sabato 3 maggio 2008

Elezioni 2008: sconfitta, non Caporetto

Adesso è l'ora di insistere, sulla via riformista e sulla differenza tra Partito Democratico e destra


 


 

di Vincenzo Ortolina


 

"Consummatum est"! Non credevo nel miracolo, anche perché non ho mai pensato che Dio abbia tempo e volontà per intervenire nelle vicende politico-partitiche. E tant'è.


 

Speravo vagamente in quel pareggio che molti indicavano possibile al Senato. Eppure non credevo che Berlusconi bleffasse, quando diceva di sentirsi molto tranquillo sul risultato. Le condizioni di partenza, del resto, erano tragiche, per il centrosinistra: due anni di pura demonizzazione e di presentazione caricaturale dell'attività, invero complessivamente non negativa, di Prodi e del suo governo da parte dei media del padrone di Mediaset (ahi, il conflitto di interessi! Ora sarà vietato parlarne?), litigi continui nella maggioranza, condono gestito male, la vicenda Alitalia strumentalizzata dalla destra, il rincaro pesante dei prezzi (a cominciare dalla benzina e dal gasolio, fino al gas e alla corrente elettrica, che hanno influenzato negativamente gli stessi prezzi degli alimentari), la monnezza napoletana, corredata da un'ingiustificabile resistenza di Bassolino, Iervolino e compagnia briscola, e, come se non bastasse, persino la vicenda della mozzarella di bufala. Insomma, un po' a torto (molto, secondo me) e un po' a ragione (poco, sempre secondo me), sul governo Prodi sono stati scaricati tutti i problemi italiani degli ultimi quindici anni almeno, compresa l'immigrazione.


 

A parere di non pochi dei nostri, tuttavia, alla fine – dati alla mano - non sarebbe in realtà andata male, per il PD. Ma se è sotto il 34% a livello nazionale (e in Lombardia sotto il 30), non c'è da entusiasmarsi: è più o meno il risultato di DS e Margherita riuniti sotto il vessillo dell'Ulivo nel 2006. Ma intanto la sinistra radicale è stata svuotata (anche per colpa sua, per carità!), e noi non abbiamo dunque preso i suoi voti, se non in misura assai modesta. E ci terremo probabilmente l'Unto del Signore per un altro bel po' di anni, affrontandolo con un centrosinistra complessivamente ridimensionato in modo significativo. Siamo caduti in piedi? Vero. Però abbiamo le armi spuntate e, temo, siamo più fragili di prima.


 

Intendiamoci, viva l'impronta riformista che Veltroni in particolare ha impresso al partito! Su questo, certamente, non si può tornare indietro. Anzi, bisogna insistere per riuscire a dialogare (soprattutto nel nord) con quel centro che, per l'ennesima volta, ha preferito Berlusconi. Tuttavia, tornando alla citata sinistra, io considero che sia una iattura averla fuori dal parlamento: era giusto distinguersi da essa ma non c'era bisogno di demonizzarla, come in qualche occasione abbiamo fatto. Avremmo dovuto, più semplicemente, far capire che noi ci differenziamo dalla stessa per la nostra vocazione maggioritaria e di governo, pur non disprezzando alcuni riferimenti valoriali cui essa si ispira, che sono anche nostri. Certo, col senno di poi è tutto più semplice. Ma riflettere su ciò che si è scelto di fare (senza la presunzione di non aver sbagliato niente) non può che essere utile.


 

Forse stiamo arrivando sin troppo in fretta a quel bipartitismo che piace tanto ai poteri forti. E che certo semplifica le cose, almeno in apparenza. Ma la realtà – quella italiana in particolare – è molto più complessa, e se rendere il sistema più semplice e snello è utile, oltre che necessario, io credo che la riduzione forzosa a due partiti può rivelarsi un eccesso, qualcosa di cui forse ci pentiremo. E' meglio, per esempio, avere le ali più estreme dell'arco costituzionale in parlamento, dentro un impianto di regole, o escluderle, e lasciare che facciano politica solo nelle piazze? Nessun allarmismo, per carità. Solo un dubbio, un dubbio che mi pare legittimo.


 

Perplesso sul bipartitismo, resto per il bipolarismo. Difficile, in questa fase storica, pensare a significativi terzi poli, in Italia, come confermato dall'elettorato. Per esempio, l'Unione di Centro di Casini (che aveva inglobato, se non cannibalizzato, la Rosa Bianca di Tabacci e Pezzotta) ha tenuto a stento i suoi elettori senza rubare un solo voto al Popolo della Libertà. Semmai, ne ha rubato qualcuno nell'area degli ex popolari del PD. Allora è del tutto evidente che l'idea di Casini di rilanciare un nuovo centro in grado di essere l'interlocutore politico di PDL e PD si è rivelata del tutto velleitaria (e per questo ha fallito). Certo, l'UDC può considerarsi salva: entrerà in parlamento con 3 senatori e 34 deputati, e vista l'aria che tira, c'è da esserne contenti. Ma quanto ha pesato sul risultato l'effetto Cuffaro, ovvero il compromesso in Sicilia con ambienti tutt'altro che cristallini?


 

Una riflessione a parte meriterebbe la questione dell'aggettivo cristiano e della croce dentro il simbolo di partito: simboli di una connotazione passata che sembra aver esaurito il suo storico e glorioso compito. Insomma, per dirla in modo più prosaico, simboli che hanno smesso di mietere consensi facili, diversamente da quanto talune gerarchie ecclesiastiche ancora speravano. All'amico Pezzotta, mi piacerebbe rivolgere una domanda: non sarebbe stato meglio contribuire a rafforzare il PD in questa fase? E' vero, il rischio sarebbe stato quello di non trascinare i propri elettori nel nuovo partito, vista anche la presenza dei radicali che, a conti fatti, mi pare essere stata ininfluente o quasi. Però, sempre ragionando col senno di poi, e guardando agli odierni risultati, non sarebbe valsa la pena di correrlo, quel rischio? Io credo di sì. Tutti sappiamo (e lo sa anche Pezzotta) che la presenza dei cattolici democratici è fondamentale nel PD, sia in termini valoriali sia, mi ripeto, per riuscire a parlare a quel centro che appare sordo ai nostri appelli. Penso che, per tutti i cattolici democratici, sia giunto il momento di accettare una grande sfida: quella di esserci, di crescere e di affermarsi dentro un partito di massa, nel quale obbligatoriamente dovranno convivere alcune diversità culturali. Accade in tutte le grandi democrazie. Perché non in Italia?


 

In conclusione, a parte il clamoroso caso Sicilia (con le pur brave Finocchiaro e Borsellino umiliate dal discusso e discutibile Lombardo), a me sembra che il risultato elettorale ci faccia vedere più di prima due Paesi diversi: c'è l'Italia egoista, un po' razzista, antipolitica, quella della pancia, quella che ritiene che le tasse siano semplicemente un furto da parte dello Stato, quella dell'identità cristiana un po' di facciata, quella che difende il proprio benessere e che teme gli assalti dello straniero. Ecco, per questa Italia molto conservatrice e manichea anche il cardinale Tettamanzi è un comunista, solo perché parla di accoglienza, umanità, apertura all'altro da sé. Personalmente, non sono convinto che con questa Italia sia possibile dialogare, pur con tutta la voglia riformista che possiamo avere. Però è questa l'Italia che ha vinto, quella della destra e della Lega.


 

E' dunque obbligatorio chiedersi perché. Cos'ha spinto la gente a fidarsi, ancora, di Berlusconi e di Bossi? Viene in mente la sicurezza, la fiscalità e le infrastrutture per lo sviluppo.


 

Sulla sicurezza, è indubbio che il centrosinistra, per molto tempo, abbia quasi negato l'esistenza del problema imputando semplicemente ai cittadini sentimenti razzisti ed egoisti. Poi, la parte riformista della nostra coalizione (dalle città fino al governo nazionale) ha rimediato, e ha proposto ricette concrete. Ma forse eravamo fuori tempo massimo. E forse proporre le stesse ricette della destra non paga: se non c'è differenza fra fotocopia e originale, perché gli elettori dovrebbero scegliere allo stesso prezzo la fotocopia? Allora, io credo che il nostro dovere sia quello di garantire la sicurezza nelle città, nelle periferie, nei singoli quartieri, garantirla di giorno e di notte. Ma nel contempo non possiamo abdicare alla nostra idea di nazione, un'idea aperta (con i flussi controllati, legati al mondo del lavoro) e solidale (che si occupa di chi spesso è letteralmente costretto a fuggire dal proprio Paese di origine). In sintesi, lavorare per eliminare la paura dei cittadini e non, come la destra fa da anni, alimentare la stessa paura e gli istinti peggiori delle persone a scopi elettorali. Perché parlare alla pancia dei cittadini è semplice. Ma poi, in un mondo globalizzato, come pensiamo di risolvere la gigantesca e complessa questione delle migrazioni? Con le mura medievali?


 

Sulla fiscalità, certamente c'è da riflettere: il fisco italiano appare esoso, a fronte di servizi spesso costosi e scadenti. Ma può un partito di centrosinistra riformista giustificare fantomatici scioperi fiscali o, peggio, invitare le regioni ricche a ribellarsi? Certo che no. Il nostro compito è un altro. Primo, far pagare le tasse a tutti, proprio a tutti! Secondo, abbassarle a tutti, proprio a tutti! L'ordine dei provvedimenti non è casuale, è l'unico possibile per chi, nel proprio dna, ha l'idea di giustizia sociale.


 

Sulle grandi opere che servono allo sviluppo (ma che servono anche agli italiani che tutti i giorni si spostano per andare a lavorare e che non possono metterci il doppio del tempo dei tedeschi o degli spagnoli) c'è poco da dire: su questo terreno, il divario fra riformisti e sinistra radicale è sempre stato amplissimo, direi incolmabile. Oggi, almeno formalmente, questo problema, il PD, l'ha risolto. Ora dovremo dimostrare che di averlo risolto anche nei fatti, a cominciare dalle realtà locali nelle quasi siamo al governo.


 

In conclusione, no a inciuci sulla politica quotidiana con questa destra!
Sulle regole, invece, forse si può e si deve. Forse. Ma allora muoviamoci subito, incalziamo subito la maggioranza affrontando anche il problema dei costi della politica: presentiamo subito le nostre proposte sulla drastica riduzione del numero dei parlamentari e delle loro prebende, sul superamento del bicameralismo perfetto e dunque sulla creazione del Senato delle autonomie, sulla razionalizzazione del sistema delle province intese quali enti intermedi, di dimensione adeguata, che si occupino esclusivamente delle poche materie afferenti i problemi di area vasta, ridefinendo invece la città metropolitana nelle aree quali quella milanese. Facciamo tutto questo ed altro, e facciamolo in fretta, stanando il PDL, se non vogliamo sprecare la bella occasione del Partito Democratico. Per progettare il futuro, per progettarlo oltre Berlusconi, per poter essere pronti quando e se toccherà a noi governare l'Italia. E per fare in modo che questo accada presto. Non dipende solo da noi. Ma dipende anche da noi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ortolina dice: "Sulle grandi opere che servono allo sviluppo (ma che servono anche agli italiani che tutti i giorni si spostano per andare a lavorare e che non possono metterci il doppio del tempo dei tedeschi o degli spagnoli) c'è poco da dire: su questo terreno, il divario fra riformisti e sinistra radicale è sempre stato amplissimo, direi incolmabile. Oggi, almeno formalmente, questo problema, il PD, l'ha risolto. Ora dovremo dimostrare che di averlo risolto anche nei fatti, a cominciare dalle realtà locali nelle quasi siamo al governo." Questo riflette il pensiero del PD di Pessano con Bornago? Cioè siete ad esempio a favore della Tem?