lunedì 2 giugno 2008

Analisi a freddo sulle elezioni politiche 2008

Il PD e la svolta possibile


 


 


 

di Vincenzo Ortolina


 


 

Dopo i primi commenti a caldo, è il momento di ragionare, sui risultati elettorali di aprile, stemperando la passione emotiva, per quanto possibile. Riparlandone, appunto, a mente fredda, io considero deludente l'esito della consultazione, per noi. Il PD ha infatti ottenuto, sia alla Camera sia al Senato, il 33% dei voti (più qualche decimale), quattro punti in meno del PdL. Ma la coalizione di centrodestra, comprensiva dunque della Lega più gli altri piccoli partiti, con quasi il 47% dei voti ha battuto la nostra (PD più Di Pietro) di ben 9 punti percentuali. Un ….abisso, diciamocelo, anche se si tratta, per il Partito democratico, del risultato più alto del riformismo italiano, come ci ricorda Veltroni. Ma non eravamo ad un'incollatura dai battistrada, come c'è stato detto, con un crescendo rossiniano, durante l'intera campagna elettorale? Oppure, qualcuno bluffava? Era in proposito evidente dall'inizio che, per vincere le elezioni (e non badare soltanto al risultato del nostro partito), si doveva fare la corsa non sul solo Popolo della libertà, ma su questo più i suoi alleati. E sapevamo che era pressoché impossibile riuscirvi. Ecco perché non mi sento di ironizzare troppo su chi, anche in casa nostra, ha parlato di suicidio programmato. E' pur vero che, volendo sommare, in un esercizio puramente retorico (visto come sono andate le cose), anche i voti ottenuti dalle altre liste della vecchia coalizione di centrosinistra, arriviamo ad una percentuale di poco superiore al 40%, marcando dunque una contrazione significativa rispetto al 2006.


 

Possiamo allora davvero considerare l'esito di aprile, come è stato pur detto, una sconfitta elettorale ma non politica, e comunque una vittoria morale per il Pd?
Concedetemi di dubitarne. Certo, le condizioni di partenza erano disastrose: innanzi tutto, il retaggio di due anni di demonizzazione, da parte della grande stampa padronale e dei media berlusconiani (ahi, il conflitto d'interessi!), dell'attività, invero complessivamente non negativa, del governo Prodi, solo in parte giustificata dai troppi litigi nella maggioranza e da taluni clamorosi errori di partenza, quali la pletora degli uomini chiamati al governo. L'opinione pubblica ne è stata fortemente influenzata in negativo, come sappiamo. Assai discutibile però, in proposito, la sostanziale dissociazione, in campagna elettorale, del PD, che ha troppo debolmente rivendicato, nonostante ne fosse una componente fondamentale, alcune buone scelte di quel governo, che pure ci sono state, oltre alla politica di risanamento dei conti, certo impopolare, ma necessaria. Veltroni ora precisa meglio, in proposito: bene il governo, male la sua maggioranza: Ma, forse, tale messaggio non è stato espresso in modo così chiaro, a suo tempo. Poi, ancora (e forse in primis), la questione sicurezza (caro Amato, e il tuo il decreto?), indubbiamente in parte sottovalutata dal centrosinistra e invece prontamente strumentalizzata dal centrodestra, che, in non pochi casi, ha esplicitamente alimentato ed assecondato la paura, in particolare, contro extra comunitari e Rom.


 

Qualcuno dei nostri ha cercato di … rimediare al nostro ritardo, giusto a ridosso del voto, proponendo le ronde comunali, i braccialetti per le donne, e la cacciata, sic et simpiciter, di tutti i Rom. Scavalcando così a destra certa destra, e non risultando credibile. In questo clima non hanno trovato l'humus adatto, neppure nel mondo cattolico, messaggi quali quelli del cardinale Tettamanzi, che invitavano a considerare che, in realtà, noi abbiamo bisogno di andare oltre ogni forma di chiusura e di ostilità, che gli immigrati non vanno fermati col filo spinato, e che la globalizzazione (nonostante il suo lato …oscuro) dovrebbe farci toccare con mano la ricchezza delle diversità di ciascun popolo.


 

Altra evidente causa della sconfitta, l'allucinante vicenda della monnezza napoletana, corredata da un'ingiustificabile resistenza di Bassolino, Iervolino, e compagnia briscola, vicenda risultata semplicemente micidiale per il nostro risultato in Campania e in tutto il Sud. Anche qui, però, una domanda: ma il commissario straordinario è stato all'altezza (in una situazione pur pazzesca), ed ha lavorato con i ritmi giusti, se è vero, per esempio, che la Regione Toscana pare non abbia mai ricevuto il quantitativo (non indifferente) di rifiuti che si era dichiarata disponibile ad accogliere? Infine (ed è il caso di dirlo: last but non least), la questione del carovita, e l'incapacità del governo (questa sì va ammessa) di dare subito segnali concreti, utilizzando tempestivamente il tesoretto, per aumentare i salari e le pensioni più basse: troppe incertezze, lentezze e confusioni, sull'argomento!


 

Ha stravinto la destra, dunque. Che non sarà fatta certo, caro Walter, di gentaglia moralmente riprovevole, così come il nostro paese non è solo dominato dalla telecrazia. Io
non commento, qui, i giudizi di chi afferma che nelle elezioni ha in realtà prevalso quella parte del paese che ingloba anche componenti straordinariamente capaci di essere insieme, in qualche misura, il malcostume e la sua critica sgangherata (l'antipolitica), con piena soddisfazione, peraltro, del suo elettorato. Una parte che ha eccitato il malcontento contro chiunque abbia a che fare con la politica, dimenticando, ad esempio, che i privilegi di certi imprenditori e di certi manager (e non solo), anche di quelli che hanno portato al fallimento di fior di aziende, sono di norma infinitamente superiori a quelli dei politici. Difficile non concordare, comunque, sulla constatazione che, ancora una volta, Berlusconi (complimenti a lui!) è riuscito a tenere insieme le contraddizioni tra le esigenze dell'impresa di avere manodopera extracomunitaria e la xenofobia delle piccole comunità e delle periferie dei centri urbani, nonché le tensioni tra lo statalismo degli apparati burocratici e l'ultra liberismo del popolo delle partite Iva.


 

Ad una corazzata di destra
così forte (grazie soprattutto all'exploit della Lega, d'accordo), noi abbiamo contrapposto l'orgoglio del nostro partito del 33 per cento più un (relativamente) piccolo alleato, peraltro un po' scomodo. Troppo poco, invero! Ecco allora che il problema delle alleanze resta aperto. In proposito, il leader PD ha cominciato a chiarire che è ben consapevole del problema, e che non intende affatto assumere atteggiamenti d chiusura orgogliosa. Precisando però che ipotizza una coalizione fatta da un grande partito (il nostro) che rappresenti il centro di gravità di un sistema ricomprendente anche partiti minori che non contestino però in alcun modo a quello più grande dell'alleanza la leadership politica generale. Un partito che, partendo da una sua precisa identità pur se a composizione plurale, faccia valere il suo programma. Un programma necessariamente innovativo, che contempli una proposta di governo credibile e coerente, capace di dare risposte concrete alle domande del paese. Alleanze soltanto a partire dai programmi, perciò, e non più costruite sul collante dell'antiberlusconismo.


 

Bene. Ci sono, tuttavia, alcuni però: come si fa a vincere, quale che sia il meccanismo elettorale, con un'alleanza troppo lontana dal 50%? E se è giocoforza ingrandirla, con chi? Se i nostri programmi discendono, come credo debba essere, da una piattaforma ideale e politica, la stessa non può autorizzare indifferentemente qualsiasi politica e qualsiasi alleanza, a me pare. E il nostro campo non può che restare quello del centrosinistra allargato, anche se i nostri alleati a sinistra (con falce e martello o meno nel simbolo) devono superare talune posizioni ideologiche quali, per fare alcuni esempi, il no ai rigassificatori e ai termovalorizzatori o a qualsiasi nuova strada. Essi (o perlomeno quella parte di loro che non si accontenta più di posizioni di testimonianza) hanno il dovere di mediare politicamente la propria radicalità e di trasferirla come possibile sul piano dell'azione di governo. Su altri temi, ogni caso, quali l'ancoraggio ai valori della Costituzione, il rifiuto dell'eccesso di personalizzazione della politica, del presidenzialismo spinto, della svalutazione del ruolo delle assemblee elettive, mi pare non possiamo non concordare. Così come, per fare un ultimo esempio, sulla considerazione che obiettivo di una forza di centrosinistra è sì combattere la povertà anziché la ricchezza, come dice Veltroni, ma anche ridurre le troppe disuguaglianze. O no? Europeizzare la politica italiana va bene, caro Walter. C'è però un altro però: l'Italia resta un paese troppo anomalo, diverso da ogni altro del mondo occidentale avanzato. Sto parlando ovviamente del conflitto d'interessi, mi pare neppure evocato nella recente assemblea dei circoli lombardi. Alla questione, cioè, del controllo dei mezzi di comunicazione, TV e giornali, oggi troppo squilibrato a favore della destra, che così fruisce di un potere politico enorme, a dispetto di quanti affermano che i media non spostano voti. Un conflitto che il padrone di Mediaset, lo statista nuovo, ha mandato segnali di non voler affrontare seriamente, mentre si sta preparando a rioccupare la Rai. Taluno afferma tout court che occorre riformare il sistema televisivo e dell'informazione per difendere lo stato di diritto. Concordo. Certo, la destra può comunque contare naturaliter, come è stato scritto da qualche parte,
su un paradigma culturale - sostanzialmente quello del consumo - eccezionalmente attraente e affabile, avvolgente e diffuso, che potrebbe garantirle per un pezzo una superiorità non solo nei posti di comando ma soprattutto negli usi e nei costumi. Ma proprio in ragione di ciò, senza eccessi di moralismo, c'è bisogno di avere una comunicazione più pluralista e di qualità. Allora: si al dialogo istituzionale se però c'è la volontà di risolvere La questione: altrimenti facciano loro!


 

E se di riforme istituzionali dobbiamo in ogni caso parlare, incalziamo subito la maggioranza presentando le nostre proposte sull'indeludibile esigenza di riforma della legge elettorale, sulla significativa riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo perfetto e quindi la creazione del senato delle autonomie, su una profonda razionalizzazione del sistema Province, da intendersi quali enti intermedi, di dimensione adeguata, che si occupino esclusivamente di poche materie afferenti la programmazione territoriale d'area vasta, sul superamento delle stesse nelle Città metropolitane, sulla rivitalizzare del ruolo delle assemblee elettive, in particolare degli enti locali, ai quali va ricondotta la più parte di quelle competenze oggi disseminate in una pletora di società, consorzi, eccetera, sulla riduzione della polverizzazione dei comuni piccoli, sulla necessità di una chiara definizione della ripartizione delle funzioni e delle competenze dei diversi enti, per evitare doppioni e confusioni tra i diversi livelli istituzionali, sulla base dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza ed efficienza. Insomma: proposte che mirino a riportare l'ordinamento istituzionale ad una condizione di equilibrio e razionalità. Quanto alla politica quotidiana, invece, nessun inciucio, a parte una ragionevole condivisione di scelte che riguardino le emergenze.


 

Resta infine un problema: come trovare, nel nostro partito, spazi per dibattere in profondità (e dunque non nei cinque minuti delle mega assise) tutto ciò, oltre che le numerose questioni che riguardano la vita del partito medesimo. Un dibattito che potrebbe portare serenamente a dividerci tra maggioranza e minoranza. E forse questa è ormai una necessità, oltre che essere una parte decisiva della democrazia interna di un partito politico degno di tale nome. Non dimentichiamo che tante volte abbiamo rimproverato ai nostri avversari (in particolare ai partiti di Berlusconi, ieri Forza Italia e oggi Pdl) proprio l'assenza di democrazia interna, tante volte abbiamo criticato l'idea di un capo assoluto che decide mentre tutti gli altri eseguono, per quanto io condivida l'idea delle Primarie per eleggere lo stesso. Ecco, io credo che dovremmo a tutti i costi evitare questa eventuale deriva che da un lato è foriera di guai e dall'altro non fa parte della nostra storia né della nostra cultura politica. Io non rimpiango tout court i tempi dei partiti storici, dove il confronto interno diveniva esasperante e finiva per paralizzare le decisioni. Rimpiango invece la ricchezza dei quei confronti, le correnti intese come centri di elaborazione di idee, il rispetto del dissenso e delle minoranze (che un grande partito deve necessariamente contemplare). Il mio auspicio è che si possa innovare e velocizzare, ricordando e trattenendo le grandi lezioni del passato. C'è una differenza tra il vecchio e il tradizionale. Il vecchio può e deve essere superato, il tradizionale va, più semplicemente, attualizzato, perché lì dentro ci sono i valori, i nostri valori di riferimento.


 

Maggio 2008

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