo dirigente e in modo consapevole sia
della rilevanza e della difficoltà del nostro impegno sia della grande forza che possiamo esprimere.
Tutti noi, assieme, metteremo fiducia nel progetto, tenacia e solidità nel perseguirlo; e soprattutto
davanti alla sfida nuova sapremo rinverdire gli ideali che ci hanno portati alla politica ricavando da
lì energia e generosità.
Perché in fondo la sostanza sta proprio qui.
Un Partito giovane ci chiede di essere giovani nel cuore.

«Quella croce rappresenta tutti»

«Quella croce rappresenta tutti» è il titolo apparso su L'Unità il 22 marzo 1988 firmato da Natalia Ginzburg. Lo riproponiamo nella versione integrale alla riflessione dei nostri lettori.

Quella croce rappresenta tutti

di Natalia Ginzburg


Dicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola. Il nostro è uno stato laico che non ha diritto di imporre che nelle aule ci sia il crocifisso. La signora Maria Vittoria Montagnana, insegnante a Cuneo, aveva tolto il crocefisso dalle pareti della sua classe. Le autorità scolastiche le hanno imposto di riappenderlo. Ora si sta battendo per poterlo togliere di nuovo, e perché lo tolgano da tutte le classi nel nostro Paese. Per quanto riguarda la sua propria classe, ha pienamente ragione. Però a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che conosco dicono che va tolto. Altre dicono che è una cosa di nessuna importanza. I problemi sono tanti e drammatici, nella scuola e altrove, e questo è un problema da nulla. E' vero. Pure, a me dispiace che il crocefisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato. Ogni imposizione delle autorità è orrenda, per quanto riguarda il crocefisso sulle pareti. Non può essere obbligatorio appenderlo.

Però secondo me non può nemmeno essere obbligatorio toglierlo. Un insegnante deve poterlo appendere, se lo vuole, e toglierlo se non vuole. Dovrebbe essere una libera scelta. Sarebbe giusto anche consigliarsi con i bambini. Se uno solo dei bambini lo volesse, dargli ascolto e ubbidire. A un bambino che desidera un crocefisso appeso al muro, nella sua classe, bisogna ubbidire. Il crocifisso in classe non può essere altro che l'espressione di un desiderio. I desideri, quando sono innocenti, vanno rispettati. L'ora di religione è una prepotenza politica. E' una lezione. Vi si spendono delle parole. La scuola è di tutti, cattolici e non cattolici. Perchè vi si deve insegnare la religione cattolica? Ma il crocifisso non insegna nulla. Tace. L'ora di religione genera una discriminazione fra cattolici e non cattolici, fra quelli che restano nella classe in quell'ora e quelli che si alzano e se ne vanno. Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente.

La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E' muto e silenzioso. C'è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte dei muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo.

Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine. E' vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell'indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l'esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto.

Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte dei muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. Cristo ha detto anche: "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perchè saranno saziati". Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno, chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti. Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti. Per i veri cattolici, deve essere arduo e doloroso muoversi nel cattolicesimo quale è oggi, muoversi in questa poltiglia schiumosa che è diventato il cattolicesimo, dove politica e religione sono sinistramente mischiate. Deve essere arduo e doloroso, per loro, districare da questa poltiglia l'integrità e la sincerità della propria fede. lo credo che i laici dovrebbero pensare più spesso ai veri cattolici. Semplicemente per ricordarsi che esistono, e studiarsi di riconoscerli, nella schiumosa poltiglia che è oggi il mondo cattolico e che essi giustamente odiano. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono, come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde dei mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte. Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla. E' tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri


25 ottobre Il seggio del circolo di Pessano con Bornago




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sabato 7 novembre 2009

Ricordando Alda Merini

Inoltriamo volentieri questa mail pervenutaci dal
Sindaco di Vimodrone Dario Veneroni  


"RICORDIAMO CHE IL NOSTRO COMUNE HA DATO LA CITTADINANZA ONORARIA ALLA POETESSA ALDA MERINI".

 CIAO! 

DARIO VENERONI SINDACO DI VIMODRONE.

Alda Merini

"Non ho bisogno di denaro"

Non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

giovedì 5 novembre 2009

sentenza della Corte sul Crocifisso nelle aule

Comunicato Stampa Patrizia TOIA, Gianluca SUSTA, Silvia COSTA, Deputati Europei Partito Democratico

 "Di tutto abbiamo bisogno salvo che di nuove guerre sui simboli religiosi".

Silvia Costa, Patrizia Toia e Gianluca Susta - parlamentari europei del PD - commentano così la sentenza della Corte di Strasburgo secondo cui la presenza del Crocefisso nelle aule costituisce una violazione del diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni-

Secondo i Parlamentari italiani, "L'interculturalità - di cui sempre più dovranno tenere conto gli ordinamenti degli Stati nazionali e la legislazione europea - ha come fondamento la convivenza delle diverse identità, non la loro cancellazione. Non aiutano sentenze che scambiano per violazione dei diritti umani l'esposizione di simboli - come il Crocefisso - che non sono solo religiosi, ma che fanno riferimento a comuni basi culturali e civili della nostra tradizione, italiana ed europea".

"Vietare il Crocefisso nelle aule - concludono Silvia Costa, Patrizia Toia e Gianluca Susta - fa il pari con il divieto di indossare il velo alle donne islamiche e tutto ciò non aiuta una serena integrazione nella società. Ricordiamo, infine, che se è vero che la Corte di Giustizia trova in un Trattato Internazionale il fondamento della propria competenza, è altrettanto vero che, in Italia, norme di rango costituzionale, ex art. 7 della Costituzione, prevedono la possibilità di esposizione del Crocefisso, in luoghi pubblici, che la Corte di Strasburgo, invece, condanna! 

 "Anche riletto il giorno dopo, il pronunciamento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si rivela per noi non giusto e non condivisibile", ribadiscono i deputati del Parlamento Europeo Silvia Costa, Patrizia Toia e Gianluca Susta, che già ieri , a notizia appena arrivata, avevano preso posizione.

"Innanzitutto bisogna fare chiarezza dicendo che la Corte in questione non é un organismo dell'Unione Europea. Vi é stata infatti a riguardo una grossolana confusione che alcuni giornali hanno fatto, alimentando, forse volutamente una ostilità e una diffidenza verso l'Europa.

Il pronunciamento non nasce infatti dall'Unione Europea, bensì nell'ambito della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo, riconosciuta dal Consiglio d'Europa, che é un'organizzazione di ben 47 paesi che comprende ad esempio il Kazakistan e altri paesi ben lontani dal nostro continente.

Non si può pertanto attribuire allo "spirito europeo" e al diritto Comunitario questa posizione che in nome di una presunta violazione del diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le proprie convinzioni, rischia di alimentare contrapposizioni e guerre sui simboli religiosi di cui non vi é proprio bisogno.

Rivolgendosi a paesi così diversi e lontani per cultura e tradizioni, il pronunciamento sortisce effetti diversi.

All'Italia "fa più male", e noi la riteniamo da respingere, in quanto viene a colpire simboli che per la nostra storia hanno un carattere non solo religioso ma d'identità ideale e culturale per tutta la comunità nazionale.

Per questo auspichiamo che ogni interpretazione dei diritti di libertà sia più attenta e rispettosa delle storie e delle sensibilità nazionali."

mercoledì 4 novembre 2009

Importante iniziativa sul tema che purtroppo è sempre di stretta attualità

MILANO DICE NO

mobilitazione generale contro le mafie


13,14,15 novembre 2009

incontri ed eventi per la legalità a cura dei consiglieri comunali del comitato antimafia di Milano

PROGRAMMA:

Lunedì 9 novembre

Presenza dei consiglieri comunali

all'iniziativa promossa dalla

Carovana Antimafia

Venerdì 13

e domenica 15 novembre

Lasciamo un segno in città

Microiniziative territoriali nei

luoghi dove va difesa la legalità

Sabato 14 novembre

FORUM MILANESE

CONTRO LE MAFIE

Società Umanitaria

Salone degli Affreschi

Via Daverio, 7 – Milano

_ore 9,00

Registrazione dei partecipanti

_ore 9,15

Presentazione dell'iniziativa e dei

suoi obiettivi

David Gentili, consigliere

comunale, a nome del Comitato

Antimafia

A seguire intervento di Manfredi

Palmeri, Presidente Consiglio

Comunale di Milano

_ore 9,45

Le mafie a Milano

e in Lombardia

Marco Alfieri, giornalista

Gianni Barbacetto, giornalista

Francesco Forgione, presidente

Commissione Parlamentare

Antimafia 2006-2008

Pierfrancesco Majorino,

consigliere comunale

_ore 10,45

Come sconfiggere le mafie

Le indagini, gli uomini,

i mezzi, le leggi contro

la mafia

Gabriele Ghezzi, SIULP

Davide Milosa, giornalista

Alberto Nobili, magistrato

Pierpaolo Romani, associazione

Avviso Pubblico

Achille Serra, senatore

_ore 11,30

Cosa può rappresentare EXPO

per la 'ndrangheta: una

valutazione tra i rischi

e le azioni di contrasto

Laura Barbaini, magistrato

Enrico Fedrighini, consigliere

comunale

Peter Gomez, giornalista

Massimiliano Migliara,

Legambiente

Basilio Rizzo, consigliere

comunale

_ore 13.00

Per una EXPO pulita

Intervento di Lucio Stanca,

Amministratore Delegato

EXPO2015 Spa

Al termine lettura del contributo

di Rita Borsellino

_ore 13,15

Lunch Break

Buffet – con "colonna sonora"

di Franco Trincale,

cantastorie milanese

_ore 14,30

Il sistema economico

e produttivo nella lotta

alle mafie. Ciò che serve -

Leggi e comportamenti

per lo sviluppo nella legalità

Marilena Adamo, senatrice

Luca Beltrami Gadola, architetto

Gian Roberto Costa, segretario

generale Unione Commercio

Claudio De Albertis, presidente

ASSIMPREDIL

Andrea Fanzago, consigliere

comunale

Giancarlo Pagliarini, consigliere

comunale

Roberto Predolin, presidente

SOGEMI

Francesco Rizzati, consigliere

comunale

ContinuaOnorio Rosati,

segretario Camera del Lavoro

Metropolitana

Coordina Angelo Perrino,

Direttore di Affaritaliani.it

_ore 16,00

Milano, Italia 2009: le mafie

Ancora una volta

un'emergenza nazionale:

contributi dai territori

per una nuova stagione

della legalità

Napoli: Diego Belliazzi

Genova: Michela Tassistro,

consigliere comunale

Buccinasco: Maurizio Carbonera,

già sindaco

A seguire interventi di:

Don Virginio Colmegna, Casa

della Carità

Angela Fioroni, Legautonomie

Jole Garuti, direttrice

associazione S. Antiochia

Omicron

Emanuele Patti, presidente Arci

Milano

Ilaria Ramoni, referente Libera

Milano

Benedetta Tobagi, consigliera

provinciale

Al termine interventi di:

Claudio Fava, politico

e giornalista

e video-intervista

a Nando Dalla Chiesa,

Presidente Onorario di Libera

Partecipano inoltre:

Raffaele Grassi, Giuseppe

Landonio, Vladimiro Merlin, Milly

Moratti, Patrizia Quartieri,

Francesca Zajczyk

_ore 21,00

Teatro Litta, Sala La Cavallerizza

C.so Magenta, 24 – Milano

Serata di parole, musica e

testimonianze antimafia

"A cento passi dal Duomo"

Spettacolo teatrale

di Giulio Cavalli

Partecipa Giuseppe Genna,

scrittore

Serata promossa con "11 metri"

Segreteria organizzativa

e promotrice:

Gruppo Consiliare del Partito

Democratico - Comune di Milano

Tel: 02 884-54800/54742/50304

Il PD aderisce alla fiaccolata

 


FATE LUCE SUL CASO DI STEFANO CUCCHI
 
manifestazione-fiaccolata
mercoledì 4 novembre ore 21
da piazza San Babila a Corso Monforte - Milano
 
Cari democratici e care democratiche,
 
mercoledì 4 novembre, alle ore 21, in piazza San Babila a Milano,
è stata indetta una fiaccolata che si concluderà in Corso Monforte 31, di fronte alla Prefettura,
per chiedere che sia fatta chiarezza sulla morte, ancora senza cause, di Stefano Cucchi, il 31enne
deceduto lo scorso 22 ottobre a Roma mentre si trovava in stato di fermo.
 
Alla manifestazione, promossa dalle associazioni dei Radicali di Milano ENZO TORTORA, Senza Fissa Dimora e MiLeft, aderirà anche il PARTITO DEMOCRATICO dell'area metropolitana di Milano. Pertanto chiedo a tutti gli iscritti, simpatizzanti, militanti, coordinatori di circolo, consiglieri comunali e provinciali del PD di aderire e diffondere la manifestazione.
 
Certo di un'ampia partecipazione, Vi ringrazio e saluto cordialmente
 
EZIO CASATI
segretario metropolitano PD Milano