giovedì 17 marzo 2011

150° UNITA' D'ITALIA

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150° Unità d'Italia - 17 marzo 2011

Qualcosa è successo
.

Intorno a Giorgio Napolitano, alla Costituzione e al Tricolore, ritornato patrimonio di moltissimi, si è in questi giorni consolidata un'idea comune di passato, di presente e di futuro, che ha principi chiari, scritti nella carta e condivisi dalla stragrande maggioranza. Se qualcuno cercava una risposta alla domanda sull'identità italiana, l'ha trovata in queste ore; forse quella pacificazione di cui si riempivano la bocca i fascisti che avrebbero preteso da noi che si riscrivesse la storia della resistenza e del fascismo, è proprio qui. E' la riappropriazione condivisa di un principio fondativo, per il quale non c'è bisogno di riscrivere proprio nulla. Risorgimento Resistenza Repubblica, è tutto già scritto. La nostra costituzione, con i suoi principi incrollabili di eguaglianza, di democrazia parlamentare, di equilibrio tra i poteri è la vera identità italiana; essa riassume il coraggio e la forza di chi concepì e praticò le battaglie risorgimentali, di chi risollevò e difese la Patria dal fascismo e dal Nazismo, e di chi oggi la difende dagli attacchi quotidiani di chi pensa solo a se stesso. La destra di Berlusconi livido in Parlamento ieri, di Tremonti che non canta e chiacchera con Bossi durante l'inno, e della Lega che si astiene dalle celebrazioni, si è dimostrata ieri lontana dal paese e dai suoi sentimenti profondi.

Il paese è più avanti. Rimaniamo con lui.

C'è speranza, ci vuole coraggio.

venerdì 4 marzo 2011

comunicazione su sito e newsletter PD

Per incentivare la massima partecipazione di tutti voi alla redazione
di articoli da pubblicare sul sito e sulla Newsletter del PD
metropolitano (inviata ogni settimana, tra martedì e mercoledì, a
tutti gli iscritti e simpatizzanti) vi chiediamo di farci pervenire
notizie, articoli, segnalazioni, iniziative da pubblicare con le
seguenti modalità:
- la persona con cui concordare i pezzi e a cui inviarli è Doris
Zaccaria doris.zaccaria@gmail.com;
- la scadenza di consegna dei pezzi per la Newsletter è il lunedì
nella mattinata;
- i pezzi da inserire sia nel sito che nella newsletter dovranno avere
una lunghezza massima di 2.000 battute (spazi inclusi); sarà poi cura
della redazione editare gli articoli per la pubblicazione.
Salvo particolari imprevisti, urgenze o priorità dettate dalle vicende
della quotidiana vita politica, i pezzi saranno inseriti nel più breve
tempo possibile sul nostro sito e nella newsletter.
Siamo certe che così potremo dare conto nel modo migliore di tutte le
attività del nostro PD, valorizzando e arricchendo i nostri strumenti
di comunicazione.

giovedì 3 marzo 2011

Il discorso di Piero Calamandrei sulla scuola Pubblica tenuto nel 1950 ed ancora attualissimo.

Roma, 11 febbraio 1950 - Discorso

pronunciato da Piero Calamandrei al III

Congresso dell'Associazione a difesa della

scuola nazionale

Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole,

dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno

che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse

la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il

pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito

in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un

po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di

più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica

fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che

abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica?

Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma

lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola

che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti

dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere

strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].

La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua

posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che

formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra

Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola

"l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali

si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica

si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in

leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi

costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la

Camera dei Deputati, il Senato, il Presidente della Repubblica, la

Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi

anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come

noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo

costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola

corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione

di creare il sangue [...].

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere

quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la

formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non

solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in

Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi

più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e

tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che

insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema

della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere

una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un

ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve

essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi

migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria

deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori,

perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per

quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire

a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della

società [...].

A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno

di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo

soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio

universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso

politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a

creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.

Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della

Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in

cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se

privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi".

Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna

rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium

rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della

scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la

rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è

la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica,

domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi

principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve

costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare

la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica

è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona

bisogna che quella dello Stato sia ottima. Vedete, noi dobbiamo

prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della

Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali

sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi".

Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di

tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica

nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione

di realizzazione [...].

Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto

lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono

frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole,

tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole

pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo

Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve

quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art.

33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una

scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non

crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un

altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità

sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,

di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e

sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e

alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti

stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola

di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le

libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].

Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora

soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la

scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private,

iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di

filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a

stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della

famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione,

nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa

opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro

figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di

scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle

preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci

ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di

coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà,

che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve

impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre

parole, non è creata per questo.

La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di

una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le

scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo,

occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale,

imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno

di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di

serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi,

che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della

scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le

private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole

private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che

eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole

pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia

permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque

deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve

sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a

far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia,

perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine

della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a

istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è

quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato,

ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non

se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le

scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma

lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma

per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare

a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il

totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che

vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi,

così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il

quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole

violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula

in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una

larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per

trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole

di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in

quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito

dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).

Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad

impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole

private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel

partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole

private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i

ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di

quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone

di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro

figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle"

scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio.

Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante,

non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di

partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue

scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna

discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di

questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già

detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora.

Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la

sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà.

Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per

insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole

private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro

pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa

di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più

pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di

tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi

partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola

religione, di una sola setta, di un solo partito [...].

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante

la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa

disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di

educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque

da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il

destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione

che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta

di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i

clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge

per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta

così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.

Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti

Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le

spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche

lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre

vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E

questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua

tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche.

Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a

questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata,

per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol

mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha

un sussidio, un assegno [...].

Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la

Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se

vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il

figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.

Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un

discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici

pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro

controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa

centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un

cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo

Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...].

Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato,

una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e

quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi

manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e

neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile,

ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].

Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della

Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel

fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve

assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle

scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto,

prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i

diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare

che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di

dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può

significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i

programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna

insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che

è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca

non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che

lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna

peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].

Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di

moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi,

stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle

cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare,

in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella

riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole

trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il

resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la

scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola

privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola

totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.

E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del

disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più

che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i

giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia

scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione,

l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare

lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di

coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che

tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi,

raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione

che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria

della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri

affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la

scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti

in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini

come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti,

gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini

che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti,

ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè

profittatori del regime.

E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non

bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente

che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei

ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole

e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la

Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci

sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere

al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la

galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel

cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle

torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi

ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non

disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici,

continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della

coscienza morale.