martedì 11 marzo 2008

LA RIFLESSIONE….

Cattolici e politica


di Vincenzo Ortolina


Sono entrato in politica quando avevo ancora i pantaloni corti, perciò alcuni decenni fa. E avevo scelto la Democrazia Cristiana. Lo avevo fatto non solo perché, da cattolico, quello era il partito di ispirazione cristiana, ma anche e soprattutto perché la Dc era una forza politica di massa e interclassista. Raggruppava, insomma, persone con sensibilità e tendenze diverse (a volte molto diverse) che riguardavano in particolare le questioni economiche e sociali, di cui la politica si deve occupare quotidianamente. Il confronto, all'interno del nostro partito, era una necessità, oltre che un elemento di crescita: le correnti – nel loro essere, almeno inizialmente, centri di elaborazione di idee – erano dunque di destra, di centro e di sinistra. Nessuno ha mai pensato di ridurre gli spazi di democrazia interna: sarebbe stato impensabile. Così come nessuno ha mai messo in discussione l'unità, ovvero ciò che ci accomunava: l'ispirazione cristiana sulle scelte cosiddette etiche. A questo proposito, io credo sia necessario tenere presente il contesto italiano, dal momento che si trattava di un Paese in cui il sentimento religioso era ancora fortissimo. E poi, naturalmente, c'era la paura del comunismo a tenerci insieme. Era la paura di un sistema, di un impianto, di una visione del mondo totalitaria.


Quel mondo, oggi, non c'è più: si è secolarizzato nei suoi tratti distintivi e nei suoi schemi. Ed è compito ineludibile della politica interrogarsi sui cambianti, creare nuovi assetti, dotarsi (e cercare di dotare la società) di strumenti per meglio leggere il reale. La stessa Democrazia Cristiana, per esempio, è molto cambiata nei decenni: dai governi monocolore ai governi di coalizione, dal rapporto privilegiato con i socialisti all'apertura agli esecutivi di solidarietà nazionale allargati ai comunisti. La mia opinione è che le grandi forze politiche di questo Paese hanno via via smesso di farsi paura e si sono legittimate a vicenda, non solo con il consenso, ma anche con il comportamento responsabile e sanamente democratico delle rispettive classi dirigenti. E' come se, ad un certo punto, i nemici di un tempo fossero diventati, più serenamente, avversari.


Per quanto riguarda i cattolici e la loro strettissima unità sui temi etici, ci sono poi da considerare i segnali provenienti dal Paese reale, da una società che già allora cambiava più velocemente della politica. Chi, come me, ha vissuto le battaglie dei referendum contro il divorzio e l'aborto, è rimasto colpito dai risultati e, in particolare, dalle proporzioni. Se la cattolicissima Italia, trent'anni fa, respingeva con numeri incredibili il tentativo di cancellare queste due leggi, questo fatto non può lasciarci indifferenti. E questo, sia detto in termini di analisi politica, molto al di là, quindi, delle sensibilità individuali e dei convincimenti religiosi.


Per tutte queste ragioni, rifare la Dc, oggi, non ha più senso. Dirò di più, non ha senso neppure pensare a un partito nuovo, che si connoti semplicemente come cattolico: se l'unità dei cattolici è finita, è chiaro che dire 'cattolico' non può significare una categoria della politica, posto che mai lo sia stato fino in fondo. Il motivo, a mio parere, è presto detto: ci sono cattolici reazionari, o semplicemente conservatori, cioè di destra; ci sono cattolici moderati (ma la moderazione come metodo dovremmo condividerla tutti), cioè di centro; ci sono infine cattolici progressisti, dunque di sinistra. E allora, i cattolici impegnati in politica possono tranquillamente dividersi, senza che questo sia vissuto come un dramma, e senza che qualcuno, strumentalmente, cerchi sempre di richiamare i cattolici sotto il proprio ombrello, nella convinzione di poterli rappresentare ancora tutti.


Si potrebbe anzi dire che la fine della stagione dell'unità dei cattolici in politica sia un bene o, comunque, una conquista. Oggi, i cattolici sono più liberi: possono impegnarsi in politica portando nel partito che hanno scelto la propria declinazione del cattolicesimo. Io, per esempio, da cattolico democratico (questa, sì, è una categoria politica), mi sento serenamente più a mio agio nel centrosinistra, fermo restando che sui problemi eticamente sensibili convergerei sulle posizioni del mondo cattolico. Su tutto il resto, però (economia, problemi sociali, la stessa politica estera: dunque sui temi quotidiani che investono la vita delle persone), mi sento a mio agio molto di più in una forza di sinistra che in un unico contenitore di tutti i 'cattolicesimi politici'. D'altra parte, dovrebbe essere naturale che ogni cattolico coltivasse l'ambizione di una società più giusta. In questo senso è mia convinzione che tante idee di sinistra (attenzione alle fasce deboli della popolazione, politica estera non aggressiva, confronto e dialogo, solidarietà e accoglienza dell'altro da sé) siano spesso straordinariamente cristiane. Detto questo, trovo assolutamente legittimo che altri cattolici portino in politica una visione più tradizionale, più conservatrice. La rispetto, e con essa mi confronto. Però, non è la mia. E allora non è meglio che i cattolici, insieme sui valori etici, siano portatori di tradizioni differenti dentro le forze politiche? Non sono, tali differenze, una ricchezza, un valore aggiunto? Per me, certamente sì.


Siamo chiamati – tutti, laici e cattolici di destra, di centro e di sinistra – ad affrontare problemi difficili, dentro un tempo altrettanto difficile. Per questo, secondo me, non è il momento dell'ulteriore frammentazione del quadro politico: siano, cioè, le grandi forze a fornire le risposte, a indicare le rotte. Per questo, l'iniziativa di Bruno Tabacci e Savino Pezzotta – certo apprezzabile, se non altro perché rompe il fronte berlusconiano – mi lascia scettico: temo non avrà la forza per elaborare quelle risposte, né l'autorevolezza per indicare quelle rotte. Il ricompattamento, poi, con l'UDC di quel Casini che ha sempre dato il suo avallo cattolico alle scelte sciagurate del governo Berlusconi (si pensi, solo per fare un piccolissimo esempio, alla depenalizzazione del falso in bilancio) mi lascia estremamente perplesso. Lo dico anche ai quei cattolici di centrosinistra che potrebbero trovare il raggruppamento Rosa Bianca/UDC attraente, anche a causa della loro irritazione dopo l'ingresso dei radicali nel Partito Democratico. Ma non credo (concordo con Franco Marini: si alla laicità, no al laicismo) che i cattolici del Pd debbano sentirsi minacciati dalla concessione di nove posti da parlamentare (su circa trecento) a Emma Bonino & Co.


Ricordo sommessamente, peraltro, che non vi furono polemiche pesanti come quelle di oggi (neppure da certa stampa vicina alla Chiesa e alle sue gerarchie), quando i radicali strinsero un'alleanza con Silvio Berlusconi. Infine, un dubbio: non hanno forse fatto più danni alla morale cattolica tutti questi anni di edonismo, di consumismo, di relativismo spinto, celebrati dai mass-media e dalla televisive in particolare? Dunque, non prendiamoci in giro. E la smetta certa destra di considerarsi l'unica depositaria dei valori dell'intero mondo cattolico. Senza considerare che spesso viene da sorridere – se non ci fosse, però, da piangere – di fronte alle prediche che noi cattolici 'di sinistra' dobbiamo subire dai campioni dei vizi privati e delle pubbliche virtù.


Io voterò dunque con convinzione il Partito democratico di Veltroni, invitando a considerare ulteriormente che il PDL di Berlusconi (che si candida per la quinta volta a capo del governo!) e Fini, con i suoi alleati, dopo l'uscita dei moderati dell'UDC assomma la destra proprietaria e populista del padrone di Mediaset, quella statalista di Fini, e quella secessionista di Bossi. Un impasto, mi pare, comunque assai meno digeribile, per un cattolico responsabile, di quello rappresentato dalla contro parte.


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