lunedì 3 febbraio 2014
Primarie per la Segreteria Regionale il 16 febbraio
I CANDIDATI:
Diana De Marchi http://www.blogdem.it/pdlombardia/files/2014/01/Biografia_PRIMARIEREGIONALI_DianaDeMarchi1.pdf
Alessandro Alfieri http://www.blogdem.it/pdlombardia/files/2014/01/Biografia_PRIMARIEREGIONALI_AlessandroAlfieri-3.pdf
A Pessano con Bornago il seggio sarà presso la sede del Circolo PD in Via Negroni, 4
per info: cell. 3293619685
sabato 1 febbraio 2014
Le tre bugie dei Cinquestelle sul decreto Bankitalia
La
Banca d'Italia deve restare pubblica? Falso, aveva già
capitale privato.
È
stato fatto un regalo alle banche? Falso, hanno coperto
l'abolizione della seconda rata Imu e ora pagheranno un extragettito
sulla rivalutazione delle quote.
Le
riserve della Banca sono dello stato? Falso, sono di via
Nazionale
Immaginare di
distinguere se c’è malafede o ignoranza in Grillo e nei
Cinquestelle rischia di essere uno sforzo inutile. In questi giorni
hanno ripetuto che con il decreto Imu-Bankitalia si è fatto un
regalo alle banche ai danni dei cittadini, si è privatizzata la
Banca d’Italia e soprattutto si sono sottratte alla disponibilità
dello stato le riserve auree di Bankitalia. E’ davvero così?
In realtà il decreto cambia poco o nulla nella gestione della
Banca senza contare che la rivalutazione del patrimonio ha più un
effetto contabile che non economico. Una differenza che,
evidentemente, il M5S non riesce o, peggio, non intende cogliere. Ma
andiamo con ordine.
1. Beppe Grillo
ha sostenuto ancora oggi che «la Banca d’Italia è degli italiani
e deve restare pubblica»; ma è vero che la Banca con il
decreto 133, convertito in extremis in legge dalla camera, è stata
privatizzata?
No, anzi la
questione va rovesciata. Il capitale della Banca d’Italia era già
prima del decreto nelle mani dei privati, ovvero delle banche che un
tempo, quando Grillo si guadagnava di che vivere come comico, erano
pubbliche mentre ora sono private. Quel capitale, fermo al valore
nominale di 156mila euro fissato nel 1936 è stato con il decreto
solamente rivalutato.
Dunque, se Grillo &
Co. volessero nazionalizzare la Banca, il Tesoro dovrebbe incamerare
tutto il maggior valore attuale delle azioni di via Nazionale ed
effettuare un esproprio che comporterebbe un indennizzo ai soci
privati, come previsto dalla legislazione italiana, compreso tra i 5
e i 7,5 miliardi. Miliardi che il Tesoro non ha e che andrebbero
trovati presumibilmente presso i cittadini. L’esatto contrario
di quanto sostiene il M5S.
La Banca d’Italia
è semmai riconosciuta come «istituzione dello stato italiano»
motivo per il quale la nomina del Governatore avviene con decreto del
presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio
dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca
d’Italia. È quindi, e non da oggi, un istituto di diritto pubblico
con capitale privato. In linea peraltro con la Banca centrale europea
che è un’istituzione pubblica, il cui operato è regolato dai
trattati, il cui presidente è nominato dall’insieme dei
governi nazionali e il cui capitale sociale è ripartito tra le
banche centrali europee.
2. È vero quanto
sostengono i grillini che «la rivalutazione delle quote significa un
regalo enorme ai soci della nostra banca centrale, ossia alle banche
e alle assicurazioni private»?
No, e il motivo è
presto detto. Oggi per effetto dei processi di aggregazione avvenuti
nel mondo bancario oltre il 50% del capitale della Banca d’Italia è
concentrato nelle mani di due gruppi bancari: Intesa San Paolo e
Unicredit. Esistevano, già prima del decreto, clausole che
impedivano ai controllati di controllare il controllore e con il
decreto che impone alle banche di vendere la quota di partecipazione
alla Banca d’Italia eccedente il limite del 3%, al fine di
garantire un’azionariato polverizzato, ciò sarà anche rafforzato.
Cambierà dunque
qualcosa nell’influenza degli azionisti sulla Banca d’Italia? Non
cambierà nulla perché i soci non hanno alcun diritto sulle riserve
valutarie e auree. O meglio, fino ad oggi i quotisti della Banca
venivano remunerati con al massimo 70 milioni l’anno anche se
sulla carta potevano essere destinatari fino al 4% delle riserve
auree.
Con il decreto
appena approvato i soci perdono quel diritto che varrebbe alcuni
miliardi, mentre la remunerazione ordinaria potrà salire fino a 450
milioni l’anno. Ed è questo, semmai, l’effetto economico (non
più contabile) per il Tesoro. Infatti fino ad oggi la remunerazione
che non andava alle banche confluiva al Tesoro, mentre alzando il
tetto della remunerazione ordinaria al Tesoro andrà un minor flusso
di denaro che, in ogni caso, sarà compensato dalle tasse sulle
plusvalenze che le banche dovranno versare a causa della
rivalutazione delle loro partecipazioni. L’ammontare stimato è di
900 milioni di euro per tre anni. Semmai il tema che qualcuno
solleva è nel lungo periodo. Per Natale D’Amico, già Banca
d’Italia oggi consigliere della Corte dei conti, le perplessità
riguardano gli effetti nel lungo periodo sulle entrate del Tesoro.
Non solo, se si
considera che con il decreto Imu-Bankitalia – e questo è uno dei
motivi della singolare commistione di temi in un unico provvedimento
– l’abolizione della seconda rata Imu 2013 per la prima casa è
stata finanziata portando a quasi il 130% l’acconto Ires e Irap
versato a fine anno per banche e assicurazioni è difficile pensare
che agli istituti di credito sia stato fatto un regalo.
Semmai l’effetto
del decreto sul patrimonio delle banche è ancora contabile perché
rendendo commerciabili le quote della Banca d’Italia le aziende di
credito bancarie potranno rafforzare il loro patrimonio. Patrimonio
che, è bene ricordare è oggi più fragile avendo incorporato molti
titoli di stato italiani per “salvare” il paese dalla bancarotta
(negli anni in cui Grillo se la prendeva ancora solo con le industrie
e non con i politici) ma anche molte sofferenze (ovvero crediti che
difficilmente rientreranno in banca) dovute alla crisi. Un
rafforzamento del patrimonio bancario, consentendo agli
istituti di credito di essere più solidi patrimonialmente
anche alla luce dei criteri di Basilea 3, faciliterà la concessione
in futuro più prestiti. Se questo avverrà o no non lo si può
sapere oggi e sarebbe un processo alle intenzioni. Semmai qui c’è
il tema del merito di credito, concetto che però i grillini non
sembrano afferrare almeno per il momento.
3. È vero che le
riserve auree della Banca d’Italia sono dello stato, come
sostengono i grillini, e non della Banca d’Italia?
Falso. Le riserve
auree sono nella disponibilità delle banche centrali. Non solo in
Italia ma in tutte le banche centrali europee. Lo prevede lo statuto
della Banca centrale europea ma anche i trattati europei e, questo,
per sancire l’autonomia dell’operato delle banche centrali
rispetto a quello dello stato. Anche se c’è stato in Italia chi in
passato in maniera più raffinata, e ora Grillo, in un assalto tanto
isterico quanto giacobino, ha tentato e tenta di metterci le mani.
Ed allora i 7,5
miliardi utilizzati per la rivalutazione delle quote di Bankitalia
rispetto ai valori di mercato presi dalle riserve auree della Banca
d’Italia sono della Banca d’Italia e non dello stato italiano.
Via Nazionale prende dalle sue riserve come una qualsiasi altra
società per aumentare il capitale, non i soldi degli italiani.
http://www.europaquotidiano.it/2014/01/31/ecco-le-tre-bugie-dei-grillini-sul-decreto-bankitalia/
PER SAPERNE DI PIU': http://www.giancarlogiudici.it/pensierino.htm
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