domenica 2 novembre 2008

IL PUNTO…

IL PUNTO SULLA POLITICA NAZIONALE: DALLA SCUOLA AL RUOLO DELLE PROVINCE E DELLE AREE METROPOLITANE


L'impegno del centrodestra era chiaro: una legislatura costituente. Invece… passano i mesi e all'orizzonte non si vede nulla



"Questa sarà una legislatura costituente!", ha ripetutamente annunciato il centrodestra, vincitore delle elezioni. Intanto, però, i mesi passano, e non si vede alcunché. C'era fretta, invece, di intervenire sulla scuola, con un atto un po' esageratamente spacciato come "riforma", una riforma, oltre tutto, approvata con un provvedimento di urgenza, che non ha consentito l'indispensabile approfondimento che la materia, comunque, richiedeva e richiede. D'altronde, il decreto legge era prevalentemente motivato dalle esigenze di cassa avanzate da Tremonti, come sappiamo.


Certo, c'è anche qualcosa di ordinamentale in esso: il grembiulino alle elementari (la sola scelta che, in verità, non mi scandalizza), il ritorno al voto numerico (assai più efficace di un giudizio di "insufficiente, sufficiente, buono, ottimo"?), nonché al voto in condotta, il quale ultimo sarà, ovviamente, risolutivo per cancellare il bullismo, dentro e, soprattutto, fuori dalle aule (!). Ma la decisione clou, o comunque di maggiore impatto mediatico, è rappresentata dal ritorno al maestro unico, decisione con la quale la destra ha finto di volersi rifare ad una scuola primaria di stampo deamicisiano. Di un mondo, cioè, che non esiste più, come la stessa destra sa perfettamente, essendosi affiliata al padrone di quelle televisioni private che, negli ultimi decenni, hanno inondato il paese di una subcultura che ha distrutto tutti i valori. Da cattolico, al vescovo di Como, responsabile dell'ufficio scuola della CEI, che sostanzialmente conveniva con tale scelta, mi permetto di segnalare che l'opinione di qualificati esponenti dell'importante associazione maestri cattolici è opposta. Infine, sulla questione tempo pieno è netta l'impressione che il governo si stia arrampicando sui vetri, quando afferma che sostanzialmente non cambierà nulla, anche se l'orario di insegnamento sarà di 24 ore settimanali, da svolgersi al mattino. Mi par di capire, allora, che, al massimo, potremmo ritornare al vecchio doposcuola, eventualmente pagato dai Comuni, ormai finanziariamente esausti.


A proposito delle manifestazioni studentesche: piazza, semplicemente, manovrata dalle sinistre? Venendo dalla DC, questa frase l'ho sentita pronunciare diverse volte, a suo tempo, in casa mia, in occasione di manifestazioni di altri tempi (nelle quali qualche testa calda c'era inevitabilmente sempre, vuoi di qua, vuoi di là). Ma a me pare che, oggi, la spontaneità della protesta di studenti, professori e genitori sia davvero genuina. In ogni caso, a questi nuovi eredi della DC che ci governano vorrei ricordare che difficilmente quel partito, vocato per definizione alla mediazione, avrebbe mostrato tanta arroganza.


"Legislatura costituente!", dicevo. In proposito, passando dalla scuola ad altro argomento, a Milano siamo in attesa degli annunciati provvedimenti riguardanti la città metropolitana, dopo aver sentito anche le convinte affermazioni favorevoli in proposito del Sindaco e del Presidente della Provincia. In verità, v'è bisogno di una riforma più complessiva (pur se graduale) del nostro sistema istituzionale, che preveda anche una significativa riduzione del numero dei parlamentari (considerato che alle Regioni è stata ormai conferita un'amplissima competenza legislativa), il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto e la creazione del Senato delle autonomie, la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali (Comuni, Province e, appunto, città metropolitane), che ha da essere perlomeno contestuale alla realizzazione di quel federalismo fiscale (che noi vogliamo anche solidale) oggi sulla bocca di tutti. Il sistema di finanziamento, cioè, deve marciare di pari passo con la precisa individuazione delle funzioni di ciascun livello di governo. In proposito, è impensabile rimettere in discussione, a pochi anni da una riforma costituzionale importante, il ruolo delle Province, io credo, cui debbono essere definitivamente affidate tutte le (poche) funzioni di area vasta nel governo delle reti e delle politiche territoriali, di pianificazione e di coordinamento dello sviluppo economico locale, di sussidiarietà a supporto dei Comuni, ai quali ultimi devono però essere conferite tutte le funzioni di prossimità, e dunque i servizi alla persona. Certo, un intervento di razionalizzazione sulla dimensione territoriale e sul numero minimo di abitanti che dovrebbero avere una Provincia può avere senso. Non, invece, l'obiettivo di fare di questi enti il capro espiatorio nella battaglia contro i costi della politica. Il nostro paese va dunque dotato di un organico ed efficiente sistema ordina mentale, che eviti sovrapposizioni, confusioni di ruoli e diseconomie. Serve una carta delle autonomie che superi l'attuale testo unico degli enti locali, oltretutto infarcito di assurde norme di dettaglio. Per gli stessi in particolare (ma non solo), poi, nella prospettiva della riforma si pone altresì l'inderogabile obiettivo di rivalorizzare il ruolo politico e istituzionale delle assemblee elettive, per farle diventare sempre di più - come ha ricordato a Torino, anche su impulso degli stessi presidenti dei consigli provinciali, il presidente UPI - il luogo in cui viene definito l'indirizzo politico generale, in cui si deliberano le norme fondamentali per l'organizzazione dell'ente e per l'esercizio delle sue funzioni, in cui si verificano le scelte compiute dall'amministrazione secondo un circuito ispirato alla trasparenza e al controllo democratico.


Oggi, le cose non vanno bene, in proposito, a conferma che la normativa vigente è inappropriata, al di là degli sforzi di autonomia che in qualche ente si sono pur evidenziati. Anche a questo fine va decisamente ripensata l'esistenza (ne ha fatto un forte cenno, sempre all'UPI, il presidente della Provincia di Ascoli Piceno) di quella miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non tanto allo scopo della gestione associata di servizi (cosa che sarebbe pur virtuosa), ma con l'intento di disgregare la governance organica del territorio e delle sue risorse, moltiplicando, questi sì, i posti e i costi della politica. La città
metropolitana, infine: per istituirla occorrerebbero tempi rapidissimi e una sostanziale modifica delle attuali norme. Servono ovviamente percorsi differenziati in relazione alla specificità delle singole realtà (pensiamo, appunto, a Milano in particolare). Per realizzare la stessa devono scomparire sia il Comune capoluogo (da suddividere in municipalità di adeguata dimensione) che la Provincia: sarebbe impensabile (ed inutile, credo) attuarla semplicemente determinando la sola scomparsa di quest'ultima e caricando sul Comune capoluogo il ruolo di guida. Tanto più nella nostra realtà, dove vi sono decine di Comuni con popolazione non certo piccola, che non accetterebbero un capoluogocentrismo. C'è poi, da noi, la questione della Provincia di Monza, la parte del territorio più conurbata con Milano, che se ne va, diventando autonoma. Allora, un forte dubbio: una città metropolitana milanese che sia un serio e forte livello istituzionale davvero utile ai cittadini rimarrà un'utopia?

VINCENZO ORTOLINA

Milano, ottobre 2008

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