venerdì 4 aprile 2008

Marina Sereni, capolista Pd in Umbria: superare le ideologie per giocare la partita della crescita

Per vincere occorre unire il paese

Insieme nelle liste operai e imprenditori, artigiani e precari


 

Nove giorni al voto.

E l'ultimo sforzo da fare per bissare una rimonta che avrebbe davvero del miracoloso.

A combattere pancia a terra, sebbene a colpi di fioretto, non solo Veltroni ma anche e soprattutto i suoi candidati.

Come Marina Sereni, deputato uscente del Pd e membro della commissione affari costituzionali della camera, oggi capolista in Umbria.

Unire il paese mettendo da parte le differenze ideologiche ormai superate dai fatti, il suo piatto per acciuffare una vittoria sulla quale il Partito democratico non smette affatto di credere.

Domanda: Davvero il Pd crede nella vittoria?

Risposta: E perché no? Berlusconi continua a fare proclami sulla sua presunta invincibilità.

Ma la verità è che ha paura.

Non a caso scappa dal confronto tv con Walter Veltroni.

D.: Perché?

R.: Perché la sensazione che si ha tra la gente è un'altra: altro che vittoria sicura del Pdl.

Si sente nell'aria l'interesse per la nostra proposta politica che ha rotto i vecchi schemi e che parla a parti di società non tradizionalmente di centro-sinistra.

D.: Se sarà pareggio cosa si farà?

R.: Niente larghe intese, non siamo in Germania.

Questo paese ha bisogno di stabilità e affidabilità della politica: va fatta la legge elettorale e le riforme istituzionali urgenti, la riduzione del numero dei parlamentari, il senato federale, vanno dati poteri più ampi al premier.

Ovvero ciò che avevamo proposto con urgenza immediatamente dopo la caduta di Prodi.

Il centro-destra ha rifiutato irresponsabilmente e si è precipitato verso una corsa ingorda al potere che non pagherà.

D.: Lei ha fatto parte della commissione affari costituzionali della camera.

L'Economist ha bocciato ancora una volta Berlusconi, ma ha mostrato diffidenza anche per Veltroni.

Come ci vedono oltre confine?

R.: Non credo che l'analisi dell'Economist sia aderente all'umore del paese, basti pensare che auspica larghe intese.

D'altra parte il Wall Street Journal ha detto chiaramente che solo Veltroni potrebbe aprire una stagione di vero riformismo in Italia.

La verità è che all'estero da una parte apprezzano la nostra autorevolezza quando facciamo missioni come in Medio Oriente o Afghanistan, ovvero proponiamo la moratoria sulla pena di morte o, ancora, ci aggiudichiamo con un virtuoso gioco di squadra l'Expo a Milano.

Ma poi non capiscono quando si tratta di casi come Alitalia.

D.: Tornando a casa nostra, quali sono le carte da giocare in quest'ultimo scorcio di campagna elettorale?

R.: Bisogna parlare a due parti diverse del paese.

La prima in difficoltà e preoccupata per il futuro.

Fatta di giovani precari o di anziani che non arrivano alla fine del mese.

Dobbiamo rassicurarla e spiegare che solo noi possiamo garantire inclusione sociale e combattere il divario tra le differenze.

Quindi dobbiamo rivolgerci al segmento più dinamico, quello che traina l'economia italiana.

Dobbiamo chiarire che il Pd propone un fisco più amico di chi intraprende, meno burocrazia, insomma il ribaltamento di vecchi schemi.

Per esempio, pagare meno per pagare tutti o un patto tra imprese e lavoratori per giocare una stessa partita: la crescita.

D.: Queste cose le promette anche la Destra…

R.: Ma Berlusconi ha già governato il paese.

E l'Italia non è cambiata.

Così come non è cambiata con le coalizioni rissose e multipartitiche degli ultimi 14 anni.

E' per questo che noi abbiamo deciso di andare da soli e fare gruppo unico al prossimo parlamento.

E poi…

D.: Dica…

R.: Proprio gli imprenditori italiani, la piccola impresa, quella parte che in passato ha guardato con più diffidenza il vecchio centro-sinistra oggi è più che mai interessata alla nostra proposta politica.

Capisce che noi siamo il nuovo e che solo il Pd può dare quella scossa di cui l'Italia ha bisogno.

Noi del resto parliamo a tutto il paese.

D.: Il famoso patto imprenditori-lavoratori?

R.: Di più.

Al di là del fatto che molti lavoratori dipendenti in questo paese di piccole imprese diventano imprenditori, crediamo che gli steccati ideologici oggi non ci siano più.

E' per questo che nelle nostre liste ci sono imprenditori e operai, rappresentanti degli artigiani e precari, insomma tutta la società italiana.

Altro che comunisti e stupidaggini simili.

Chi ragiona così non è più nella storia.

Anzi, nel futuro.


 

di Livia Pandolfi – Italia Oggi


 


 

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