venerdì 28 gennaio 2011

Raccolta firme - Berlusconi dimettiti

Cara Democratica, Caro Democratico,

siamo impegnati a tutti i livelli a porre fine ad una situazione ormai insostenibile e vergognosa che da mesi ci consegna un governo drammaticamente sordo e lontano dai veri problemi del paese e delle persone.
La distanza tra le Istituzioni e la società non è mai stata così profonda, i guasti del populismo della destra mai così evidenti anche nei loro risvolti sociali e culturali.

Come sai è stata promossa una grande Petizione popolare per le dimissioni immediate del Presidente del Consiglio primo responsabile di questa difficilissima situazione. Sul sito del Partito Democratico Lombardo (www.pdlombardia.it) trovi il modulo
per raccogliere le firme.

Puoi organizzare una raccolta di firme direttamente anche tu. Tra i tuoi vicini di casa, i tuoi colleghi di lavoro, i tuoi famigliari o fare riferimento al tuo Circolo per aiutare l'organizzazione di banchetti e gazebo nelle piazze di ogni realtà della nostra regione.

Tutti i moduli dovranno poi essere consegnati ai Circoli locali o alle Federazioni provinciali.

Ora c'è davvero bisogno di tutti i Democratici in campo per un'alternativa forte allo sfascio prodotto da questa maggioranza.

Mettiamocela tutta perchè l'Italia merita di meglio.

Grazie e buon lavoro.

Maurizio Martina

Segretario regionale PD Lombardo

martedì 25 gennaio 2011

firme dimissioni Berlusconi

Cara democratica, caro democratico,
Il Partito Democratico nazionale ha indetto una grande campagna per la
raccolta di 10 milioni di firme per chiedere al premier Silvio
Berlusconi di lasciare l'incarico. I fatti di cronaca giudiziaria che
lo riguardano gettano discredito sull'Italia e rischiano di far
precipitare il Paese in un declino morale e civile senza precedenti.
Il Partito Democratico milanese aderisce alla raccolta delle firme per
"mandare a casa" Silvio Berlusconi. Riteniamo che la nostra civile
mobilitazione possa incontrare il favore della maggioranza degli
italiani, stanchi di vedere maltrattato il nome dell'Italia proprio da
chi dovrebbe promuoverlo e proteggerlo in prima persona. Siamo anche
pronti ad affrontare le urne per certificare la fine di questa
disastrosa esperienza di governo. Ecco perché da subito occorre
predisporre moltissimi gazebo per le strade e le piazze della città e
nei comuni della Provincia.
Chi non avesse già provveduto a stampare i moduli (che sul web si
trovano all'indirizzo:
http://beta.partitodemocratico.it/Allegati/petizione-dimissioni-berlusconi.pdf ) potrà ritirarli venerdì 28 gennaio dalle 10 alle 18, nella sede del Pd provinciale di via Pergolesi 8 a Milano. I moduli, insieme con i volantini del Partito Democratico, saranno distribuiti esclusivamente ad un incaricato per ogni circolo di Milano e Provincia e non a singoli iscritti.
Sabato 29 e domenica 30 gennaio ogni circolo potrà organizzare uno o
più gazebo per raccogliere le firme, che dovranno poi essere
riconsegnate nella sede provinciale.
Il nostro partito è l'organizzazione politica meglio radicata sul
territorio. I cittadini vedono nella nostra presenza un argine
democratico di persone oneste e affidabili. L'invito è quindi alla
massima partecipazione per favorire celermente la fine della tragedia
berlusconiana e l'inizio di un futuro migliore.

i migliori saluti
Roberto Cornelli, segretario metropolitano Pd

lunedì 24 gennaio 2011

Non possiamo tacere

Quanto sta vivendo il nostro Paese in queste ultime settimane non ci può
lasciare indifferenti.
Ecco il motivo di una lettera aperta firmata da un gruppo di laici cattolici impegnati in politica.
Il documento, ovviamente, non intende essere esaustivo, ma propone riflessioni necessarie, è aperto a nuove adesioni e può essere utilmente diffuso.


Dopo aver sentito e letto i numerosi interventi di questi giorni sulle vicende giudiziarie del Presidente del Consiglio, non sentiamo il bisogno di intervenire sul merito delle questioni che occupano da troppi giorni le prime pagine dei giornali. Come politici che tentano di offrire la loro testimonianza cristiana nel servizio alle istituzioni e a questo nostro Paese, ci sentiamo piuttosto in dovere di manifestare la nostra preoccupazione per la deriva che sta interessando in modo sempre più evidente la vita pubblica italiana. Un'intera generazione politica, e non facciamo differenze di schieramento, rischia di venire precipitata in un formalismo che accompagna alla proclamazione di valori e tradizioni che spesso vengono qualificati con l'impegnativo aggettivo di cristiani, una serie di comportamenti pratici che sconfinano nella categoria dell'a-moralità e pretendono di non diventare oggetto di giudizio in nome dell'assoluta intangibilità della sfera privata e della libertà, altrettanto assoluta, di scelta dell'individuo. Per chi fa politica la dimensione pubblica non è un accidente o un qualcosa di totalmente separato dalla propria esperienza di vita (anche privata), tanto quanto per chi si definisce credente la testimonianza quotidiana non può essere separata dalle proprie abitudini di vita, anche privatissime. Non si tratta di ergersi a giudici di nessuno; per questo esiste la magistratura nella città terrena e il buon Dio in quella celeste. Il punto è un altro: il patrimonio morale e culturale di un popolo o di una nazione non sono indipendenti dal comportamento e dalle abitudini di chi in essi riveste ruoli di responsabilità, a qualsiasi livello. Il Vangelo non è tenero con chi si definisce cristiano e rischia di recare scandalo, ovvero di offrire una testimonianza dissonante e contraria rispetto a quanto proclama o afferma di credere: meglio che si leghi una macina al collo e si getti nel mare. La rilevanza penale di un comportamento è fondamentale per il giudizio terreno di chi è investito del compito di vigilare sul rispetto delle leggi, ma le conseguenze morali e culturali di ogni nostro comportamento vanno oltre il codice penale e toccano elementi più profondi e radicali quali l'ethos collettivo e la possibilità di indicare criteri per vivere una vita buona. La grave preoccupazione per l'emergenza educativa che ha spinto i vescovi italiani a dedicare un intero decennio della comunità cristiana proprio al tema della trasmissione dei valori, suona purtroppo come profetica: quali modelli offriamo ai giovani? Quali prospettive educative si aprono di fronte ai più piccoli? Che cittadini stiamo formando? Sono domande che, se guardiamo a quello che sta accadendo in questi mesi, rischiano di condurci attraverso riflessioni colme di smarrimento se non di angoscia. La politica farà le sue scelte e adotterà le sue strategie che condurranno probabilmente a un duro scontro tra chi difende le ragioni del Presidente del Consiglio e chi ritiene che i suoi comportamenti siano lesivi della dignità dell'intero Paese. Questo non toglie però nulla alla necessità di una profonda riflessione sulle conseguenze che abitudini e comportamenti che si trascinano da tempo e di cui i protagonisti si sono a più riprese vantati, rischiano di far precipitare sull'intera società italiana. Anche dalle gerarchie ecclesiastiche si sono opportunamente levate, negli ultimi giorni e non solo, voci preoccupate al proposito. Nessuno ha titolo per considerarsi paladino esclusivo del cristianesimo in politica e nessuno può arrogarsi il diritto di invocare i valori cristiani, e tanto meno il Vangelo, per difendere le proprie scelte politiche che rimangono, è bene ricordarlo, nel campo dell'opinabile e del provvisorio. Ci piace richiamare, per concludere, un passaggio della Lettera a Diogneto, uno scritto del padri apostolici: i cristiani "dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. (…) Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano" (V,9-11.13). Anche oggi c'è bisogno di cristiani così e di politici che, dicendosi cristiani, abbiano l'umiltà di servire e rifuggano l'arroganza del potere.


Giuseppe Adamoli, Alessandro Alfieri, Emanuela Baio, Mario Barboni, Giovanni Bianchi, Luigi Bobba, Carlo Borghetti, Daniele Bosone, Gianluca Bracchi, Virginio Brivio, Giovanni Burtone, Ezio Casati, Mario Cavallaro, Paolo Corsini, Silvia Costa, Paolo Cova, Paolo Danuvola, Lino Duilio, Andrea Fanzago, Enrico Farinone, Luca Gaffuri, Francesco Garofani, Gianantonio Girelli, Marco Granelli, Lorenzo Guerini, Daniela Mazzuconi, Alessia Mosca, Giovanni Orsenigo, Beppe Pagani, Flavio Pertoldi, Fabio Pizzul, Gigi Ponti, Francesco Prina, Marco Riboldi, Matteo Richetti, Ettore Rosato, Antonio Rusconi, Giovanni Sanga, Fabrizio Santantonio, Carlo Spreafico, Gianluca Susta, Patrizia Toia


Milano, 23 gennaio 2011

mercoledì 19 gennaio 2011

Donne PD: appello per rispetto della dignità delle donne

Presidente, liberi l'Italia da questo imbarazzo

Le donne della segreteria del PD lanciano una mobilitazione nazionale, per chiedere il rispetto della dignità delle donne.

Le ultime vicende interessano il Presidente del Consiglio sono l'ennesima dimostrazione della totale mancanza di rispetto per le donne in Italia.
Le donne della segreteria del PD lanciano, a partire da oggi, una mobilitazione, con una raccolta di firme in
tutto il paese, per chiedere il rispetto della dignità delle donne, calpestata, ancora una volta, da Berlusconi.
È in gioco la dignità del Paese e di tutte le donne.

Ecco il testo della lettera aperta che le donne della Segreteria del Pd hanno scritto al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Presidente,
ora basta. Si dimetta adesso. Liberi l'Italia dall'imbarazzo.
Lo spettacolo indecoroso che sta offrendo al mondo intero non è degno di un Paese civile.
Ciò a cui stiamo assistendo supera ogni limite, in un decadimento dei costumi e della morale pubblica, a cui pure ci aveva tristemente abituato, che oggi precipita all'estremo della prostituzione minorile.
E' intollerabile che i suoi comportamenti la espongano all'accusa di essere il diretto protagonista ed impresario del set degradante che ci ha già propinato in decenni di trash televisivo.

Ed altrettanto intollerabile è che proprio lei, che a parole sbandiera il primato del merito e della famiglia, nei fatti cerchi solo un patetico acquisto di favori sessuali, riducendo le donne a merce e oggetto di scambio.

Le donne di questo Paese sono altro: sono talento, lavoro, impegno, fatica, bellezza, cuore, passione, dignità e serietà.
In nome della nostra dignità e serietà, esigiamo rispetto.

Ora basta. Si dimetta. Liberi l'Italia da questo imbarazzo.


Roberta Agostini, Stella Bianchi, Cecilia Carmassi, Annamaria Parente, Francesca Puglisi

lunedì 10 gennaio 2011

Bersani: lanciamo la sfida per la riscossa italiana

E’ ovvio che l’ultimo decennio poggia su problemi antichi e precedenti a Berlusconi. E’ altrettanto ovvio che nell’ultimo decennio i problemi non hanno avuto rimedio ma si sono disastrosamente aggravati

La Lettera a "Il Messaggero"

di Pier Luigi Bersani, pubblicato il 7 gennaio 2011
Davanti all’Italia c’è una prospettiva più fragile, più difficile e incerta rispetto a quella di paesi con i quali siamo stati fin qui in compagnia. Da anni ormai ci stiamo allontanando dalle aree più forti d’Europa e stiamo convergendo su quelle più deboli. Senza una forte correzione, il nuovo decennio aggraverà sensibilmente questo arretramento.

Anche altri Paesi sviluppati hanno vissuto il trauma della globalizzazione e della crisi finanziaria ed hanno conosciuto la difficoltà di trovare strumenti efficaci per rispondere. Ovunque, davanti ad una novità secolare, le democrazie occidentali hanno misurato le debolezze di meccanismi di consenso che accorciano gli orizzonti al quotidiano. Ovunque, nei paesi sviluppati, la democrazia è dubbiosa della sua stessa efficacia, della sua capacità di affrontare le esigenze di cambiamento. Ovunque i cicli politici perdono di prospettiva. In Europa, in particolare, è sembrato che la globalizzazione non consentisse più un patto sociale costoso e inclusivo. Le forze progressiste hanno per questo pagato un prezzo elettorale. Si sono evidenziati fenomeni di spaesamento, di incertezza, di ripiegamento e sono emerse correnti di opinione difensive o apertamente regressive.

In nessun caso, tuttavia, queste tendenze hanno preso il comando nei grandi Paesi europei. Quasi ovunque le destre hanno vinto dando voce ai problemi e ai timori, senza peraltro dimostrare fin qui di saper aprire la strada a soluzioni vere; e tuttavia in quegli stessi Paesi le correnti populiste e regressive sono state contenute dalle radici saldamente costituzionali delle forze conservatrici, da una statualità più credibile e riconosciuta, da una politica non screditata.

In Italia, in forme peculiari e per certi versi anticipatrici, il campo del Governo è stato occupato nell’ultimo decennio da una salda complementarietà di berlusconismo e leghismo, nati entrambi in una fase di forte discredito della politica e di cronica debolezza delle Istituzioni. Berlusconismo e leghismo hanno, ciascuno per la sua parte, suscitato una “aggressività dei moderati” che ha fatto da traino ad una cultura di delegittimazione dello Stato, di individualismo, di complicità fiscale, di corporativismo sociale e territoriale, di xenofobia. Si è annunciata la libertà in forme tali che ognuno, individuo o gruppo sociale o territorio, potesse interpretarla a modo suo. L’esperienza di governo e il potenziale di comunicazione, sono stati utilizzati per accrescere questa presa di opinione, fino a costruire una solida ideologia capace di resistere ai fatti. Si è così alimentato un consenso per adesione in virtù del quale governare significherebbe interpretare e rappresentare piuttosto che risolvere. I problemi vengono scagliati di volta in volta contro un nemico o vengono semplicemente occultati dalla retorica e dal controllo della comunicazione. La fatica e i rischi delle riforme vengono aggirati dalla personalizzazione; una personalizzazione che, quando è necessario, risolve allestendo miracoli e che, se non risolve, denuncia ad alta voce limitazioni, ostacoli e barriere, costituzionali o meno che siano.

Il meccanismo è dunque tale da produrre decisioni minime ma a forte carica simbolica e da drammatizzare tutto ciò che riguardi direttamente il Capo. Gli interventi strutturali sono assolutamente sporadici e consentiti solo se capaci di colpire e scompaginare gli universi sociali e politici dell’altro campo.

Una simile descrizione della nostra ultradecennale vicenda politica potrebbe apparire unilaterale e faziosa se non fosse confermata da un onesto bilancio dei fatti. Dieci anni consentono ormai una misura degli effetti reali della curvatura personalistica e populista della nostra democrazia. Veniamo dunque ai fatti, facendoci forza nel selezionare fra la miriade di dati convergenti e univoci, quelli essenziali e riassuntivi. Nel 2000 la quota di popolazione italiana relativamente povera, che viveva cioè con un reddito procapite al di sotto del 75% della media dei Paesi UE, era pari al 22%. Mantenendo il confronto con gli stessi Paesi oggi è al 30%. Nello stesso periodo la percentuale degli italiani relativamente ricchi, cioè con redditi al di sopra del 125% della media UE precipita dal 57 al 25%. Non c’è paragone possibile con nessun altro Paese europeo. Con una velocità impressionante il Sud si allontana dal Nord e il Nord si allontana dall’Europa. Nella percentuale di crescita cumulata nel decennio, siamo negli ultimissimi posti al mondo. Quanto alle attività produttive, facendo pari a 100 la produzione industriale del 2005 oggi siamo all’86 a fronte di una Germania al 98,3 e ad una media dell’area Euro al 95,4. Cumulando i dati sulla disoccupazione, sugli ammortizzatori e sullo scoraggiamento nella ricerca di lavoro si ha un quadro impressionante. Siamo al fondo delle classifiche dei Paesi OCSE per disoccupazione giovanile. Per quella femminile contendiamo in Europa l’ultimo posto a Malta. Il 50% delle ricchezze si è concentrato sul 10% della popolazione senza rapporto alcuno con la fiscalità. Avviciniamo Norvegia e Danimarca nella pressione fiscale mentre perdiamo 10 miliardi di Euro rispetto al 2007 di incassi IVA pur con un aumento dei consumi in termini nominali. Passiamo in tre anni dal 104% di debito pubblico al 118% senza aver dovuto salvare nessuna banca. Sul fronte sociale scelgo una sola classifica: quella che certifica il nostro primato nell’abbandono scolastico. Quanto al futuro, non c’è previsione che non indichi per noi uno scenario di sostanziale stagnazione con una crescita potenziale inferiore alla metà di quella dei principali Paesi europei.

Non servono cifre ulteriori. E’ ovvio che l’ultimo decennio poggia su problemi antichi e precedenti a Berlusconi. E’ altrettanto ovvio che nell’ultimo decennio i problemi non hanno avuto rimedio ma si sono disastrosamente aggravati. So bene che nella realtà italiana ci sono anche le luci e non solo le ombre, ci sono le energie e le risorse e non solo i problemi. Abbiamo una straordinaria capacità di reagire alle sfide: il ciclo di riforme legate all’euro né è stata nel passato una prova. In Italia c’è una straordinaria cultura del lavoro, c’è una incredibile vitalità di gran parte delle imprese; ci sono risorse di inventiva, di innovazione e di conoscenza comunque invidiabili; c’è una ricchezza maldistribuita e comunque mobilitabile per gli investimenti; c’è un patrimonio di culture e di tradizioni da orientare alla crescita; c’è un bacino di solidarietà e di civismo capaci di prove eccezionali. La cifra italiana, infine, è ancora grandemente attrattiva nel mondo. Tutto questo c’è. Ma adesso la questione è un’altra. Se non ci convinciamo a guardare in faccia i problemi, non ne usciremo bene. La sostanza è questa. Restiamo fra i più ricchi Paesi del mondo, ma perdiamo rapidamente posizioni. Mantenere il nostro ruolo nella divisione internazionale del lavoro, dare una prospettiva di occupazione e di reddito alle nuove generazioni, preservare a standard accettabili un sistema di welfare, rappresentano ormai sfide tali da descrivere una vera e propria emergenza. Per di più, essere il grande Paese che in Europa cresce di meno e che ha il debito più alto ci espone inevitabilmente a pericolose ondate speculative. E’ realistico prevedere che nei prossimi anni il debito e il suo costo ci metteranno di fronte ad una serissima difficoltà.

Torniamo adesso alla politica. Venendo ad oggi, le recenti vicende politiche e parlamentari mostrano il dissolvimento delle ultime risorse di governabilità che la destra poteva garantire. Eccoci dunque al punto. Chi riconosce l’emergenza, chi ne è davvero consapevole deve prendersi le sue responsabilità e suscitare una riscossa che mobiliti le energie e le risorse economiche, morali e civili di cui il Paese dispone. Per parte nostra, adempiamo a questo compito rivolgendoci innanzitutto alle forze dell’opposizione di centrosinistra e di centro. Riconosciamo le loro diversità, perfino nelle prospettive politiche. Ma se queste diversità prevalessero, potrebbe venirne per il Paese un altro decennio di deriva populista e di ulteriore scivolamento. Chi si oppone a Berlusconi sa che oggi bisogna guardare oltre Berlusconi. Questo guardare oltre contiene in modo ineludibile degli aspetti costituenti.

Troppe sono state le deformazioni, le distorsioni; troppo prepotenti (e impotenti) le scorciatoie personalistiche; troppo lungo il sonno delle riforme. Qui non si parla semplicemente di una alternanza in un sistema che funziona. Qui si parla di una riorganizzazione della democrazia parlamentare. Qui non si parla di un semplice programma economico. Qui si parla di un nuovo patto fondamentale in campo economico e sociale su terreni fondativi come quelli della fiscalità e delle relazioni sociali. E’ questa la ragione profonda di un appello che vuole coinvolgere forze progressiste e moderate. Nessuno dovrebbe prendersi la responsabilità di negare il suo contributo ad una transizione costituente in nome di prospettive più limitate, personali o di partito. Ci sono forse altre strade? Davvero si può pensare di condizionare Berlusconi e la Lega? Davvero si può immaginare un appuntamento politico o elettorale che non proponga un bivio dirimente su fondamentali temi costituzionali? E non ci sarebbero forse poca logica e troppo rischio nel restringere o dividere in partenza il campo di forze che oggi si oppone alla destra? Discutiamo dunque di una piattaforma essenziale. Discutiamo di una riforma repubblicana che parli di Istituzioni, di federalismo, di legge elettorale, di informazione, di conflitti di interesse, di giustizia per i cittadini, di costi della politica, di legalità e che sia saldamente ancorata ai principi costituzionali. Discutiamo di questione sociale e di un grande patto per la stabilità e la crescita fatto di vere riforme: fisco, lavoro e precarietà, conoscenza, welfare, politica industriale, economia verde, liberalizzazioni, questione meridionale. Tutto questo impegnando l’Italia nel rilancio del grande sogno europeo. E’ su una simile piattaforma che il PD sta lavorando, ed è questa la proposta che avanzerà nelle prossime settimane. A chi ci obietta che la nostra proposta politica è difficile e forse utopica nelle condizioni date, noi rispondiamo semplicemente che la politica non si fa con il calcolo delle probabilità; la politica deve avere una idea di che cosa sia meglio per il Paese e sostenerla. In ogni caso quindi, a prescindere dalle risposte che avremo, e dagli esiti che proporrà la contingenza politica, questa sarà la nostra ispirazione: una ispirazione aperta e inclusiva, perché consapevole della profondità della crisi italiana. Ed è proprio questa consapevolezza che ci porta a sollecitare il contributo autonomo, attivo e responsabile dei protagonisti sociali, della cultura, dell’informazione libera e di ogni autorità civica e morale. A tutti ci rivolgeremo con le nostre proposte. L’Italia non può più accettare di essere narcotizzata dal chiacchiericcio politicista e da un divario fra politica e società che accumula sfiducia e passività. Dobbiamo cambiare l’agenda. Dobbiamo parlare finalmente dell’Italia e degli Italiani. Dobbiamo progettare un cambiamento. Dobbiamo organizzare uno sforzo collettivo in cui chi ha di più dà di più. La nuova generazione ha bisogno di un orizzonte. Nessuno venga meno a questa responsabilità, all’impegno per una riscossa italiana.