mercoledì 28 maggio 2008

BADANTI FUORILEGGE? Si corre ai ripari



Vanno salvate dal nuovo reato di immigrazione clandestina. Una regolarizzazione "postuma". Con qualche perplessità giuridica

Guai a parlare di sanatoria
. Una parola che per il neo-ministro degli Interni, Bobo Maroni, non può essere pronunciata. Almeno non se si parla di immigrazione. D'altronde è un esponente di spicco di un esecutivo che ha fatto le sue fortune elettorali anche con l'allarme sicurezza e la "guerra ai clandestini". Meglio lasciare questo termine ad altri ambiti, dunque, e usare la più tranquillizzante formula "regolarizzazione".

Ma al di là dei balletti lessicali, tutti, nel governo e nell'opinione pubblica, si sono resi conto che nel pacchetto sicurezza dei distinguo erano necessari. L'offensiva sull'immigrazione clandestina rischiava di respingere anche l'esercito delle badanti - più di 400 mila - che non sono riuscite a "entrare" con l'ultimo decreto flussi a dicembre 2007. Virgolette d'obbligo perché queste persone in Italia ci sono già, e lavorano nelle nostre case con i nostri anziani. Ma non sono "regolari" e dunque, secondo le norme annunciate dal Consiglio dei ministri, passibili di arresto da 6 mesi a 4 anni per il nuovo reato di "immigrazione clandestina". E' evidente che occorre un correttivo per tutelare il loro lavoro, la loro vita e la loro indispensabile funzione sociale.

Una seconda chance

Questo correttivo è annunciato dalle "linee guida per una programmazione in deroga dei flussi migratori per gli anni 2007/2008 alla luce delle 730 mila domande presentate agli Sportelli unici per l'immigrazione". Si tratta di un documento presentato dal ministro del Welfare Sacconi e apre una breccia nel muro di tolleranza zero annunciato dal governo. Prevede infatti una selezione tra le domande presentate ma non accolte lo scorso 18 dicembre, il famigerato click day per colf e badanti, ovvero il giorno in cui, dalle 8 di mattina, si potevano inviare on line le domande di assunzione dei lavoratori stranieri. Inutile dire che vinceva "il dito più veloce": alle 10 dello stesso giorno, infatti, le domande arrivate al server del ministero erano 136 mila, ma la quota disponibile era solo di 65 mila unità.

Alla fine si è giunti a 405 mila domande in esubero. Secondo il ministro si tratta però di distinguere quelle "legittime", riferite cioè a persone che lavorano effettivamente come badanti o collaboratrici domestiche, da quelle definite "patologiche", che nasconderebbero dei tentativi di regolarizzazione non motivati. Il ministero ricorda che il 48% delle domande sono state presentate da datori di lavoro con cittadinanza straniera.

Un reato "pericoloso"

Questa deroga dovrà trasformarsi in un emendamento al disegno di legge che andrà ora in discussione in parlamento. Un intervento pragmatico che cerca di dare riconoscimento a una situazione di fatto, degna di essere salvaguardata. Ma lascia aperte diverse perplessità giuridiche: se si crea un reato nuovo - quello di immigrazione clandestina - che punisce il solo fatto di entare in Italia senza un regolare permesso, indipendentemente dal comportamento della persona immigrata (che venga a rapinare o a curare gli anziani), anche le badanti irregolari vi rientrano. Ammettere un'eccezione per queste persone - perché chiunque ritiene profondamente ingiusto penalizzarle (oltre che avventato per la cura dei nostri figli e nonni) - significa svuotare la fattispecie penale, cioè il reato, ancora prima che nasca. Non è meglio allora punire i singoli comportamenti illeciti (furti, rapine, violenze ecc.) con le norme presenti da sempre nel codice penale?

Angelo De Marinis

Mutui, ombre sull’accordo Abi-governo

La convezione è utile solo per chi non è in grado di pagare la rata. Altrimenti è meglio scegliere la strada della rinegoziazione o della surroga

L’intesa Abi-governo sulla riduzione della rata non piace alle associazioni dei consumatori, che ritengono sia solo uno slittamento dei pagamenti. Concesso, per giunta, a caro prezzo.

Il provvedimento voluto dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che deve essere ancora definito, prevede una riduzione dell’ammontare della rata del mutuo variabile grazie all’applicazione di un tasso d’interesse pari al quello medio del 2006. Secondo il ministero ciò si traduce in un risparmio immediato, per un prestito residuo di 120mila euro, spalmato in 20 anni, di circa 95 euro al mese.

Ma quello che non si paga oggi si pagherà domani, ovvero quello che non si versa finisce in un conto a parte su cui è calcolato un interesse pari al tasso Irs a 10 anni più uno spread dello 0,50% (attualmente si arriva al 5,22%). Dunque non è praticato alcuno sconto e il mutuatario, dopo la chiusura del mutuo, avrà l’onere di pagare un altro prestito pari in media a 10, 20 mila euro.

Non solo. Se il costo del denaro dovesse scendere, l’intera operazione andrebbe a totale beneficio degli istituti di credito che gioverebbero anche del fatto di non farsi sfuggire il cliente.

La scelta migliore, per chi è in grado di pagare la rata, è di continuare a farlo, rinunciando a utilizzare l'accordo Abi-governo.
In caso di difficoltà, le associazioni dei consumatori consigliano o di negoziare con la banca un spread più basso oppure di puntare sulla surroga, cioè il trasferimento a un altro istituto, che non comporta costi.
Solo nel caso di fallimento sia del negoziato sia della surroga, l’accordo Tremonti diventa una soluzione, poiché i ricorso ai tassi medi del 2006 è un obbligo per la banca.

martedì 27 maggio 2008

GOVERNO, PRIMO STOP ALLA CAMERA - battuto su regole di caccia e pesca

Fa parte del decreto legge sugli obblighi comunitari che contiene
anche la norma "salva Rete 4", contestata dall'opposizione


ROMA - Arriva il primo stop al governo, battuto nell'aula della Camera su un proprio emendamento per due voti: 240 "no" contro 238 "sì".
Tre gli astenuti.
L'emendamento riguarda il decreto legge in materia di assolvimento di obblighi comunitari e, in particolare la tutela della fauna selvatica e della caccia.
Nello stesso decreto c'è anche la norma sulle frequenze tv, ribattezzata "salva-Rete4" e contestata dall'opposizione.

A determinare la bocciatura sono state le assenze nelle file del Pdl.
Al momento del voto non c'erano, o erano in missione, 80 deputati del Pdl, quasi un terzo del totale: circa il 32% (42 in missione e 45 assenti) e il 20% dei parlamentari della Lega (6 in missione e sei assenti).

Un fatto che Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei valori, legge così: "Il centrodestra pensa che avendo una maggioranza ampia avrà vita facile in Parlamento.
Invece, l'arroganza e la supponenza della maggioranza hanno ricompattato l'opposizione".
E infatti Pd, Idv e Udc erano al gran completo con percentuali di presenza pari rispettivamente all'82, al 93 e al 97%.

L'emendamento bocciato riguarda un intervento sulla procedura di infrazione Ue rispetto alla distruzione di nidi e uova di specie di uccelli protetti.

Intanto la seduta della Camera è ripresa.
Da questa mattina il governo è alle prese con l'ostruzionismo dell'opposizione.
Al centro delle polemiche ancora una volta c'è il conflitto di interessi sulle televisioni.
Il contestatissimo articolo aggiuntivo sulla tv digitale terrestre, soprannominato "salva Rete 4", è l'ultimo in programma nelle discussioni della giornata.

ALITALIA/ VELTRONI: GOVERNO DIA SUBITO INDICAZIONI CHIARE

Rischi molto forti per il destino della compagnia aerea

Roma, 27 mag. - "Voglio denunciare questo silenzio e chiedere immediatamente al governo di dare indicazioni chiare sul problema più drammatico della vita pubblica del paese".

Il leader del Pd Walter Veltroni, a Montecitorio, torna a parlare della vicenda Alitalia attaccando il governo che a suo avviso non se ne sta occupando.

"Passano i giorni ma continua a non essere né affrontato né risolto il caso Alitalia - denuncia il segretario del Pd -.

Il destino della compagnia aerea, dopo che si sono create le condizioni per l'abbandono della trattativa da parte di Air France, lascia spazio a rischi molto forti.

Non si vede all'orizzonte né la famosa cordata italiana né una soluzione alternativa.

E intanto i giorni passano e le risorse disponibili sono sempre meno".


lunedì 19 maggio 2008

IMMIGRATI: VELTRONI

NO REATO PER CLANDESTINI SI' A PACCHETTO AMATO

- Roma, 19 mag - ''Le questioni della sicurezza sono fondamentali per tutti i cittadini, per questo vanno affrontate con misure utili e non propagandistiche''.
Lo afferma il segretario del Pd Walter Veltroni che dice no all'idea di introdurre il reato di immigrazione clandestina: ''Sarebbe una misura inutile e persino dannosa, capace di intasare le carceri e di spingere anche chi viene nel nostro Paese per lavorare tra le braccia della criminalita' organizzata''.
''Il problema dell'immigrazione va affrontato invece con un forte rapporto con l'Europa - sottolinea Veltroni - le politiche della sicurezza e quelle dell'immigrazione devono essere raccordate e i controlli devono avere una dimensione continentale.
Bisogna fare una battaglia seria contro la clandestinita' e per questo e' necessario integrare e riconoscere chi nel nostro Paese lavora e ha una casa (come le centinaia di migliaia di badanti che sono necessarie alle famiglie, o i tanti lavoratori dell'edilizia che non sono stati sinora regolarizzati per responsabilita' di una legge sui flussi che non funziona)''.
''I tanti cittadini stranieri che lavorano regolarmente nel nostro paese sono una risorsa e non un pericolo - scandisce il segretario del Pd - lo dimostra anche il fatto che tra gli immigrati regolari la percentuale di chi commette reati e' del tutto analoga a quella dei cittadini italiani''.
''Mentre ribadiamo l'impegno del Pd a rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini, specie di quelli piu' deboli, diciamo un no fortissimo alle tentazioni di giustizia fai da te che in questi giorni si sono affacciate - prosegue Veltroni - la sicurezza e' un monopolio dello Stato, quindi non e' ammissibile nessun ammiccamento o anche semplicemente sottovalutazione davanti a fenomeni gravissimi come gli attacchi ai campi rom o a soluzioni sbagliate come quelle delle ronde.
Per restituire sicurezza ai cittadini e' necessario invece assicurare la effettivita' della pena e un percorso per il quale non vi deve essere soluzione di continuita', per chi commette reati di particolare gravita' sociale, tra il momento dell'arresto e quello della condanna.
Il Partito democratico e' favorevole a riprendere, integrandole coerentemente, le proposte del pacchetto Amato, cioe' una idea fondata sull'equilibrio tra sicurezza e diritti''.

venerdì 16 maggio 2008

Veltroni vede Berlusconi: dialogo su riforme ma ruoli distinti

Per il Pd priorità a salari e pensioni piuttosto che taglio Ici

Roma, 16 mag. - E' partito ufficialmente con l'incontro di oggi a palazzo Chigi il dialogo tra maggioranza e opposizione. Walter Veltroni dopo essersi trattenuto non più di mezz'ora con il presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa per raccontare ai giornalisti i contenuti del colloquio. La stella polare per il leader del Pd resta il necessario confronto sulle riforme istituzionali, perchè sul resto, sui contenuti programmatici le differenze restano e i ruoli saranno ben distinti, spiega.

Veltroni chiede al premier di far ripartire "subito" il pacchetto elaborato nella scorsa legislatura dalla commissione guidata da Luciano Violante, ed ottiene un sostanziale via libera ad avviare al più presto il lavoro su "riduzione del numero dei parlamentari, una sola Camera legiferante, e anche un iter più certo e rapido per i provvedimenti del governo in Parlamento", in più sul tavolo c'è lo Statuto dell'opposizione su cui Berlusconi ha già offerto pubblicamente la sua disponibilità ma che dovrà essere vagliato insieme alla riforma dei regolamenti parlamentari per tener conto oltre che del Pd anche delle altre due forze di opposizione: Idv e Udc. Ragione per cui Veltroni, lasciato palazzo Chigi, ha informato al telefono Pier Ferdinando Casini e il capogruppo dipietrista Massimo Donadi del primo colloquio con il Premier.

Quanto alla riforma elettorale per le europee, la posizione del Pd è lievemente diversa da quella della maggioranza, ossia "è giusta una soglia di sbarramento, come esiste in molti Paesi europei, ma ritengo sbagliato fissarla al 5% come hanno chiesto alcuni esponenti del Pdl. Al 5% avrebbe un effetto diverso...". E qui cita l'altro leader dell'opposizione, Pier Ferdinando Casini, "Ho sentito che ieri Casini ha parlato di una soglia al 3%; altri parlando del 2%... penso che dovremmo lavorare attorno a quella dimensione, che evita che la rappresentanza italiana sia frammentata e al tempo stesso non impedisce di arrivare al parlamento Ue a forze che oggi non sono nel Parlamento italiano".

L'argomento Rai invece è stato solo "sfiorato" durante il colloquio e per il segretario del Pd è stata l'occasione per ribadire al premier che il nuovo cda della tv pubblica andrebbe, a suo giudizio, nominato con nuove norme. Seppure il governo non sembra orientato ad accogliere questa richiesta. "Ho detto che sarebbe necessario fare una nuova normativa - spiega Veltroni -, questa è una di quelle materie sulle quali ci sono grandissimi problemi. Ho semplicemente auspicato che il nuovo cda sia nominato con nuove norme".

Più cauta l'apertura del segretario del Pd sui temi che saranno all'ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri: "Se ci sono risorse disponibili - spiega Veltroni a chi gli chiede se il Pd voterà il taglio dell'Ici - bisogna metterle per aiutare i salari, gli stipendi e le pensioni". L'emergenza sociale nelle fasce più deboli è secondo Veltroni la vera priorità su cui l'esecutivo dovrebbe concentrarsi ed è quello che ha chiesto al premier oggi. Così come sul caso Alitalia il leader del Pd assicura che sarà "tema di confronto e di conflitto" perchè, ricorda, "io continuo a pensare che aver fatto andar via Air France e annunciato cordate che non si sono viste sia stato un grave errore". Anche sulla sicurezza la posizione del Pd per ora è di attesa, prima di esprimere un giudizio compiuto bisognerà vedere le misure che il governo presenterà, ma il no all'introduzione del reato di immigrazione clandestina è già stato pronunciato dal ministro-ombra della Difesa, Marco Minniti.

Insomma Veltroni ha voluto render chiaro che "è normale" che ci sia una dialogo tra maggioranza e opposizione "sulle regole del gioco", come avvienein tutti i paesi europei. Non dovrebbe stupire così tanto la stampa italiana, fa notare, ma "guai a chi pensa al consociativismo" o a quella "melassa" che si è vista in passato su alcuni temi programmatici sui quali "i confini tra gli schieramenti diventavano imprescrutabili".

Il governo ombra


I Ministri del Governo Ombra del Partito Democratico

Affari Esteri e Italiani nel mondo

Piero Fassino

Interno

Marco Minniti

Giustizia

Lanfranco Tenaglia

Economia e Finanze

Pierluigi Bersani

Istruzione Università e Ricerca

Maria Pia Garavaglia

Sviluppo Economico

Matteo Colaninno

Lavoro Salute e Politiche sociali

Enrico Letta

Difesa

Roberta Pinotti

Politiche Agricole e Forestali

Alfonso Andria

Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare

Ermete Realacci

Infrastrutture e Trasporti

Andrea Martella

Beni e Attività Culturali

Vincenzo Cerami

Comunicazione

Giovanna Melandri

Riforme per il Federalismo

Sergio Chiamparino

Rapporti con le Regioni

Mariangela Bastico

Pubblica amministrazione e Innovazione

Linda Lanzillotta

Pari opportunità

Vittoria Franco

Semplificazione Normativa

Beatrice Magnolfi

Politiche Comunitarie

Maria Paola Merloni

Attuazione del Programma

Michele Ventura

Politiche per i Giovani

Pina Picierno




Il Segretario del Partito Democratico Walter Veltroni presiede il Governo ombra.

Ne fanno altresì parte il Vicesegretario Dario Franceschini e i Capigruppo di Camera e Senato Antonello Soro e Anna Finocchiaro.

Enrico Morando e Riccardo Franco Levi svolgeranno rispettivamente le funzioni di Coordinatore e Portavoce.

sabato 10 maggio 2008

Ora parliamo del Pd


 

Un'identità per il partito. Pensata per i figli, non per i genitori

GIOVANNI BIANCHI

Alemanno al Campidoglio è il colpo del knock out che ti manda al tappeto.

Mentre , per stare alla metafora pugilistica, le urne del 14 aprile rappresentano un pugno formidabile al bersaglio grosso.

Una situazione che comunque vede il Pd costituirsi durante una vivace campagna elettorale condotta magistralmente da Walter Veltroni e insediarsi come prima forza in alcune città del Nord.

Per capire diventa indispensabile non disperdersi in troppe analisi e scegliere un punto di vista.

E' una vecchia lezione dell'operaismo italiano che può tornar utile.

Il punto di vista che inizialmente scelgo è quello di chi constata che il berlusconismo si è prima insediato nella società civile e ha poi lucrato consenso nelle urne e ipotecato le istituzioni.

In una campagna elettorale che ha messo totalmente la sordina ai temi cosiddetti eticamente sensibili per concentrarsi sulle paure (i rom) e sugli interessi.

Con un Cavaliere che riempiva le piazze e mandava avanti sul territorio banchetti e gazebo della Lega.

Conseguendo quella che è stata correttamente definita una vittoria "strategica", frutto cioè di un accorto posizionamento sul campo.

Là dove non ha funzionato invece il raccordo tra il governo Prodi, che produceva finanziarie nel tempo breve e programmava agevolazioni nel tempo medio, e il partito di Veltroni naturalmente portato a esaltare la novità del vettore e la discontinuità dell'approccio.

E' finita in pesante sconfitta per mancanza del tempo necessario a illustrare la novità, difendere i punti forti del governo e più ancora per radicare il partito.

Tornare al territorio è diventato l'imperativo categorico.

Il modello additato è il comportamento di Bossi e dei suoi, elevato a paradigma da analisti acuti e insospettabili del calibro di Marco Revelli.

Sul punto specifico una osservazione soltanto: la lega è si "prossima" al territorio e presente tra la gente non soltanto nelle feste comandate, ma è anche partito da sempre identitario, un'identità che si sente minacciata da una globalizzazione dove la finanziarizzazione dell'economia e della vita quotidiana e il "mercatismo" messo alla berlina dall'ultimo libro di Tramonti disegnano uno scenario che chide di essere affrontato con un supplemento di politica.

Identità ritrovata della Nazione dunque, e quello stata che, pur avendo le radici nel Seicento europeo, resta sulla scena come lo strumento più disponibile a veicolare politica, soprattutto se comparato con gli altri vettori internazionali a disposizione.

Una posizione che Lindon LaRouche e signora sostengono da quindici anni.

Il secondo punto di vista (e due sono sufficienti) lo scelgo prendendo in esame il risultato elettorale, e tutto politico, dell'Udc di Pierferdinando Casini.

Credo infatti che esso riassuma, quasi uno scrigno, un nodo di osservazioni possibili.

Ovviamente non è l'entità dei numeri percentuali, discreti o modesti, a interessare, ma la qualità che a essi viene attribuita.

Se vi si legge un'evoluzione possibile o una sorta di residuo paretiano.

La mia valutazione sta dalla parte di chi pensa trattarsi di un partito residuale, sorta di resto della Dc.

Perché la Dc non torna: non si danno le condizioni interne e internazionali per una sua qualche metempsicosi.

La spinta al bipartitismo affiorata nel bipolarismo italiano sottrae spazio a quel centro cui Casini avebbe potuto realisticamente aspirare se avesse sostenuto l'ipotesi sottesa al governo non nato di Franco Marini.

Con Marini a palazzo Chigi la riforma elettorale alla tedesca sarebbe entrata nel novero delle possibilità concrete, sostenuta anche dal buon senso di chi vedeva sensato cambiare le regole (il porcellum) prima di giocare la partita.

Ma Casini, ignoro le ragioni di una incomprensibile latitanza, ha mancato quell'appuntamento strategico per il suo disegno politico.

Infine l'Udc ha letteralmente sussunto la Rosa Bianca di Savino Pezzotta, cannibalizzando la figura più verace di una parte della tradizione cattolica democratica.

E' un caso? Bisogna riconoscere a Casini, oltre a una sperimentata capacità di manovra politica, una sicura coerenza anti-degasperiana, a partire dall'origine, ossia dalla rottura, compiuta insieme a Mastella e Ombretta Carulli, con il Ppi di Martinazzoli.

Se per De Gasperi la Dc era, fin dall'intervista al Messaggero del 17 aprile 1948, "un partito di centro che cammina verso sinistra" (cammina , letteralmente, e non guarda, come vien talvolta tramandato), il centro di Casini ha sempre guardato a destra.

L'origine conta.

E la coerenza sarà pure una virtù.

Questo per dire che il pluralismo delle diverse culture lascia aperto un tema non da poco nel Pd.

Si può dare un partito senza identità? In che modo pluralismo delle origini e profilo identitario del partito possono convivere nel tempo? Quale "meticciato" è alla nostra portata? In quali luoghi disputare? Dirsi riformisti o riformatori è orizzonte sufficiente? Da quali temi una proposta riformatrice è chiamata a ripartire? Qui scava la talpa dei critici di Veltroni, non soltanto dal lato di chi ha fatto la sua scommessa epocale sul partito socialdemocratico.

Dietro le dichiarazioni rilasciate l'altro giorno al Corriere da Enrico Farinone si può leggere disagio, bisogno di rappresentanza, computo dei posti, ma si deve anche leggere un'istanza di identità, tutta da discutere, ma certamente da non rimuovere.

Personalmente vi leggo anche l'esaurimento di una costruzioni per quote intese a salvaguardare storici filoni culturali.

Qui Franco Marini fu inimitabile, ma le stagioni si chiudono e le discontinuità accadono, ancorchè non richieste o cercate.

Chiusa la stagione democristiana (non partito cattolico, ma di ispirazione cristiana) resta aperta per i credenti la questione di una politica di ispirazione cristiana.

Ridurla a revival della questione democristiana non aiuta a mio parere a risolvere il problema.

A destra la questione è stata "espulsa" da Berlusconi con l'allontanamento di Casini.

A sinistra si è dissolta nei numeri e nei flussi (dal Pd all'Udc).

La circostanza è tale da rischiare di ridurre il ruinismo politico, non poco sagace e non di rado fin qui vincente, comunque sempre in grado di ridare dignità alla parola politica altrimenti svilita nel gossip, a componente interna del centrodestra.

L'approccio veltroniano, in quello che con vezzo weberiano potremmo indicare come il politeismo delle culture politiche, è risultato avvolgente.

Sorta di sublimazione erotica della politica del "ma anche" all'insegna (dice qualcuno) del "sono come tu mi vuoi".

Radicare il partito sul territorio implica comunque il fare i conti con il tema spinoso dell'identità.

Che popolari e cattolico democratici appaiano infastiditi o addirittura allarmati dal riproporsi di una Cosa diessina con un nuovo numero significa che il tema non deve essere archiviato come retro con un'alzata di spalle.

Con un'avvertenza: che l'identità da proporre e disputare non è quella cattolico democratica, ma quella del partito nuovo, teso a una sintesi inedita e possibile, adatta ai figli del Pd piuttosto che ai suoi genitori.

L'ispirazione cristiana resta nello spazio pubblico, non da sola.

Se fossi buddista direi che una sorta di metempsicosi l'attende.

Siccome sono invece cattolico dirò che è chiamata a una nuova inculturazione.

E' un termine ricorrente nei testi del Concilio.

Chissà che non giovi a questa politica.


 

Editoriale del coordinatore provinciale del Pd di Milano apparso sul quotidiano Europa il 3 maggio 2008


 

domenica 4 maggio 2008

la mossa strategica...ecco la soluzione!!!!!

Maggio 2008: nasce il Governo Berlusconi III.
La Lega tiene il Cavaliere per il collo, per non dire altro.
Grazie al risultato elettorale ottenuto, ha un numero tale sia di senatori che di deputati da poter far cadere il governo di centro destra in ambedue le Camere.
Il PDL ha ottenuto meno della somma dei voti ottenuti da Forza Italia e Allenza Nazionale nelle elezioni del 2006, e pare certo che l'emorragia di voti l'abbia subita principalmente il partito di Fini, soprattutto al Nord dove molti suoi ex elettori gli hanno voltato le spalle per votare Lega.
I posti chiavi al Governo saranno dedicati a Forza Italia e Lega, per ovvi motivi.
E AN?
Semplice...Ecco la soluzione...
Presidenza della Camera a Fini.

L'effetto mediatico della mossa è grande: un uomo di destra (per non dire ex fascista) , delfino di Almirante, 4° carica dello Stato.
L'effetto reale della mossa per AN sarà disastroso come per Rifondazione? crediamo di sì.... Fini si ritroverà imbavagliato, lontano dai suo elettori così come successe al Fausto.
E nemmeno potrà andrà a stringere, tutto soddisfatto, la mano di Chavez.

sabato 3 maggio 2008

Elezioni 2008: sconfitta, non Caporetto

Adesso è l'ora di insistere, sulla via riformista e sulla differenza tra Partito Democratico e destra


 


 

di Vincenzo Ortolina


 

"Consummatum est"! Non credevo nel miracolo, anche perché non ho mai pensato che Dio abbia tempo e volontà per intervenire nelle vicende politico-partitiche. E tant'è.


 

Speravo vagamente in quel pareggio che molti indicavano possibile al Senato. Eppure non credevo che Berlusconi bleffasse, quando diceva di sentirsi molto tranquillo sul risultato. Le condizioni di partenza, del resto, erano tragiche, per il centrosinistra: due anni di pura demonizzazione e di presentazione caricaturale dell'attività, invero complessivamente non negativa, di Prodi e del suo governo da parte dei media del padrone di Mediaset (ahi, il conflitto di interessi! Ora sarà vietato parlarne?), litigi continui nella maggioranza, condono gestito male, la vicenda Alitalia strumentalizzata dalla destra, il rincaro pesante dei prezzi (a cominciare dalla benzina e dal gasolio, fino al gas e alla corrente elettrica, che hanno influenzato negativamente gli stessi prezzi degli alimentari), la monnezza napoletana, corredata da un'ingiustificabile resistenza di Bassolino, Iervolino e compagnia briscola, e, come se non bastasse, persino la vicenda della mozzarella di bufala. Insomma, un po' a torto (molto, secondo me) e un po' a ragione (poco, sempre secondo me), sul governo Prodi sono stati scaricati tutti i problemi italiani degli ultimi quindici anni almeno, compresa l'immigrazione.


 

A parere di non pochi dei nostri, tuttavia, alla fine – dati alla mano - non sarebbe in realtà andata male, per il PD. Ma se è sotto il 34% a livello nazionale (e in Lombardia sotto il 30), non c'è da entusiasmarsi: è più o meno il risultato di DS e Margherita riuniti sotto il vessillo dell'Ulivo nel 2006. Ma intanto la sinistra radicale è stata svuotata (anche per colpa sua, per carità!), e noi non abbiamo dunque preso i suoi voti, se non in misura assai modesta. E ci terremo probabilmente l'Unto del Signore per un altro bel po' di anni, affrontandolo con un centrosinistra complessivamente ridimensionato in modo significativo. Siamo caduti in piedi? Vero. Però abbiamo le armi spuntate e, temo, siamo più fragili di prima.


 

Intendiamoci, viva l'impronta riformista che Veltroni in particolare ha impresso al partito! Su questo, certamente, non si può tornare indietro. Anzi, bisogna insistere per riuscire a dialogare (soprattutto nel nord) con quel centro che, per l'ennesima volta, ha preferito Berlusconi. Tuttavia, tornando alla citata sinistra, io considero che sia una iattura averla fuori dal parlamento: era giusto distinguersi da essa ma non c'era bisogno di demonizzarla, come in qualche occasione abbiamo fatto. Avremmo dovuto, più semplicemente, far capire che noi ci differenziamo dalla stessa per la nostra vocazione maggioritaria e di governo, pur non disprezzando alcuni riferimenti valoriali cui essa si ispira, che sono anche nostri. Certo, col senno di poi è tutto più semplice. Ma riflettere su ciò che si è scelto di fare (senza la presunzione di non aver sbagliato niente) non può che essere utile.


 

Forse stiamo arrivando sin troppo in fretta a quel bipartitismo che piace tanto ai poteri forti. E che certo semplifica le cose, almeno in apparenza. Ma la realtà – quella italiana in particolare – è molto più complessa, e se rendere il sistema più semplice e snello è utile, oltre che necessario, io credo che la riduzione forzosa a due partiti può rivelarsi un eccesso, qualcosa di cui forse ci pentiremo. E' meglio, per esempio, avere le ali più estreme dell'arco costituzionale in parlamento, dentro un impianto di regole, o escluderle, e lasciare che facciano politica solo nelle piazze? Nessun allarmismo, per carità. Solo un dubbio, un dubbio che mi pare legittimo.


 

Perplesso sul bipartitismo, resto per il bipolarismo. Difficile, in questa fase storica, pensare a significativi terzi poli, in Italia, come confermato dall'elettorato. Per esempio, l'Unione di Centro di Casini (che aveva inglobato, se non cannibalizzato, la Rosa Bianca di Tabacci e Pezzotta) ha tenuto a stento i suoi elettori senza rubare un solo voto al Popolo della Libertà. Semmai, ne ha rubato qualcuno nell'area degli ex popolari del PD. Allora è del tutto evidente che l'idea di Casini di rilanciare un nuovo centro in grado di essere l'interlocutore politico di PDL e PD si è rivelata del tutto velleitaria (e per questo ha fallito). Certo, l'UDC può considerarsi salva: entrerà in parlamento con 3 senatori e 34 deputati, e vista l'aria che tira, c'è da esserne contenti. Ma quanto ha pesato sul risultato l'effetto Cuffaro, ovvero il compromesso in Sicilia con ambienti tutt'altro che cristallini?


 

Una riflessione a parte meriterebbe la questione dell'aggettivo cristiano e della croce dentro il simbolo di partito: simboli di una connotazione passata che sembra aver esaurito il suo storico e glorioso compito. Insomma, per dirla in modo più prosaico, simboli che hanno smesso di mietere consensi facili, diversamente da quanto talune gerarchie ecclesiastiche ancora speravano. All'amico Pezzotta, mi piacerebbe rivolgere una domanda: non sarebbe stato meglio contribuire a rafforzare il PD in questa fase? E' vero, il rischio sarebbe stato quello di non trascinare i propri elettori nel nuovo partito, vista anche la presenza dei radicali che, a conti fatti, mi pare essere stata ininfluente o quasi. Però, sempre ragionando col senno di poi, e guardando agli odierni risultati, non sarebbe valsa la pena di correrlo, quel rischio? Io credo di sì. Tutti sappiamo (e lo sa anche Pezzotta) che la presenza dei cattolici democratici è fondamentale nel PD, sia in termini valoriali sia, mi ripeto, per riuscire a parlare a quel centro che appare sordo ai nostri appelli. Penso che, per tutti i cattolici democratici, sia giunto il momento di accettare una grande sfida: quella di esserci, di crescere e di affermarsi dentro un partito di massa, nel quale obbligatoriamente dovranno convivere alcune diversità culturali. Accade in tutte le grandi democrazie. Perché non in Italia?


 

In conclusione, a parte il clamoroso caso Sicilia (con le pur brave Finocchiaro e Borsellino umiliate dal discusso e discutibile Lombardo), a me sembra che il risultato elettorale ci faccia vedere più di prima due Paesi diversi: c'è l'Italia egoista, un po' razzista, antipolitica, quella della pancia, quella che ritiene che le tasse siano semplicemente un furto da parte dello Stato, quella dell'identità cristiana un po' di facciata, quella che difende il proprio benessere e che teme gli assalti dello straniero. Ecco, per questa Italia molto conservatrice e manichea anche il cardinale Tettamanzi è un comunista, solo perché parla di accoglienza, umanità, apertura all'altro da sé. Personalmente, non sono convinto che con questa Italia sia possibile dialogare, pur con tutta la voglia riformista che possiamo avere. Però è questa l'Italia che ha vinto, quella della destra e della Lega.


 

E' dunque obbligatorio chiedersi perché. Cos'ha spinto la gente a fidarsi, ancora, di Berlusconi e di Bossi? Viene in mente la sicurezza, la fiscalità e le infrastrutture per lo sviluppo.


 

Sulla sicurezza, è indubbio che il centrosinistra, per molto tempo, abbia quasi negato l'esistenza del problema imputando semplicemente ai cittadini sentimenti razzisti ed egoisti. Poi, la parte riformista della nostra coalizione (dalle città fino al governo nazionale) ha rimediato, e ha proposto ricette concrete. Ma forse eravamo fuori tempo massimo. E forse proporre le stesse ricette della destra non paga: se non c'è differenza fra fotocopia e originale, perché gli elettori dovrebbero scegliere allo stesso prezzo la fotocopia? Allora, io credo che il nostro dovere sia quello di garantire la sicurezza nelle città, nelle periferie, nei singoli quartieri, garantirla di giorno e di notte. Ma nel contempo non possiamo abdicare alla nostra idea di nazione, un'idea aperta (con i flussi controllati, legati al mondo del lavoro) e solidale (che si occupa di chi spesso è letteralmente costretto a fuggire dal proprio Paese di origine). In sintesi, lavorare per eliminare la paura dei cittadini e non, come la destra fa da anni, alimentare la stessa paura e gli istinti peggiori delle persone a scopi elettorali. Perché parlare alla pancia dei cittadini è semplice. Ma poi, in un mondo globalizzato, come pensiamo di risolvere la gigantesca e complessa questione delle migrazioni? Con le mura medievali?


 

Sulla fiscalità, certamente c'è da riflettere: il fisco italiano appare esoso, a fronte di servizi spesso costosi e scadenti. Ma può un partito di centrosinistra riformista giustificare fantomatici scioperi fiscali o, peggio, invitare le regioni ricche a ribellarsi? Certo che no. Il nostro compito è un altro. Primo, far pagare le tasse a tutti, proprio a tutti! Secondo, abbassarle a tutti, proprio a tutti! L'ordine dei provvedimenti non è casuale, è l'unico possibile per chi, nel proprio dna, ha l'idea di giustizia sociale.


 

Sulle grandi opere che servono allo sviluppo (ma che servono anche agli italiani che tutti i giorni si spostano per andare a lavorare e che non possono metterci il doppio del tempo dei tedeschi o degli spagnoli) c'è poco da dire: su questo terreno, il divario fra riformisti e sinistra radicale è sempre stato amplissimo, direi incolmabile. Oggi, almeno formalmente, questo problema, il PD, l'ha risolto. Ora dovremo dimostrare che di averlo risolto anche nei fatti, a cominciare dalle realtà locali nelle quasi siamo al governo.


 

In conclusione, no a inciuci sulla politica quotidiana con questa destra!
Sulle regole, invece, forse si può e si deve. Forse. Ma allora muoviamoci subito, incalziamo subito la maggioranza affrontando anche il problema dei costi della politica: presentiamo subito le nostre proposte sulla drastica riduzione del numero dei parlamentari e delle loro prebende, sul superamento del bicameralismo perfetto e dunque sulla creazione del Senato delle autonomie, sulla razionalizzazione del sistema delle province intese quali enti intermedi, di dimensione adeguata, che si occupino esclusivamente delle poche materie afferenti i problemi di area vasta, ridefinendo invece la città metropolitana nelle aree quali quella milanese. Facciamo tutto questo ed altro, e facciamolo in fretta, stanando il PDL, se non vogliamo sprecare la bella occasione del Partito Democratico. Per progettare il futuro, per progettarlo oltre Berlusconi, per poter essere pronti quando e se toccherà a noi governare l'Italia. E per fare in modo che questo accada presto. Non dipende solo da noi. Ma dipende anche da noi.

giovedì 1 maggio 2008

Partito democratico, adesso un'Italia nuova

Perché festeggiare il lavoro

Oggi è il primo maggio. È la festa nazionale del lavoro. Si tratta, in effetti, di una delle più consuete ricorrenze civili. Al contrario di altri tempi, però, questa celebrazione sembra essere divenuta quasi un fatto anacronistico, quasi un evento estemporaneo. Se così fosse, si tratterebbe di una grave perdita di attenzione verso un aspetto importante della vita.

A volte sembra che siamo tutti talmente presi dal lavoro da sentire come inconsueto fermarsi anche solo per un giorno a riflettere su cosa significhi veramente lavorare, su cosa significhi essere impegnati quotidianamente in quello che ognuno fa.

Secondo un certo modo d´interpretare la storia dell´umanità, il lavoro non sarebbe altro che un fenomeno moderno. Moderno, cioè, nel senso di un modo di vedere la vita secondo l´ottica contemporanea della prassi, dell´agire, incompatibile con i ritmi rilassati e contemplativi di una volta. Questa lettura è tuttavia abbastanza fuorviante. Si tratta di ciò che Bacone chiamava idola, cioè un´immagine falsa, ingegnosamente creata dall´immaginazione anche se realmente insignificante.

Basta riflettere un momento su quanto appaia difficile oggi la vita per molte persone, malgrado i sussidi e le solidarietà che un tempo non esistevano affatto, per capire quanto fosse necessario lavorare nel passato – come o se non più di oggi – anche solo per riuscire minimamente a sopravvivere.

Certo, i tempi sono cambiati. Anche se oggi come ieri il lavoro continua a dominare il paesaggio umano, misurando il senso della dignità personale, ponendo interrogativi sul livello dei diritti posseduti e, non da ultimo, celebrando la sua funzione sociale almeno una volta all´anno con un giorno di festa.

Eppure, pare che nulla sia cambiato rispetto a ciò che i filosofi classici dicevano a proposito del lavoro. Mi sembra cioè ancora valida, ad esempio, l´affermazione forse un po´ drastica di Musonio Rufo che indicava «l´agricoltura come il mezzo più conveniente soprattutto per un pensatore per guadagnarsi da vivere», intendendo con ciò che la contemplazione è un privilegio che può essere raggiunto solo col sudore e la fatica.

Anche il mondo attuale può condividere, ad esempio, l´analogo giudizio di Sesto Empirico, secondo cui «vi è necessità sempre di apprendere o esercitare un´arte, cioè un lavoro, per poter vivere onestamente».
Ho sempre trovato particolarmente illuminante, in questo senso, la considerazione simile alle precedenti del giovane Habermas, il quale attribuisce al lavoro il ruolo di «una sintesi mediatrice tra uomo e natura». Ciò avvicina, in un certo modo, la sua visione pragmatica della società alla descrizione che del lavoro presenta, ad esempio, la tradizione vetero testamentaria. In effetti, anche senza essere filologi, basta leggere i primi capitoli della Genesi per capire che il privilegio accordato da Dio al genere umano di dare nomi alle cose è una capacità concessa a tutti dalla nascita, ma che si fa realtà soltanto attraverso uno sforzo effettivo di vita.

Forse questa costitutiva e universale caratteristica umana del lavoro è stata un po´ perduta con la contrapposizione ideologica più recente tra lavoro e capitale. Evidentemente a tutto vantaggio del secondo aspetto sul primo.
Il Novecento, ad esempio, ha lasciato in eredità al nuovo millennio una visione del lavoro intesa come attività tutto sommato secondaria rispetto alla ricchezza prodotta, generando una sorta d´identità del lavorare con chi fa un certo tipo di lavoro, cioè con la classe dei lavoratori. La vittoria di questa idea segna, però, lo smarrimento di un fattore decisivo della vita personale, ovvero il carattere soggettivo del lavoro, inconfondibile con qualsiasi concezione consumistica e merceologica del capitale.
Avere una ricchezza non prodotta, infatti, è possedere qualcosa, mentre lavorare è sempre accrescere se stesso attraverso l´azione e non soltanto immettendo qualche bene in più nel mercato globale. Da qui la tragedia di un lavoro perduto o di un´involontaria disoccupazione subita anche in assenza di una reale necessità economica da soddisfare.

In questa direzione sono andati certamente i padri costituenti italiani, volendo esplicitamente liberare il lavoro da una rigida identità di classe e permettendo l´emergere di un profilo veramente antropologico ed etico del lavoro come bene comune di tutti i cittadini. Anche se, ovviamente, l´organizzazione delle attività umane non può rinunciare ad un obiettivo di produttività e di profitto. Ma non perché tale sia la definizione del lavoro, ma perché è ciò che gli attribuisce una finalità e una motivazione soddisfacente.

Un lavoro, in effetti, che non s´indirizzasse alla produzione di ricchezza non sarebbe realmente un lavoro, ma un suo dannoso surrogato, prodotto ad arte da una società assistenziale in declino. Il germe di ogni solida imprenditorialità, alla fine, sta proprio nel cogliere il valore intrinsecamente umano del lavoro che permette ad ognuno di guadagnare una vera e propria "pienezza d´essere" e, conseguentemente, un vero e proprio incremento di benessere per sé e per gli altri. Un lavoro ben fatto e ben ultimato è così sempre una conquista collettiva, con una relativa indipendenza – sia ben chiaro, soltanto relativa – dai risultati raggiunti.

In fondo, malgrado le splendide descrizioni di Max Gluckman, il lavoro non può mai essere completamente ridotto né ad una "funzione", né ad una "struttura" della società. Esso riguarda, infatti, la base profonda non soltanto delle categorie economiche, ma anche di quelle più radicalmente umane. Cioè il bene proprio di chi con il lavoro si realizza come persona.
Joaquin Navarro-Valls - La Repubblica