giovedì 30 ottobre 2008

NON CHIAMIAMO RIFORMA
UN SEMPLICE TAGLIO DI SPESA


Secondo il filosofo Antiseri, «il grembiulino e il voto di condotta sono condivisibili, ma sono cose marginali, direi futili. Colpire la scuola e l'università significa colpire il cuore pulsante di una nazione».

Secondo gli esperti, nell’andamento dell’economia il capitale umano vale fino all’80 per cento della ricchezza. È ovvia, quindi, l’importanza che l’istruzione ha nello sviluppo. Eppure, in Italia c’è chi fa finta d’ignorarlo. E non ci si preoccupa se due terzi della popolazione, tra i 16 e 65 anni, presenta "insufficiente competenza alfabetica funzionale" (cioè, ha difficoltà 17 volte più della media europea a usare il linguaggio scritto per un ragionamento, anche modesto).

Studenti e professori hanno seri motivi per protestare. E non per il voto in condotta o il grembiulino (che possono anche andar bene), ma per i tagli indiscriminati che «colpiscono il cuore pulsante di una nazione», come dice il filosofo Dario Antiseri. Nel mirino c’è una legge approvata di corsa, in piena estate. La dicitura è roboante: "Riforma della scuola"; più prosaicamente "contenimento della spesa", a colpi di decreti, senza dibattito e un progetto pedagogico condiviso da alunni e docenti.

Non si garantisce così il diritto allo studio: prima si decide e poi, travolti dalle proteste, s’abbozza una farsa di dialogo. Il bene della scuola (ma anche del Paese) richiede la sospensione o il ritiro del decreto Gelmini. Per senso di responsabilità; l’ostinazione, infatti, è segno di debolezza. Né si potrà pensare di ricorrere a vie autoritarie o a forze di polizia. Un Paese che guarda al futuro investe nella scuola e nella formazione, razionalizzando la spesa, eliminando sprechi, privilegi e "baronìe", nonché le "allegre e disinvolte gestioni".

Ma i tagli annunciati sono pesanti: all’università arriveranno 467 milioni di euro in meno. Nei prossimi cinque anni il Fondo di finanziamento si ridurrà del 10 per cento. Solo il 20 per cento dei professori che andranno in pensione verrà sostituito. Come dire: porte chiuse all’università per le nuove generazioni.

Tremonti ha dettato la linea, la volenterosa Gelmini è andata allo sbaraglio, spacciando per riforma la scure sulla scuola. Nessun Governo era giunto a tanto, anche se i vari ministri dovevano sempre chiedere in ginocchio le briciole al Tesoro. Oggi l’università italiana ha una "produttività" pessima, ha il record mondiale dei fuori corso, la metà delle matricole non arriva alla laurea. Per i dottorati di ricerca stiamo peggio della Grecia: 16 ogni mille abitanti (in Francia sono 76 e in Germania addirittura 81).

Che contributo si può dare alla formazione del capitale umano tra resistenze e tagli di bilancio? Pochi sanno che lo stipendio dei professori universitari non è regolato da contratto nazionale ma, come per magistrati e parlamentari, aumenta automaticamente ogni due anni, senza controllo. Gli stipendi si portano via l’88 per cento del Fondo dello Stato alle università. Percentuale destinata a salire con i tagli, con grave danno a didattica e ricerca. La riforma dell’istruzione la chiedono tutti. Nessuno, però, la ritiene una "priorità". Si procede solo con slogan nelle piazze e improvvisazioni politiche.

Un Paese in crisi trova i soldi per Alitalia e banche: perché non per la scuola? Si richiedono sacrifici alle famiglie, ma costi e privilegi di onorevoli e senatori restano intatti. Quando una Finanziaria s’approva in nove minuti e mezzo; quando, furtivamente, si infilano emendamenti rilevanti tra le pieghe di decreti legge, il Parlamento si squalifica. Ci siamo appena distratti, che già un’altra norma "razziale" impone ai medici di denunciare alla polizia gli immigrati clandestini che bussano al pronto soccorso.


da Famiglia Cristiana n. 44 del 2 novembre 2008

martedì 28 ottobre 2008

COMUNE DI PESSANO CON BORNAGO
PROVINCIA DI MILANO
Via Roma, 31 – cap. 20060 – tel. 02.9596971 Fax 02.959697230
C.F. e P.IVA N.03064000155

AVVISO DI CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE

IL SINDACO

Visto l’art. 40 del Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali del 18.08.2000, n. 267

RENDE NOTO

che alle ore 20.00 del giorno martedì 4 novembre 2008 si riunirà in seduta STRAORDINARIA
il Consiglio Comunale presso la sala consigliare sita al 1° piano dell’edificio “la Filanda (ex-Else)” -
Piazza della Resistenza per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

1. Piano di lottizzazione denominato ''T2''. Esame osservazioni pervenute, controdeduzioni ed
approvazione definitiva.
2. Modifiche allo Statuto di Costruzion.e. S.r.l. – società di scopo della Idra Patrimonio S.p.A.
3. Approvazione proposta di aumento di capitale della Società Partecipata Cem Ambiente S.p.A.
riservato al Comune di Vimodrone. Provvedimenti conseguenti.
4. Approvazione convenzione intercomunale Sistema Bibliotecario Milano Est.
5. Convenzione per l'ufficio di segretario comunale tra il Comune di Gorgonzola e di Pessano con
Bornago. Proroga fino al 31/12/2011.
6. Programma di incarichi di studio, di ricerca e di consulenza per l’anno 2008. Integrazione.
7. Bilancio di Previsione 2008. Variazione alle dotazioni di competenza n. 3.

Pessano con Bornago, 28 ottobre 2008
IL SINDACO
Caridi Giuseppe

lunedì 27 ottobre 2008

Partito democratico, adesso un'italia nuova

Intervento pubblicato in PRIMO PIANO su www.partitodemocratico.it
il 25 ottobre 2008

L'Italia. Migliore di chi la governa

Discorso Integrale
di Walter Veltroni

Circo Massimo
25 ottobre 2008

“Sabato c'è stata la più grande manifestazione di un partito in Italia negli ultima anni, come hanno rilevato i giornali italiani e internazionali; e la cosa bella è che è stata una manifestazione serena, senza odio”.
Walter Veltroni




Quella di oggi, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito. E lo è perché il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d’Italia abbia mai conosciuto.

Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno. E’ un fatto inedito nella lunga vicenda nazionale. E oggi, in questo luogo splendido e immenso, siamo qui, in tanti, perché vogliamo bene all’Italia, perché amiamo il nostro Paese.

Con lo stesso amore, il 14 ottobre di un anno fa, il Partito Democratico nasceva da un grande evento di popolo.

L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per sette lunghi e improduttivi anni.

L’Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la democrazia.

Perché l’Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà.

Lunedì scorso ci ha lasciati un grande amico, un padre della Repubblica, un maestro di vita per tutti noi. Aveva venticinque anni, Vittorio Foa, quando fu condannato e messo in galera: perché era antifascista, perché pensava diversamente da chi era al potere.

E per chi crede che fino ad un certo punto ci sia stato un fascismo in fondo non troppo cattivo, va ricordato che era il 1935. Non era ancora arrivata la vergogna delle leggi razziali. Ma il regime aveva già fatto in tempo a sopprimere la libertà di stampa e quella di associazione, a chiudere partiti e sindacati, a calpestare il Parlamento e a incarcerare, mandare in esilio o uccidere chi non si piegava alla dittatura: Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti. E due anni dopo la stessa sorte sarebbe stara di Carlo e Nello Rosselli e di Antonio Gramsci.

L’Italia, signor Presidente del Consiglio, è un Paese antifascista.

A chi le chiedeva se anche lei potesse definirsi così, “antifascista”, lei ha risposto con fastidio che non ha tempo da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto all’antifascismo e alla Resistenza.

Il presidente Sarkozy non avrebbe risposto così, non avrebbe detto questo della Resistenza animata dal generale De Gaulle, non avrebbe messo in dubbio che ogni francese è figlio orgoglioso della Parigi liberata dai nazisti.

E né Barack Obama, né John McCain risponderebbero con un’alzata di spalle ad una domanda sulla decisione del presidente Roosevelt di mandare a combattere e a morire migliaia di ragazzi americani. Quei ragazzi americani che sono morti per noi, per restituirci la libertà e la democrazia.

Nessuno avrebbe risposto come il nostro Presidente del Consiglio, perché non c’è nulla di più importante, per un grande Paese, della sua memoria storica. Un Paese senza memoria è un Paese senza identità. E chi non ha identità non ha futuro. E l’Italia ha bisogno di futuro.

Coltivare la memoria dell’antifascismo non è solo un atto di riconoscenza. Come ci ha ricordato un altro grande italiano, un uomo mite e rigoroso come Leopoldo Elia, se la democrazia viene coltivata e vissuta ogni giorno, si espande e cresce. Se viene mortificata e offesa, deperisce e può anche morire.

In tutti i Paesi del mondo ci sono i governi. Ma solo in quelli democratici c’è l’opposizione.

Coltivare la democrazia, farla vivere e crescere ogni giorno, significa rispettare l’opposizione, riconoscere la sua funzione democratica: nelle aule del Parlamento, come nelle piazze del Paese.

Se noi non svolgessimo fino in fondo il nostro ruolo all’opposizione, se non facessimo coesistere la durezza della denuncia e il coraggio della proposta, se non lo facessimo, tradiremmo il nostro mandato. E per colpa nostra, una colpa che sarebbe imperdonabile, la democrazia italiana diventerebbe più debole.

E’ indice di una mentalità sottilmente e pericolosamente illiberale, pensare che in una democrazia non bisogna disturbare il manovratore e che tutto ciò che limita, regola, condiziona il suo potere è solo un fattore di disturbo.

E’ un disturbo il Parlamento, perché vorrebbe e dovrebbe discutere le proposte di legge o i decreti del governo, prima di approvarli.

E’ un disturbo la magistratura, perché esercita un controllo di legalità che non può e non deve risparmiare chi governa la cosa pubblica in nome e per conto della collettività.

E’ un disturbo la Corte costituzionale, perché deve verificare la costituzionalità dei provvedimenti voluti dal governo e approvati dalla maggioranza in parlamento.

E’ un disturbo l’opposizione. Perché spezza l’incantesimo del plebiscitario consenso al governo. Perché dimostra che c’è un altro modo di pensare, che potrebbe domani diventare maggioritario. Perché vuole, come noi vogliamo, una grande innovazione istituzionale, il dimezzamento del numero dei parlamentari, una sola Camera con funzioni legislative, una legge elettorale che restituisca lo scettro ai cittadini. A cominciare dalla battaglia parlamentare che faremo nei prossimi giorni per mantenere il voto di preferenza alle prossime europee.

Una democrazia che decide, decide velocemente, decide dentro i principi della Costituzione, non con pericolose concentrazioni del potere. Una democrazia più moderna, alla quale abbiamo contribuito con le coraggiose decisioni dei mesi scorsi.

Noi oggi interpretiamo la nostra funzione in un modo che è perfettamente coerente con quanto dicemmo già al Lingotto, affermando che il PD, svincolato finalmente dai vecchi ideologismi, sarebbe stato “libero dall’obbligo di essere, di volta in volta, moderato o estremista per legittimare o cancellare la propria storia”.

Questo siamo: un partito libero, che non teme né di apparire moderato agli occhi di alcuni, né di sembrare estremista agli occhi di altri. Perché null’altro è che un grande partito riformista.

Un grande partito riformista, che fa dell’opposizione, un’opposizione di popolo, il modo per incidere oggi sulla realtà del Paese e per essere domani, strette le alleanze che le idee e i programmi vorranno, nuova maggioranza e nuovo governo per l’Italia.

Il PD avrà sempre, anche all’opposizione, una sola stella polare: gli interessi generali del Paese. Quel Paese che amiamo e il cui destino è la nostra ragione d’essere. Quel Paese che vogliamo unire, rifiutando l’odio e la contrapposizione ideologica.

Questa manifestazione è un grande momento di democrazia, sereno e pacifico.

E guai, davvero guai, a chi pensa di ridurre solo minimamente la libertà di avanzare critiche, la libertà di dissentire, la libertà di protestare civilmente contro decisioni e scelte che non condivide.

La democrazia non è un consiglio d’amministrazione. La minaccia irresponsabile e pericolosa di intervenire “attraverso le forze dell’ordine” dentro quei templi del sapere, della conoscenza e del dialogo che sono le Università, è stata qualcosa di abnorme e di mai visto prima. Puntuale, ancora una volta, è poi arrivata la smentita del Presidente del Consiglio. “Sono i giornali che come al solito travisano la realtà”, ha detto da Pechino.

Ora: cambiando il fuso orario si può anche cambiare idea, e in questo caso è un bene che ciò sia avvenuto. C’è però qualcosa su cui vale la pena riflettere. Perché un’alta carica istituzionale si può permettere sistematicamente di negare ciò che è evidente, ciò che per giorni le televisioni hanno ritrasmesso sbugiardando l’ennesima smentita? Perché il Presidente del Consiglio si sente autorizzato, nel pieno della tempesta finanziaria che stiamo vivendo, ad invitare i cittadini a comprare le azioni di questa o quella azienda? Perché può arrivare ad annunciare una decisione non presa come quella della chiusura dei mercati, facendosi smentire persino dalla Casa Bianca? Se l’avessero fatto Gordon Brown o Angela Merkel sarebbe successa una catastrofe. Siccome nel mondo sanno chi è, non è successo niente.

Ma perché coltiva questa impunità delle parole? Questa strategia dell’inganno permanente nei confronti dei cittadini? La presunzione che si possa promettere di tagliare le tasse che poi non si tagliano, di fare delle mirabolanti opere infrastrutturali che poi non vengono nemmeno progettate?

E’ l’idea del potere che non è tenuto a rispondere dei suoi comportamenti. E’ un’idea del potere inaccettabile. E’ la confusione tra governare e prendere il potere.

Contro questi rischi l’opinione pubblica, la cultura, la coscienza critica del Paese, l’antico amore degli italiani per una democrazia viva e piena, devono farsi sentire.

Voglio essere chiaro: noi non pensiamo che questo governo sia la causa di tutti i mali. Non saremo noi, a differenza di chi ci ha preceduto nel ruolo di opposizione, a gridare al regime.

Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una ragione semplice: perché non ha nel cuore l’Italia che produce e che lavora, l’Italia che soffre. E’ un governo che si occupa di rassicurare i potenti di questo Paese, piuttosto che di combattere la drammatica situazione di imprese e lavoratori.

L’Italia può essere altro. L’Italia “è” altro.

E’ però vero che la fotografia dell’Italia attuale sta sbiadendo, ha quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e nero. Come le vecchie immagini di una volta, perché l’immobilismo che già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro una crisi economica di questa gravità, di farci tornare drammaticamente indietro.

Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza che questo potesse accadere.

Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei mesi si chiude perché la produzione si ferma?

Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese.

E’ gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di dover chiudere: perché l’affitto aumenta a rotta di collo, le bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio, ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i consumi.

Qualche giorno fa, ad una azienda metalmeccanica del bresciano che ha cinquanta dipendenti ed è attiva da mezzo secolo, è stato chiesto di rientrare subito del fido e intanto hanno bloccato le carte di credito. “E’ una cosa umiliante”, ha detto il titolare. Ecco uno degli effetti di questa crisi: non conta la storia e la serietà di un’impresa, si guardano solo i numeri e i conti. Quelli della banca, non quelli dell’azienda.

E tornano indietro, non possono proprio a guardare avanti, i giovani, i nostri ragazzi. Su un muro di Milano qualcuno ha scritto: non c’è più il futuro di una volta. E’ la cosa più grave. Ieri a vent’anni e a trenta si raccoglievano i frutti dello studio o già si lavorava, e comunque si pensava al domani convinti che sarebbe stato migliore rispetto alla vita vissuta dai dei propri genitori.

Oggi i giovani italiani sono prigionieri della gabbia del precariato. Sono storie umilianti, e sono tantissime. La risposta ad un annuncio su Internet e l’invio di un curriculum, le cuffie in testa e il microfono per rispondere alle telefonate, i 1.200 euro lordi promessi dai selezionatori che diventano 800 e cioè 640 netti considerando i giorni effettivi di lavoro.

Quattro euro l’ora. Una vita precaria e i sogni mortificati per quattro euro l’ora. Ma si accetta, perché con il contratto a scadenza si è sotto ricatto. E si accetta.

E quella foto dell’Italia è in bianco e nero, purtroppo, anche a simboleggiare gli opposti, anche a dire dell’estrema ricchezza e dell’estrema povertà che dividono in due un paese ingiusto.

Non siamo solo noi, non è la cattiva propaganda dell’opposizione ad affermarlo, lo ha detto la Banca d’Italia, lo dice l’Ocse: la nostra è una delle società più diseguali dell’Occidente, siamo uno dei paesi nei quali la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o niente si è fatta più larga.

L’Italia ha urgente bisogno di crescere e per questo ci vuole, lo diciamo da mesi, un grande patto tra i produttori.

Siamo nel pieno della terribile, drammatica crisi finanziaria internazionale, che sta producendo una grave recessione mondiale e che si è abbattuta anche sul nostro Paese. Una crisi che richiederebbe, da parte di chi governa, senso di responsabilità e moderazione. Parole sconosciute a Berlusconi.

La crisi non va certo spiegata agli operai, alle imprese, ai ragazzi che cercano o perdono un lavoro. Lo sanno bene, lo sapete bene, lo vivete ogni giorno sulla vostra pelle. Lo sanno i pensionati, che prendono ogni mese la stessa pensione e intanto pagano di più per il pane, per la pasta, per le bollette della luce e del gas. Lo sanno le famiglie italiane, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Lo sanno i sette milioni e mezzo di persone che vivono poco al di sopra della soglia di povertà, 500-600 euro al mese, vicinissimi a quegli altri sette milioni e mezzo che già stanno sotto. Fanno 15 milioni in totale. Non esagera, la Caritas Italiana, quando lancia l’allarme povertà.

C’è la crisi. Ed è vero che ci arriva dagli Stati Uniti. Ma nessuno può farne un alibi o una scusa. Soprattutto non può farlo, non può chiamarsi fuori, una destra che per anni ha diffuso a piene mani tre tossine, culturali e politiche.

La prima è un’idea monca della libertà, quella che considera ogni regola come un inciampo, che è figlia dell’ideologia del liberismo selvaggio e dell’individualismo sfrenato. E la disinvoltura con cui si fa una bella capriola e si diventa all’improvviso statalisti nasce dal fatto che l’unico vero sistema che piace alla destra è quello nel quale sia il mercato che lo Stato sono al servizio degli interessi dei più forti.

La seconda tossina è la freddezza, lo scetticismo, l’ostilità perfino nei riguardi dell’Europa. Ed è ovvio: l’Europa è coesione sociale e crescita economica insieme, è un orizzonte che chiama a muoversi in un sistema di regole e responsabilità comuni.

La terza tossina è il primato della finanza e di quella più creativa, più disinvolta e più cinica possibile, nei riguardi del lavoro e della produzione di beni e servizi. Vi farò tutti ricchi, perché il denaro da solo moltiplicherà il denaro, tutti avrete il vostro albero delle monete d’oro nel campo dei miracoli. L’impegno, la fatica, lo studio, la pazienza e la tenacia non servono più, sono avanzi del passato: tutto è facile, tutto è possibile, perché tutto è lecito.

La crisi, ha detto un grande economista come Paul Samuelson, “è figlia di un insieme diabolico di avidità, indebitamento, speculazione, laissez-faire, e soprattutto un’infinita incoscienza”.

C’è il ritratto della destra, dietro queste parole. Anche della destra italiana di questi ultimi quindici anni.

L’intervento dello Stato è “un imperativo categorico”, ha detto Berlusconi fulminato sulla via di Damasco. Ma sicuramente un giorno arriverà una smentita anche di questa frase. Come quando, poche ore dopo averla fatta, ha corretto quell’affermazione destinata comunque a rimanere negli annali per la sua totale irrealtà: “la crisi non avrà effetti sull’economia reale”.

E’ invece proprio l’economia reale l’emergenza vera di queste ore. Cosa ha fatto il Presidente del Consiglio per difendere le piccole e medie imprese o il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi degli italiani? Nulla, assolutamente nulla.

Cosa ha fatto, cosa sta facendo il governo per le famiglie? Ha tagliato del 32 per cento il Fondo a loro destinato, e lo ha fatto per coprire una parte dell’abolizione dell’Ici sulle abitazioni dei più ricchi. Così, come ha denunciato l’Associazione famiglie numerose, c’è un “signor Rossi” milionario, che ha 500 mila euro di reddito annuo, diverse case di proprietà e non ha figli, che non paga più l’Ici perché un “signor Rossi” che fa l’operaio, che ha 25 mila euro di reddito annuo e vive in una casa in affitto con moglie e quattro figli a carico, non riceve più i 330 euro che prima gli arrivavano dal Fondo per le famiglie.

Insomma, dinanzi a una crisi che sta impoverendo ancora di più le famiglie italiane, il governo cosa fa? Spende le poche, preziose risorse per i più ricchi. E questi costosi regali li pagano tutti i contribuenti, perché hanno meno servizi, perché pagano più tasse e perché ricevono meno sostegni. Li pagano i Comuni, cuore del nostro Paese, costretti per questo a scelte socialmente dolorose. Li pagano gli italiani all’estero, anche loro cuore del Paese, anche loro colpiti anche dalle scelte di questo governo.

Voglio dirlo chiaramente: il governo ha sbagliato tutte le previsioni economiche, il governo ha fatto una Finanziaria che immaginava una fase di crescita, il governo ha esplicitamente e drammaticamente sottovalutato le conseguenze durissime che la crisi sta avendo sulle famiglie e sulle imprese.

Si sono riuniti anche di notte per garantire sostegno alle banche, quelle banche che devono restare indipendenti dalla politica. Ora si riuniscano anche di notte per fare invece un grande piano per i cittadini, per combattere la recessione e l’impoverimento della società italiana.

Dalla crisi del ’29 si uscì con il New Deal. Ora nel nostro Paese è tempo di un Piano organico per la crescita e la lotta alla povertà e alla precarietà.

L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa.

Le misure per stabilizzare la crisi finanziaria, prese a livello europeo, sono giuste e necessarie. Ma non sono sufficienti. Ne servono altre, indispensabili: il sostegno con un fondo di garanzia alle micro e piccole imprese, un piano di investimenti in infrastrutture e soprattutto un intervento per aumentare i redditi da lavoro, i salari, gli stipendi, le pensioni degli italiani.

Abbiamo presentato proposte per sostenere l’economia reale. Se queste priorità saranno riconosciute noi faremo, come sempre, la nostra parte. La faremo, come ho detto, per l’Italia, non certo per Berlusconi.

Noi da questa piazza non insultiamo nessuno e non gridiamo al regime. La nostra sfida è chiara, ed è la stessa che lanciammo al Lingotto.

Non conservare quello che c’è. Non assegnare al riformismo il compito di difendere anche importanti conquiste del passato.

No, è il tempo della costruzione dell’Italia del nuovo secolo. E’ il tempo del coraggio riformista, non della pigrizia conservatrice.

Le nostre proposte sono sul tavolo. Noi chiediamo di ridurre, a partire dalla prossima tredicesima, il peso delle tasse sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Proponiamo di destinare a questa misura sei miliardi di euro, in un insieme di interventi che valgono lo 0,5 per cento del Pil.

E’ un intervento rilevante ma sostenibile per le nostre finanze pubbliche, risanate dall’azione di un uomo che quando governava pensava al Paese, e non a se stesso: Romano Prodi. E’ un intervento sostenibile, nel momento in cui si è introdotta una maggiore flessibilità dei parametri europei all’interno dei vincoli del Patto.

La spesa pubblica, in Italia, deve essere ridotta. Senza esitazioni. La nostra linea, però, è “spendere meno e spendere meglio”. Non “spendere meno” e basta, senza preoccuparsi di cosa ne sarà delle scuole, degli ospedali, della sicurezza dei cittadini.

Abbiamo sempre detto “pagare meno, pagare tutti”. E invece ora di pagare meno non c’è traccia e la lotta all’evasione fiscale è scomparsa dall’orizzonte. Il governo sta riproponendo la vecchia ricetta: aliquote alte, pochi controlli, evada chi può. Complimenti: è la strada maestra per andare tutti a fondo.

E vorrei porre qui la domanda che si stanno facendo gli imprenditori e tutti gli italiani: dov’è finita la promessa di ridurre le tasse? Di portare la pressione fiscale sotto il 40 per cento?

La verità è che le tasse le stanno aumentando Voglio ripeterlo: le tasse stanno aumentando.

E questo proprio in una fase di recessione, quando si dovrebbe consentire a chi ha redditi medi e bassi di poter aumentare i propri consumi.

E poi: abbiamo sempre detto che la pubblica amministrazione deve essere riformata. Dunque va bene la lotta ai veri fannulloni. Chi lavora nel settore pubblico, a cominciare dai dirigenti, deve metterci il doppio e non la metà dell’impegno di chi lavora nel settore privato.

Ma la pubblica amministrazione è piena anche di persone straordinarie, che mettono al servizio della collettività sapere e competenza, in cambio di un reddito col quale faticano a vivere dignitosamente. Penso agli infermieri e ai medici ospedalieri. Penso agli agenti delle forze di polizia, che rischiano la vita e devono chiedere l’anticipo sulla liquidazione per tirare avanti.

Penso alla scuola, alla ricerca, all’Università. Il governo ha fatto due errori. Il primo: le ha ridotte a voci da tagliare, dimenticando che sono un settore strategico per il futuro del Paese. Un settore da riformare, anche in profondità, ma per investirci maggiori e non minori risorse.

Stupisce lo stupore per la protesta che sta dilagando in tutta Italia. E’ una protesta giusta, perché consapevole, responsabile e assolutamente non violenta. Come sempre dovrà essere, respingendo il tentativo di radicalizzare lo scontro portato avanti dal governo. E’ un movimento senza bandiere né di partito, né di sindacato. Una grande prova di autonomia della società civile. Le maestre insieme alle mamme, gli studenti insieme ai rettori. Questo movimento ama la scuola e la vuole cambiare, tanto che nelle piazze ci va anche per fare lezioni all’aperto di fisica o di filosofia.

Il governo invece sta togliendo l’aria all’Università italiana, sta impedendo l’ingresso di nuove leve di ricercatori e docenti all’interno degli atenei, sta togliendo ogni prospettiva di poter continuare a lavorare nel nostro Paese a giovani scienziati che hanno fin qui fatto partecipare l’Italia a progetti come quelli del Cern di Ginevra o hanno garantito il monitoraggio di vulcani e terremoti in un Paese come il nostro. Giovani scienziati che si sono visti bloccare l’assunzione dal governo Berlusconi del 2002 e che si vedono arrivare il licenziamento dal governo Berlusconi del 2008.

“Prenda nota, signor ministro Giulio Tremonti – non sono io a dirlo, ma è uno storico come Franco Cardini dalle colonne del “Secolo d’Italia” – ritirare l’appoggio alle Università è un modo di rubare ai poveri per dare ai ricchi. Un modo come infiniti altri. Ma è l’esatto contrario di quel che avrebbe voluto il ‘suo’ Robin Hood”.

Il secondo errore è forse ancora più grave. Avete camuffato i tagli sotto le mentite spoglie di una “riformetta” che ha mortificato la dignità culturale e professionale dei docenti, la partecipazione dei genitori e degli studenti, la natura di comunità educante della scuola.

Voglio essere chiaro: ogni posizione conservatrice sulla scuola e l’Università è sbagliata. Abbiamo bisogno della scuola dell’autonomia e del merito. Di una scuola che abbia fiducia nella capacità di scelta dei ragazzi. Di una scuola guidata da un progetto educativo moderno e capace di promuovere opportunità sociali e merito, in un contesto di permanente, indipendente, valutazione di qualità.

I conservatori sono quelli che si preoccupano di sistemare piccoli particolari, come il grembiule e il ripristino dei voti. C’è bisogno invece di una radicale riforma.

E voglio dire che se c’è una materia sulla quale il Paese dovrebbe proiettare se stesso oltre le divisioni, è proprio una scelta di fondo della scuola e dell’Università. Non si può ad ogni cambio di ministro stravolgere la vita di milioni di famiglie, di ragazzi, maestri e professori.

E’ la sfida dell’innovazione della scuola, quella che ci interessa.

La scuola elementare italiana, una delle migliori del mondo, è il frutto di decenni di elaborazione pedagogica, teorica e sul campo. Che cultura, che pensiero, che innovazione c’è dietro il ritorno al maestro unico o all’abolizione per via di fatto del tempo pieno?

E davvero qualcuno pensa che il fenomeno del bullismo si possa risolvere con il voto in condotta? No. Non è così semplice, non è così banale. Dietro questi atteggiamenti c’è molto di più. Dietro il fatto che un bambino su cinque comincia a bere tra gli 11 e i 15 anni c’è davvero un vuoto più grande. C’è il degrado e sociale e il disagio familiare. C’è l’annoiarsi di fronte alla vita di chi forse è spinto a conoscere il prezzo ma certo non il valore delle cose.

Quel vuoto a noi spaventa. Per voi è indifferente. Perché vi è congeniale. L’avete alimentato con la vostra cultura dell’individualismo e dell’egoismo. Con il vostro fastidio per ogni regola morale. Con la vostra idea che contano non lo studio e il lavoro, ma solo il successo facile. Quello che si raggiunge anche senza saper far niente, basta apparire in televisione. Quello che si può ottenere in ogni modo, anche prendendo le scorciatoie e passando sopra gli altri.

Uno scrittore, che di mestiere fa anche il professore, ha raccontato così i pensieri di una sua studentessa, di una ragazza come tante della sua generazione: “Professore, ha presente il fascio di luce che d’improvviso avvolge l’ospite d’onore e lo separa dal buio? Quella chiazza bianca o gialla sul palcoscenico? Mi sono accorta – dice questa ragazza – che è piccola, un cerchio minimo. Tutti non ci possiamo entrare, e neanche parecchi. Lì c’è posto per pochissimi. Per gli altri c’è il buio, il niente, al massimo un posto in platea per applaudire chi ce l’ha fatta e crepare d’invidia. A me non piace stare da una parte ad applaudire agli altri. Oggi a nessuno piace. Ma non mi va nemmeno di uscire dal teatro e mettermi a battere chiodi o sudare per due lire come mio padre e mia madre. Io quella luce la voglio. Io li capisco quelli che bruciano le macchine a Parigi. Loro la luce se la fanno da soli, e il mondo li guarda, arrivano le telecamere e il buio non c’è più, non c’è più questo schifo di vita”.

Questa cultura l’ha creata la destra. L’avete costruita voi. Non vi interessa la scuola perché la vostra scuola è la televisione. E la vostra diseducazione civile degli italiani rimbalza fin dentro le scuole.

Fa rabbrividire la mozione della Lega sulle classi differenziate per i bambini stranieri. “Famiglia cristiana” l’ha definita “la prima mozione razziale approvata dal Parlamento italiano”.

Che nella scuola dell’obbligo ci siano classi separate o test d’ammissione per distinguere un bambino dall’altro è un danno per tutti. E’ un danno per i bambini italiani, che considereranno quei loro amici diversi da loro, introiettando un concetto foriero di catastrofi. E’ un danno drammatico per i bambini immigrati, che si sentiranno messi ai margini e respinti, e coltiveranno un senso di separatezza che potrà essere molto rischioso in primo luogo per la sicurezza della nostra società.

Quella mozione offende i bambini, umilia la scuola e il Parlamento. La questione dell’insegnamento dell’italiano ai bambini stranieri è una questione reale, che da anni la scuola elementare affronta con successo e che dovrà ancora di più saper affrontare, attraverso lo sviluppo dei corsi integrativi e non con la segregazione etnica.

Si chiama interculturalità. Ed è un altro esempio di come l’Italia sia migliore, molto migliore della destra che la governa.

E’ con l’Italia, allora, che dovete discutere e ragionare. Con la scuola e l’università, innanzitutto. E poi in Parlamento: aprendo quello spazio di confronto auspicato con la consueta saggezza dal Presidente Napolitano, cercando soluzioni condivise e perciò stesso durature, perché sottratte al conflitto politico immediato.

Noi vi facciamo una proposta: il Governo ritiri o sospenda il decreto attualmente in discussione in Parlamento, modifichi con la Legge Finanziaria le scelte di bilancio fatte col decreto e avvii subito un confronto con tutti i soggetti interessati, giovani studenti, famiglie, docenti. Fissando un tempo al termine del quale è legittimo che le decisioni siano prese.

E’ il tempo di dirsi chiaramente una cosa, anche autocriticamente: nella scuola e nell’Università italiana forse si spende male, ma certo si spende poco. E’ il cuore del futuro del Paese, e per questo voglio prendere un impegno: quando governeremo l’Italia, noi dovremo fare quello che in questi giorni ha detto il Presidente francese. E cioè un grande sforzo per l’istruzione, per la formazione dei giovani. Sarkozy ha annunciato che all’Università sarà progressivamente destinato il 50 per cento in più di risorse. E’ una assoluta priorità, che non si può non vedere e che non ha colore politico. Quando noi governeremo, faremo altrettanto.

Se le cose cambiano, va cambiato anche il modo di guardarle. Alla parola “costi” si deve sostituire la parola “investire”.

Vale, questo, per la grande frontiera dell’ambiente, per il gigantesco problema del surriscaldamento globale, per la strada indispensabile delle energie rinnovabili.

Basta col pensare che tutto, quando si parla di questioni ambientali, sia solo un costo da sopportare. “Costi irragionevoli”, ha detto il Presidente del Consiglio di fronte ai nostri partner europei.

L’ambiente e l’economia non sono nemici tra loro. Il Pil può salire mentre contemporaneamente aumenta la tutela della natura e migliora la qualità della vita. Anzi: il Pil sale solo se al centro dello sviluppo c’è la sostenibilità, c’è la riconversione dell’economia.

Davvero non si capisce perché se la Germania è riuscita a creare, nel comparto delle fonti rinnovabili, duecentomila posti di lavoro negli ultimi dieci anni, da noi non possa avvenire qualcosa di simile. O perché non sia possibile seguire l’esempio della California, che puntando sull’efficienza energetica ne ha creati un milione e mezzo.

E ad ogni modo: solo se gli impegni internazionali assunti dall’Italia saranno confermati, come è dovere di un grande paese europeo, sarà giusto studiare momenti di flessibilità per venire incontro alle esigenze delle imprese nell’attuale situazione.

Il Partito Democratico vuole essere il grande partito dell’ecologismo moderno, fatto non di pregiudizi antiscientifici, ma dall’idea che sia proprio l’ambiente, scegliendo la via della “rottamazione” del petrolio, della fine della dipendenza dai combustibili fossili, degli investimenti sulle fonti rinnovabili, del potenziamento del trasporto pubblico, a poter garantire la nostra ricchezza di oggi e il domani dei nostri figli.

Alle mie spalle, la vedete, c’è una bellissima frase di di Vittorio Foa: “pensare agli altri, oltre che a se stessi, e pensare al futuro, oltre che al presente”.

Valgono, queste parole, per l’ambiente. E valgono per il drammatico corto circuito che nella nostra società si sta creando per colpa di un’equazione tanto ingiusta quanto sbagliata: più immigrazione uguale insicurezza, straniero uguale estraneo, diverso, “altro” da sé, minaccia per il proprio territorio, la propria casa, la propria incolumità. E quindi nemico da allontanare, da respingere, da cacciare.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo e mai di fare di tutto per rendere concreto questo principio: la sicurezza è un diritto fondamentale di ogni cittadino. Chiunque lo colpisce va perseguito, qualunque sia la sua nazionalità. E basta con la vergogna di troppi delinquenti, non importa se italiani o stranieri, arrestati dalla polizia e poi scarcerati dopo pochi giorni, o di condannati che evitano il carcere grazie a una serie infinita di premi e benefici.

Però quell’equazione no, non si può fare. Non si può negare uno dei fondamenti della nostra civiltà: sono gli individui che commettono un crimine che vanno puniti. Mai i gruppi, mai le comunità etniche, sociali o religiose.

La madre del razzismo è la paura. Il problema è che ad alimentarla c’è anche l’uso politico dell’immigrazione. Il massimo dell’ipocrisia in chi, come il governo, dovrebbe avere l’onestà di dire che da quando ci sono loro gli sbarchi sono raddoppiati, le espulsioni sono ferme e si sta creando una nuova bolla di clandestinità.

La paura, ha detto bene Ilvo Diamanti, “paga”. In termini elettorali e di consenso, almeno nell’immediato. “Per contrastare il razzismo”, ha scritto ancora Diamanti, “si dovrebbe combattere la paura. Invece viene lasciata crescere in modo incontrollato. E molti, troppi, la coltivano, questa pianta dai frutti avvelenati che cresce nel giardino di casa nostra”.

Molti, troppi episodi si sono verificati negli ultimi mesi, nelle ultime settimane. Di quasi tutti si è detto “il razzismo non c’entra”. Ma non è razzismo l’assassinio di Abdoul, ucciso per una scatola di biscotti al grido di “sporco negro”? Non ci sono l’ignoranza, l’estraneità e l’ostilità verso “l’altro” dietro l’aggressione di un ragazzo cinese alla fermata di un autobus? Non dobbiamo pensare che ci sia razzismo dietro il fermo violento da parte dei vigili e il pestaggio di Emanuel? Dietro quel negargli persino il cognome?

E c’è un episodio che mi ha colpito particolarmente. In una scuola di una provincia italiana i bambini avevano disegnato, insieme alle loro maestre, delle sagome da mettere vicino alle strisce pedonali per dire agli automobilisti di rallentare. Queste sagome ritraevano loro. Erano bambini e bambine. Erano di colori diversi. Qualcuno deve aver pensato che c’era qualcosa di sbagliato nel fatto che ci fossero ritratti di bambini neri e di bambini bianchi insieme, e ha pensato di andare, di notte, a sbiancare con la vernice le sagome scure. Razzismo strisciante, vigliaccheria e pretesa di insegnare la propria aberrante idea di ciò che è giusto: il peggio del peggio riunito in un solo gesto.

Ecco qualcosa di fronte al quale noi non siamo e non saremo mai indifferenti. Qualcosa che noi combattiamo e combatteremo sempre.

L’Italia non è non sarà mai un Paese razzista.

E domando: la libertà e la democrazia non sono diminuite e ferite quando si ripetono atti di odiosa e intollerabile omofobia, che allontanano le nostre possibilità di convivenza civile e allargano il discrimine che vive sulla propria pelle chi non gode di leggi di pari opportunità e non è adeguatamente tutelato contro i reati d’odio?

L’Italia è un paese migliore della destra che la governa. La sua storia racconta un paese migliore.

Un bravo giornalista lo ha detto bene. Nei decenni successivi alla guerra, i nostri dialetti erano lingue ben strutturate, che resistevano tenacemente alla penetrazione dell’italiano. Allora nessuna Lega pensò di differenziare i ragazzi. Nessun ministro italiano immaginò mai di separare i piemontesi dai calabresi, i lombardi dai siciliani, i veneti dagli abruzzesi. Eppure quella era un’Italia nettamente divisa in classi, piena non solo di differenze linguistiche ma di diseguaglianze sociali. Ma quell’Italia non fu mai razzista, non fu mai “differenziata”.

L’Italia non può diventare questo proprio oggi, nel tempo che vede incrociarsi culture, popoli e persone. Noi non permetteremo che accada. Noi continueremo a credere che alla paura e anche alla sua percezione va data risposta, e che insieme va data risposta a chi arriva qui, lavora onestamente, e chiede integrazione, chiede diritti civili, chiede di poter votare, a cominciare dalle amministrative.

L’Italia è un Paese migliore della destra che la governa.

Moltiplicano l’ingiustizia in un Paese ingiusto.
Scelgono l’immobilismo in un Paese fermo.
Alimentano l’odio in un Paese diviso.
Cavalcano la paura in un Paese spaventato.

Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.

Stanno facendo dell’Italia un deserto di valori e la chiamano sicurezza.
Stanno cercando di creare un pensiero unico e lo chiamano gradimento, consenso.
Stanno calpestando principi e regole della vita democratica e la chiamano decisione.

Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.

C’è l’Italia delle 250 mila persone che con una firma si sono strette attorno ad un ragazzo di ventotto anni che rischia ogni giorno la vita e che continua a combattere contro la camorra con le sole armi che possiede e vuole usare: la passione civile, il coraggio delle idee e la straordinaria forza della scrittura, che arriva lì dove la violenza e la stupidità di uomini che non valgono nulla non arriveranno mai.

A Roberto Saviano va il grazie di tutti noi che oggi siamo qui in questa piazza.

Lo stesso grazie va alle forze dell’ordine, ai magistrati, agli imprenditori coraggiosi e alle associazioni che ogni giorno contrastano l’illegalità, resistono alla sopraffazione, tengono viva la speranza. Ad ognuno di loro va il grazie di tutti gli italiani onesti e perbene, di tutti coloro che non si rassegnano a pensare che le cose continueranno ad andare così perché così è sempre stato e nulla può cambiare.

Un’altra Italia è possibile. L’Italia della legalità, e non della furbizia. L’Italia della responsabilità, e non dell’esclusivo interesse personale. L’Italia del merito, e non dei favori. L’Italia della solidarietà, e non dell’egoismo. L’Italia dell’innovazione, e non della conservazione.

Oggi da questo luogo meraviglioso noi vogliamo far arrivare agli italiani un messaggio di fiducia.

Le cose possono cambiare. Le cose cambieranno. Non c’è rassegnazione che non possa cedere il passo alla speranza. Non c’è paura che non possa essere vinta dalla consapevolezza di sé e dall’apertura agli altri. Non c’è buio dopo il quale non venga la luce.

E allora dell’Italia tornerà a vedersi tutto il meglio. La civiltà di un popolo che sa accogliere ed includere. La creatività e il talento di generazioni di donne e di uomini che hanno sempre cercato il nuovo. Il coraggio di chi ha traversato il mare, di chi ha lasciato la propria terra per lavorare e fare più ricco il Paese. La tenacia di chi ha rischiato per fare impresa e di chi si sacrifica per difendere legalità e sicurezza.

E’ la nostra meravigliosa Italia. Quella che è stata e quella che può essere. Quella che sarà con il nostro lavoro, il nostro coraggio, la nostra voglia di futuro.

Un’altra Italia è possibile. La faremo insieme.
wwww.partitodemocratico.it

venerdì 24 ottobre 2008

25 ottobre

Veltroni lancia il suo 25 ottobre
"Berlusconi? Scese in piazza anche lui"

"In Italia clima pesante, anche nei giornali c'è aria da pensiero unico"
"Scuola, lavoratori, piccole e medie imprese. Il governo sa solo illudere"


Veltroni lancia il suo 25 ottobre "Berlusconi? Scese in piazza anche lui"
ROMA - "Il centrosinistra smetta di guardarsi l'obelico e torni ad occuparsi dei problemi veri". "E' stato Di Pietro a rompere con noi, non viceversa. Ma alla Vigilanza continueremo a votare Orlando" "In Italia c'è un'aria di piombo, basta guardare il comportamento dei media". "Se Obama vincerà, cambieranno molte cose anche in Europa". Alla vigilia della manifestazione del 25 ottobre, nella quale si gioca molto, il leader del Pd è determinato a rilanciare. Sé stesso e il suo partito. E lo fa in un lungo videoforum a Repubblica tv.

Sul caso del giorno, la rottura con Antonio Di Pietro, il segretario democratico denuncia che c'è stato "un singolare rovesciamento dei fatti". Perché, dice Veltroni, non è stato lui a rompere con l'ex pm, ma viceversa: "Non ha fatto il gruppo unico, come si era impegnato a fare, e da mesi attacca in modo permanente il Pd. Può capitare a tutti di essere ingannati. E Di Pietro, forse, lo ha fatto con noi".

Il leader del Pd lascia comunque aperto uno spiraglio. Intanto conferma il voto per Orlando alla Vigilanza ("Non si possono accettare pregiudiziali"), poi aggiunge: "Spero che torni ad avere le posizioni che aveva quando firmò il nostro programma". Ma intanto, sottolinea, bisogna smetterla con "l'idea tatticista per la quale le alleanza vengono prima di tutto. Prima la politica, i programmi, i problemi delle persone. Poi le alleanze".

Quindi, i temi concreti. Scuola, lavoro, crisi economica. Ma anche la qualità della nostra democrazia. Perché, secondo Veltroni, "c'è un'aria che si fa irrespirabile. Un'aria di piombo. Una sensazione di pensiero unico che si diffonde. A partire dai giornali, che in maggioranza hanno perso la soglia critica"

Non a caso, negli studi di Repubblica tv, il segretario democratico si chiede: "Che fine ha fatto tutta la campagna nei confronti della casta? Finché c'era Prodi, non si parlava d'altro. Ora? Eppure la corruzione non è finita, la legalità in tante parti è in crisi, gli sprechi resistono".

Sulla scuola Veltroni difende le proteste di questi giorni e attacca la Gelmini. "Il maestro unico - dice - è l'ennesima puntata della strategia di nascondimento della realtà di Palazzo Chigi. Il Paese si sente insicuro, e vede il futuro con incertezza? Bene, allora diamogli il maestro unico, che altro non è che l'illusione del ritorno ai bei tempi andati. Magari per coprire il fatto che a giugno 70mila ricercatori rischiano di andare per strada".

Anche sull'economia il governo non convince. "Adesso - spiega Veltroni - tutti sono convinti che lo Stato deve intervenire. Ma in Italia quando si dice Stato non si dice una entità neutra, ma si dice partiti. Io temo che ci sia il rischio di una eccessiva invadenza". Poi lancia l'allarme: "Questa situazione può lasciare sul terreno due vittime, di cui il governo non sembra occuparsi più di tanto. Le piccole e medie imprese e i lavoratori"

Mentre Veltroni parla a Repubblica, Berlusconi torna da Napoli ad attaccare la manifestazione del 25: "Non si risolvono in piazza i problemi del Paese. Dicono solo bugie, noi non faremo risse con chi blatera e farnetica". La replica è secca: "E' lo stesso essere umano che due anni fa parlava da un palco a piazza San Giovanni avendo organizzato una manifestazione contro il governo Prodi. Se lo fa lui va bene, se lo facciamo noi no?. Ma la democrazia, il premier deve capirlo, è fatta così. Si va in piazza e si manifesta".

Del resto, l'appuntamento con il corteo del 25 è per Veltroni uno snodo decisivo verso le prossime scadenze e per i rapporti di forza all'interno del suo partito. Il leader è ottimista: "La manifestazione confermerà che il Pd non solo c'è, ma è in buona salute. Andremo al Circo massimo, a Roma, un luogo vastissimo. Non credo che nessun altro partito possa scegliere la stessa piazza con la certezza di riempirla come faremo noi".

E' lo stesso ottimismo che il segretario democratico professa, al di là dei sondaggi, per il Paese. "Credo che l'Italia sia meglio delle fotografie che lo rappresentano giorno per giorno. I sondaggi valgono nell'imminenza di un voto, per il resto non contano nulla". Lo dimostra, conclude Veltroni, la vicenda di Obama negli Usa: "Dicevano che non ce l'avrebbe mai fatta, mentre ora è sulla soglia della Casa Bianca". E se ci arrivasse, Veltroni ne è convinto, cambierebbero molte cose. Anche in Europa. "Il segnale simbolico sarebbe fortissimo dall'America si può cominciare a sconfiggere la paura, e ricominciare a sperare".

(21 ottobre 2008)

mercoledì 22 ottobre 2008

EXPO 2015

Partito Democratico

Area Metropolitana Milanese


 

COMUNICATO STAMPA


 

EXPO 2015 IN RITARDO


 

EZIO CASATI:


 

"Berlusconi e la Lega se ne fregano di Milano, e intanto il

ritardo per l'Expo è imbarazzante e vergognoso.

Il PD milanese incalza il Governo"


 

"Berlusconi e la Lega se ne fregano di Milano, e intanto il ritardo per l'Expo è

imbarazzante e vergognoso. Il PD milanese incalza il Governo alle proprie

responsabilità". Così Ezio Casati, segretario metropolitano del PD,

rilancia la denuncia delle gravi inadempienze del Governo di

centrodestra nei confronti di Milano.


 

"Mi congratulo con il circolo 02PD e i suoi giovani animatori - dichiara il

segretario metropolitano Ezio Casati - per l'iniziativa promossa oggi in

Galleria e davanti a Palazzo Marino. Il totem col countdown sui mancati

impegni del Governo è veramente emblematico: 140 milioni a Catania, 500

milioni a Roma, e nulla a Milano, anzi 150 milioni in meno ed un ritardo sul

decreto per avviare l'Expo che raggiunge i 202 giorni".

"Bene hanno fatto il sindaco Moratti, il presidente Formigoni e il presidente

Penati - conclude Ezio Casati – ha inviare una missiva al Governo. Il Comune

dopo tutti gli appelli del Partito Democratico si è reso conto che così non

va…Questo federalismo alla rovescia della Lega e di Berlusconi, blocca ogni

possibile sviluppo di Milano e del nord. Occhi aperti e orecchie spalancate,

non si vede e non si sente nulla, questo centrodestra è vergognoso e

imbarazzante".


 


 

Milano, 20 ottobre 2008

domenica 19 ottobre 2008

Caloroso invito alla mobilitazione

Milano, 17 ottobre 2008


Carissime democratiche, carissimi democratici,

volevo chiedervi un ultimo sforzo di generosità, di impegno e di testimonianza.

Per la manifestazione del 25 ottobre abbiamo registrato già una buona adesione, ma io vi chiedo, in questi ultimi giorni che ci separano dall'iniziativa di Roma, di rilanciare con forza la proposta, allarghiamola a chi è vicino a noi, coinvolgiamo in questa manifestazione di popolo la maggior parte di persone possibile.

Ho visto che alcuni territori non hanno ancora risposto come ci aspettavamo, certo chiediamo a tutti di aggiungere un impegno a chi già ne ha molti, ma, se vogliamo difendere il nostro Paese, la nostra gente, i valori in cui crediamo, la nostra storia e soprattutto il nostro futuro dobbiamo essere a Roma in tanti, ci vediamo al corteo.

Con amicizia



Gabriele Messina///// Ezio Casati

segreteria PD metropolitano milanese /////segretario provinciale PD metropolitano milanese



Per informazioni scrivete a 25ottobre@pdmilano.net oppure telefonate al numero 02.66.71.02.96

martedì 14 ottobre 2008

Veltroni conferma:

il 25 ottobre manifestazione Pd

contro governo

Dopo che nei giorni scorsi aveva evocato la possibilità che il suo partito non scendesse in piazza a fine mese contro il governo, se la crisi finanziaria globale si fosse aggravata, oggi il segretario del Pd Walter Veltroni ha confermato la protesta di piazza.

"La manifestazione del 25 si farà, sarà una grande festa di popolo. Sarà la prima volta nella storia d'Italia che il centrosinistra e i riformisti vanno in piazza tutti insieme, non è mai accaduto prima. Sarà una manifestazione di opposizione, di una grande forza di opposizione che però parla il linguaggio della responsabilità e che si prepara a essere alternativa in questo paese", ha detto questa mattina Veltroni in un'intervista in diretta a YouDem, la nuova tv satellitare legata al Partito democratico.

"Sarà una manifestazione che parlerà delle cose che riguardano la vita delle persone, a cominciare dalla scuola, dal lavoro, dall'impresa, dalla sicurezza, dai problemi dell'integrazione contro ogni forma di xenofobia e di razzismo, dalla difesa dei valori costituzionali e a partire dall'antifascismo, dalla difesa della legalità".

mercoledì 8 ottobre 2008

Un brano di Tocqueville, inquietante ma attualissimo


 

Newsletter del Consigliere Regionale F. Prina (n.29 del 24.09.2008)

QUALE DEMOCRAZIA?

Alexis de Tocqueville, grande teorico del pensiero politico, già nell'800 preannunciava i limiti insiti nel metodo democratico e le sue possibili degenerazioni.

Gli eventi storici del '900 ne sono stati la manifestazione concreta: le forme di totalitarismo in genere quali fascismo, nazismo, comunismo, hanno confermato i suoi pensieri.

Per le società democratiche nessun periodo è immune da questo pericolo.

Anche il momento storico che stiamo vivendo deve farci riflettere: in quale direzione stiamo andando?

Vi allego queste poche righe dell'autore, pubblicate sul n. 3 di "La città possibile", affinchè possono essere il punto di partenza per una riflessione comune, invitandoVi ad inviare i Vs. commenti per un reciproco scambio di opinioni.

"… Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro.

In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso.

Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare.

Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti.

In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri … Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso.

Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto!

Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati (…).

Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo".

SALVA L'ITALIA - Salari, stipendi, pensioni, crescita economica: Cosi non va ! Stampa E-mail
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martedì 7 ottobre 2008

Una riflessione….

Una riflessione sulla questione del razzismo di fronte ai recenti drammatici fatti di violenza ed intolleranza.  

"In queste settimane si è aperta, a fronte dei recenti e drammatici fatti di cronaca, una riflessione sulla convivenza a Milano e in tanta parte del Paese che si domanda se la nostra sia una società razzista o meno. Temo che, posta così, la questione rischi di essere fuorviante, di prestarsi a risposte semplicistiche ed autoassolutorie. In sostanza credo sia sbagliato definire la nostra una società razzista ma ciò non significa che questo sia un dato acquisito per sempre e che non sia giusto guardare con allarme e preoccupazione a ciò che sta avvenendo. Insomma Milano non è razzista ma qui la convivenza è in crisi e la politica, tutta la politica, deve assumersi la responsabilità di una riflessione e di una iniziativa non propagandistica. Credo ci siano due dati da cui partire. Il primo è che di fronte alla crisi economica e alla crescente insicurezza nel futuro, alla solitudine in cui tante e tanti si trovano a vivere le difficoltà del quotidiano, in assenza di risposte da parte della politica trova terreno fertile la propaganda di chi, come una parte della destra italiana, tende a scaricare tutte le responsabilità, il disagio, le angosce su chi in maniera visibile rappresenta la diversità. Così l'immigrato diventa di volta il responsabile dell'insicurezza, della mancanza di lavoro, dei salari bassi, del non funzionamento della scuola o della sanità, comunque il nemico . E' chiaro che questo messaggio ripetuto ossessivamente ed in assenza di risposte concrete ai problemi reali diventa pericoloso, un messaggio semplice con cui la destra italiana si deresponsabilizza di fronte ai problemi sociali, ma anche un messaggio che diffonde le tossine della intolleranza e della paura del diverso, della chiusura e della necessità di difendersi. Il secondo dato che emerge dai fatti di questi giorni è forse meno scontato nella discussione di questi anni e occorre coglierlo subito  perché, anch'esso, rischia di rompere, frantumare la nostra società, mettere in discussione principi di convivenza dati per acquisiti. Nello stesso clima di incertezza, paure e solitudini cresce la disponibilità a farsi giustizia da soli, viene meno il rifiuto della violenza ci si sente legittimati a risolvere i problemi con le spranghe o le mazze da baseball, la vita dell'altro perde di valore. E' chiaro che il quesito sul razzismo, se sono giuste queste riflessioni, rischia di essere riduttivo, di semplificare senza farci cogliere tutti i pericoli e di sollecitare una discussione inutile che si trasforma immediatamente nella esibizione di armamentari propagandistici che possono solo peggiorare le cose. Credo invece serva un confronto molto serio in cui la politica si assuma a pieno la responsabilità di invertire questa tendenza, senza cercare scorciatoie, senza giustificazionismi che strizzano l'occhio agli istinti peggiori, smettendo di fare propaganda sui temi che riguardano la convivenza. Ma anche, e questo riguarda soprattutto noi, respingendo la tentazione di dividere il mondo in buoni e cattivi, di sentirci giusti e solidali senza cogliere la necessità di assumere a pieno il tema di cogliere le paure degli italiani, dando loro speranza, facendosi carico dei problemi reali e quotidiani che vivono, proponendo una idea di convivenza che non si riduca ad un elenco di principi giusti ma si misuri col quotidiano delle persone per tradurre concretamente questi principi."

Da: Mirabelli Franco [mailto:franco.mirabelli@consiglio.regione.lombardia.it]

giovedì 2 ottobre 2008

Incontro Federalismo 3 ottobre

Care amiche e amici democratici,

vi segnalo un’iniziativa di cui forse avrete già visto l’invito che mi sembra molto importante e significativa in questo momento, perché la riforma relativa al federalismo nel nostro paese sta arrivando a un punto decisivo.

Quindi è importante che tutti noi ci facciamo un’opinione molto precisa in merito ai contenuti, alle cifre e anche alle conseguenze positive o negative che il federalismo avrà a seconda di come verrò realizzato.

Il PD crede nella riforma del federalismo, ma le proposte non sono tutte uguali e il PD ha sue idee ben chiare da confrontare con le altre.

Per questo sottolineo l’importanza di una conoscenza approfondita e credo che l’incontro possa essere molto utile.

Un caro saluto,

Patrizia Toia


Vi ricordiamo l’incontro di VENERDI’ 3 OTTOBRE, ORE 18, presso la SALA DELLE COLONNE della BPM di VIA SAN PAOLO 12 in MILANO:

FEDERALISMO. A CHE PUNTO SIAMO?

Saranno presenti Roberto CALDEROLI, Ministro per la Semplificazione, Sergio CHIAMPARINO, Ministro per le Riforme del Governo ombra, Roberto FORMIGONI, Presidente Regione Lombardia, Filippo PENATI, Presidente Provincia di Milano. Introduce e coordina Maurizio MARTINA, Segretario PD Lombardia.

mercoledì 1 ottobre 2008

dal Partito Democratico metropolitano milanese


 


 

Mettiamocela

tutta!


 

Care Democratiche e cari Democratici,


 

sabato 25 ottobre si terrà a Roma la manifestazione


 


 

SALVA L'ITALIA


 


 

organizzata dal Partito Democratico.

È un appuntamento importantissimo a cui dobbiamo dare il nostro massimo contributo, sensibilizzando il maggior numero di persone per garantire una grande partecipazione!

Vi chiediamo di impegnarvi in ogni modo per raggiungere un risultato che potrebbe davvero rappresentare una svolta nel nostro percorso.


 

E dunque, mettiamocela davvero tutta!


 

Informazioni utili


 

Come Partito Democratico metropolitano milanese stiamo organizzando dal punto di vista logistico gli spostamenti: da Milano partirà un treno per tutti quelli che fanno riferimento ai Circoli di Milano città.

Per i Circoli della Provincia verranno noleggiati alcuni pullman; è dunque è necessario raccogliere al più presto le adesioni per poter garantire a tutti il posto.

La quota di partecipazione è per tutti di 20 eu.

Siamo a disposizione per chiarimenti, aiuti, informazioni, utili a coadiuvare il lavoro dei Circoli nella promozione e nell'organizzazione della manifestazione.

Abbiamo attivato un indirizzo mail a cui potrete far riferimento:

25ottobre@pdmilano.net

Oppure potete contattare il numero di telefono:

0266710296

Un caro saluto a tutti e buon lavoro

Ezio Casati, Segreterio PD metropolitano di Milano

Gabriele Messina, Segreteria PD metropolitano di Milano